Se ne è discusso al Dipartimento di Scienze politiche e sociali con un approccio sistematico tra prevenzione, cultura e stereotipi di genere nell’ambito del convegno “Contrastare la violenza sulle donne trasformando la cultura maschile che la produce”
Prevenzione, cultura e stereotipi di genere sono i temi al centro del convegno dal titolo Contrastare la violenza sulle donne trasformando la cultura maschile che la produce che si è tenuto il 23 settembre scorso nei locali del Dipartimento di Scienze politiche e sociali.
Una iniziativa promossa dall’Università di Catania e dalle associazioni La Città Felice, Centro FamigliE, La Ragnatela e Soka Gakkai.
Ad aprire i lavori, con diversi interventi di esperti, è stata Stefania Mazzone, docente di Storia del pensiero politico al Dipartimento di Scienze politiche e sociali e coordinatrice del Laboratorio di ricerca di genere, che ha evidenziato l’importanza della storia nella lotta alla violenza di genere. «La mancanza di memoria storica, sia nelle generazioni più anziane, sia in quelle più giovani, impedisce l’apprendimento dai successi e dagli errori del passato. Occorre conoscere la propria storia, ed è essenziale per evitare di ripetere gli stessi sbagli», ha spiegato la docente.
Un momento dei lavori
La giornalista Sarah Danzuso, invece, ha evidenziato il modo in cui l’informazione tratta i casi di violenza. «Spesso i media utilizzano stereotipi che banalizzano la realtà della violenza di genere, descrivendola come il frutto di un raptus o di gelosia, quando in realtà è il risultato di un sistema di potere e controllo», ha spiegato la giornalista.
Sarah Danzuso, inoltre, ha posto l’accento sull’uso improprio delle immagini delle vittime, spesso selezionate dai social media e scelte per attirare click, creando così un racconto distorto che continua a perpetuare l’idea della donna come oggetto di giudizio estetico.
In seguito anche la docente di Sociologia del diritto e della deviazione e collaboratrice del Laboratorio di ricerca di genere Deborah De Felice ha esposto durante il suo intervento il concetto di «come la violenza verso le donne non è un crimine che mira a raggiungere un obiettivo esterno, ma un reato espressivo, commesso per il piacere stesso di esercitare violenza».
«Si tratta di un’espressione di controllo, dove la punizione, per quanto severa non funziona come deterrente», ha aggiunto.
«La soluzione, perciò, non può essere trovata esclusivamente nell'ambito penale, ma deve passare attraverso l'educazione, la prevenzione e la capacità di ascolto dei professionisti che operano sul campo – ha precisato -. Un esempio concreto riguarda i centri antiviolenza, dove raramente le famiglie chiedono aiuto per comportamenti aggressivi dei propri figli, mostrando come il fenomeno della violenza venga affrontato spesso solo quando ormai è troppo tardi».
Il pubblico presente in aula XXI Marzo del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociale
La docente, inoltre, ha sottolineato l'importanza dell'educazione finanziaria come «strumento di prevenzione contro una delle forme più diffuse di violenza: quella economica».
«La violenza economica è spesso l'anticamera di altri tipi di abusi. In questo contesto, la sociologa ricorda come la violenza di genere attraversi ogni classe sociale, economica e culturale, colpendo anche donne forti e indipendenti, che diventano vittime non perché deboli, ma perché si sono ribellate», ha detto.
A seguire, nel corso dei lavori, è intervenuto Antonello Arculeo, responsabile del CUAV, che ha condiviso l’esperienza del suo centro. «Una struttura che nell’arco del 2024 ha visto arrivare circa sessanta uomini intenzionati a cambiare e di non ripetere atteggiamenti violenti», ha spiegato lo psicoterapeuta.
Arculeo ha anche evidenziato «quanto sia cruciale la collaborazione con le istituzioni, come la magistratura e la questura, e quanto sia importante intervenire prima che i comportamenti violenti sfocino in atti irreparabili».
Un momento dell'intervento del dott. Antonello Arculeo
Daniela Fisichella, docente di Diritto internazionale, ha posto l’accento sul ruolo degli uomini nel processo di cambiamento. «È fondamentale – ha affermato - che gli uomini si liberino dai preconcetti legati al loro ruolo sociale e imparino a vivere l'empowerment femminile senza reagire con aggressività o violenza».
«Questo processo, difficile sia per le vecchie che per le nuove generazioni, richiede un cambio di prospettiva che parta dalla destrutturazione dei pregiudizi di genere e dall'adozione di un atteggiamento propositivo e costruttivo».
Sono intervenuti anche i giornalisti Antonio Leo e Andrea Lodato, Anna Di Salvo e Mirella Clausi per le associazioni Città Felice e La Ragnatela, Silvia Pochettino per il Progetto Respiro, Silvia Baudrino di Relive, i Centri antiviolenza Thamaia, Galatea, Telefono Rosa, Nesea. Albanuova, Doride, e Bucaneve. Particolarmente intensi gli interventi di Daniele Bouchard, per Nuovo maschile Pisa, Gianluca Mastroeni per Uomini in Movimento e Gabriele Guadagna per Mica Macho, uomini che stanno costruendo gruppi di autocoscienza maschile per trasformare la cultura che produce la violenza e conoscere se stessi.
L’evento è stato moderato da Stefano Ciccone (Maschile Plurale).
Un momento dell'intervento della prof.ssa Stefania Mazzone