Una lente per guardare alla storia e al presente

Al Teatro Massimo Bellini di Catania è andata in scena la Trilogia dell’estasi della Compagnia Zappalà Danza

Sofia Bordieri

L’attesa Trilogia dell’estasi, dopo aver debuttato al Maggio Musicale Fiorentino e aver aperto la trentottesima edizione del MilanOltre Festival al Teatro Elfo Puccini, è arrivata al Teatro Massimo Bellini di Catania dove è stata portata in scena dal 6 al 13 ottobre.

Sacrificio, erotismo, solitudine. Sono queste alcune delle parole che Roberto Zappalà, coreografo e regista, insieme al suo drammaturgo di riferimento Nello Calabrò, ha utilizzato come legante per la sua trilogia che unisce tre icone della musica e della coreografia.

L’Aprés midi d’un faune di Claude Debussy, Boléro di Maurice Ravel e Le sacre du printemps di Igor Stravinskij sono i tre grandi capolavori “modemizzati”, tradotti nel linguaggio MoDem della Compagnia Zappalà Danza e rivisitati ponendo «l’accento sulle relazioni umane, sui rapporti tra uomini e donne: negati, esaltati, violati in una “riflessione” coreografica sulle derive della società contemporanea», spiegano gli autori dello spettacolo.

Un momento dello spettacolo (foto di Serena Nicoletti)

Un momento dello spettacolo (foto di Serena Nicoletti)

Dopo l’entrata del direttore, Vitali Alekseenok, e l’accordatura dell’orchestra, l’aspettativa viene subito disattesa. La scena si apre, infatti, con un crescendo di musica techno coordinata all’apertura del sipario. Diversi figuranti mascherati con teste da caproni e avvolti in tuniche nere, creano un’atmosfera underground, misteriosa. Una rete sospesa in aria, come una trappola pronta ad essere sganciata, domina il centro del palco e piccoli teschi colorati sono sparsi, invece, per terra sulla destra.

Nel flusso di movimento, fluido e lento, una delle figure si spoglia rivelando la tuta integrale, candida e traforata, sottostante. È il fauno, interpretato da Filippo Domini eccelso danzatore dal corpo minuto e potentissimo. I fari laterali illuminano il dialogo sensuale e giocoso tra il suo corpo e il tappeto posto sul proscenio: un oggetto simbolico e immaginifico, portale d’accesso al desiderio, al sogno e al conforto.

Un momento dello spettacolo (foto di Giacomo Orlando)

Un momento dello spettacolo (foto di Giacomo Orlando)

L’aprés midi d’un faune è considerato il primo importante balletto dell’epoca moderna. Vaslav Nijinsky fu coreografo e danzatore dell’opera realizzata per i Ballets Russes la rivoluzionaria compagnia coagulata nel 1909 dall’impresario Sergej Diaghilev. Fu di quest’ultimo l’idea di realizzare uno spettacolo da affidare al suo amato danzatore ispirandosi, durante un viaggio a Venezia, a pitture vascolari, bassorilievi e sculture antiche. Léon Bakst, scenografo e costumista appassionato di arte greca arcaica, diede l’idea di tradurre in coreografia il bassorilievo di un corpo visto di profilo. L’esito fu una grande rivoluzione.

Il lavoro, discostato dal naturalismo, si concentrò su una ricerca di movimento centrata su posizioni del corpo minuziosamente spezzate e movimenti scattanti in contrasto con la musica fluente di Debussy. Oltre al grande impatto della nuova estetica di movimento, lo spettacolo creò scalpore per la forte carica erotica emanata da Nijinsky che simulò una masturbazione in scena, citata nella coreografia di Zappalà e resa squisitamente “naturale” dal movimento della mano che diventa un saluto gioioso. 

Un momento dello spettacolo

Fotogramma dal film Poor things di Yorgos Lanthimos

Con il ritorno della musica techno, un corteo processionale attraversa la scena mente si illumina “RING” una scritta al neon dai colori pop posta sul lato destro del fondale. Le note del Boléro si irradiano nell’aria conquistandola e, sul ritmo ostinato, le figure con mantelli e tacchi neri camminano a testa bassa. I danzatori e le danzatrici raggrupatə ci fissano rivelando le loro maschere ceree: davanti ai nostri occhi performa una chiara citazione a Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick.

I corpi, coperti capezzoli e genitali con margherite giallo fluo, danzano lentamente in soli poi in coppie, sempre più velocemente, trasformando il palcoscenico in un salone da ballo gioioso e sinistro allo stesso tempo. Come alieni sinuosi e famelici di godimento, l’atteggiamento ricorda l’iconica danza priva di pudore di Bella Baxter in Poor Things di Yorgos Lanthimos.

Un momento dello spettacolo (foto di Giacomo Orlando)

Un momento dello spettacolo (foto di Giacomo Orlando)

Anche Boléro è un’importante creazione del 1928 legata ai Ballets Russes su coreografia, stavolta, di Bronislava Nijinska con scena e costumi di Nicola Alexandrovich Benois. La danzatrice e coreografa che non ripudiava la danza classica ha basato la sua estetica sull’ibridazione della tecnica accademica con la danza libera. Sono moltissime le versioni coreografiche del capolavoro di Ravel, ricordiamo per la forte carica erotica e ammaliatrice quella iconica di Maurice Béjart nelle due versioni per solista femminile o maschile a cui Zappalà si è ispirato richiamando con la circolarità della coreografia il tavolo ovale.

Concluso il Boléro ritorna la techno. I danzatori e le danzatrici si muovono come in un club berlinese illuminati a intermittenza da una luce stroboscopica verde per poi, in massa compatta, essere immersi in un’atmosfera rarefatta viola deep. Con l’illuminazione bianca vediamo un agglomerato di soggetti tutti diversi, dai costumi eccentrici, particolarissimi, anch’essi riferimenti a personaggi pop, probabili icone per la nostra società.

Un momento dello spettacolo (foto di Vincent Pontet)

Un momento della ricostruzione dello spettacolo de Le Sacre du Printemps di Nijinsky (foto di Vincent Pontet)

A turno crollano al pavimento per poi ricompattarsi come spettri. Inizia Le Sacre du Printemps e sui suoi ritmi, come colpito da un elettroshock, il gruppo fa gorgheggiare le membra. Potenti, animaleschi, vorticosi la gravità attrae i corpi che resistono trasportati da un furore febbrile.

Saltano ricordando l’Eletta della coreografia nijinskiana il cui debutto, 29 maggio 1913, coincide con il più clamoroso scandalo nella storia del balletto del primo Novecento. Secondo le cronache del tempo il chiasso in sala era talmente alto che Nijinsky da dietro le quinte scandiva il tempo per i danzatori che non riuscivano a sentire la musica. Corpi pesanti, pugni chiusi, ginocchia e piedi in dentro, teste a ciondoloni, la danza evocata dell’epoca era quella di una società primitiva che si preparava al sacrificio propiziatorio di una vergine.

Un momento dello spettacolo (foto di Serena Nicoletti)

Un momento dello spettacolo (foto di Serena Nicoletti)

Nella versione di Zappalà non c’è eletta o eletto, lo sono tutti e tutte. Ognuno sceglie sè stesso o sè stessa da sacrificare. La scena retrostante è ora chiarissima, lo squarcio di grattacieli di una metropoli fa da sfondo al disegno elementare di alcune pecore che emergono sgargianti, una siringa trafigge un cuore, una bocca è costretta dietro le sbarre. Siamo in un gigantesco ring – è dichiarato – siamo quella massa “dannata” nella lotta, circolarmente legata (come un anello), catturata dalla rete che cade come cala nettamente il buio.

A partire da un fatto di cronaca del 2021, la drammaturgia si è sviluppata su un concept più generale e inglobante capace di suscitare suggestioni molteplici. Zappalà e Calabrò ci donano con la loro nuova opera un’esperienza estetica stratificata. Corpi, movimenti, costumi, scene, luci, musica: tutto è perfettamente coeso per attivare stupore, riflessione, pensiero critico collettivo.

Un momento dello spettacolo (foto di Franziska Strauss)

Un momento dello spettacolo (foto di Franziska Strauss)