Musica, danza e parole in una serata ricca di suggestioni al Teatro greco-romano di Catania
La storia di Catania è una storia di tempo: vite antiche e nuove che si mescolano e si stratificano, in un continuo dialogo fra passato e presente che, dalla collina di Montevergine, arriva fino al mare.
Una storia secolare di volti, mani, ricordi, sguardi che fonde i catanesi di ieri e di oggi, riuniti sotto lo stesso cielo in occasione dell’inaugurazione del 590° anno accademico dell’Università di Catania: Katane e Catania insieme sui gradoni di un antico teatro, emblema di una città che è rinata tante volte, scrollandosi di dosso la cenere e le rovine per ripartire, sempre: melior de cinere surgo.
La storia è viva e vibra con le musiche di Puccio Castrogiovanni e le danzatrici del Collettivo SicilyMade Simona Miraglia, Silvia Oteri e Amalia Borsellino, che aprono la cerimonia immergendo il pubblico in un’atmosfera ipnotica, quasi mistica. Il suono ritmico del marranzano evoca il mistero mai risolto dell’esistenza, ricordando il canto delle cicale nascoste tra le fronde degli ulivi, in quella terra al di là dello Ionio da cui partì la mano che posò la prima pietra del teatro, poi riedificato dai Romani.
Le danzatrici del Collettivo SicilyMade Simona Miraglia, Silvia Oteri e Amalia Borsellino
Puccio Castrogiovanni suona strumenti senza tempo - marranzano, kankles, flauto armonico – su un palco senza tempo, con un linguaggio universale – l’arte - che trascende parole e barriere temporali, capace di unire ed emozionare il pubblico in una comprensione condivisa di ciò che significa essere umani.
La storia è fatta anche di parole, come nelle antiche tradizioni: il prof. Emanuele Coco, come un cantastorie (vai all'articolo), racconta come nasce il nostro ateneo, il più antico di Sicilia e uno dei più antichi d’Italia, di come cambia il territorio e come vi si lega, indissolubilmente. Da una terra di “barbari senza stelle”, popolata da “Ciclopi tracotanti e privi di leggi” descritta da Omero nell’Odissea, il territorio catanese divenne culla della cultura nel 1434, con la fondazione del Siculorum Gymnasium, suscitando l’ammirazione e l’invidia di altri luoghi dell’Isola perché “gli occhi belli intristiscono quelli di chi non può averli”.
Puccio Castrogiovanni
Coco ci racconta pure di un poeta, il “vate della democrazia”, che esortava ad amare “la verità più della gloria, più della pace, più della vita”: Mario Rapisardi, che inaugurò l’anno accademico nel 1879 con una lectio magistralis che recitava «dal giorno in cui Abelardo alzò la voce della ribellione contro le vandaliche irruzioni della fede, le tenebre e le paure medioevali incominciarono a diradarsi dal torbido cielo della coscienza, per dar luogo alle ben auspicate aurore della ragione».
Pur con toni accademici e formali, Rapisardi lo urlava a un pubblico di fine ‘800 e lo urla ancora adesso, a un pubblico nuovo che in fondo è lo stesso, attraverso la voce di Emanuele Coco: il tempo ancora una volta si annulla, il passato si sovrappone al presente, la collina di Montevergine c’è ancora e oggi, come per un destino già scritto, ospita alcuni degli edifici del Siciliae Studium Generale.
In una sera di settembre del 2024, le storie del nostro ateneo e dei catanesi di ieri e di oggi si fondono in un unico racconto, fatto di resilienza e di speranza per il futuro.
Il prof. Emanuele Coco