Il Mare Nostrum e le Digital Humanities al centro della conferenza Aiucd 2024 in programma al Monastero dei Benedettini di Catania
«Valorizzare il ruolo del digitale come medium attraverso cui si creano delle connessioni tra testi e persone, istituendo dialoghi tra culture diverse». Con queste parole Marina Buzzoni, presidente dell’Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale, ha aperto i lavori del XIII Convegno nazionale Aiucd, tenutosi al Monastero dei Benedettini di Catania nei giorni scorsi.
Il tema di quest’anno è stato MeTe digitali. Mediterraneo in rete tra testi e contesti, dove il termine Mediterraneo è stato declinato nelle sue molteplici sfaccettature, come «un’idea evocativa, espressa simbolicamente, che apre a significati contraddittori» e «appartenente a una famiglia di concetti geostorici, poi divenuti anche geopolitici e geoculturali», ha spiegato Buzzone.
Il convegno è stato organizzato dal Cnr - Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione), dal Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania in sinergia col Centro di Informatica Umanistica dello stesso ateneo, con il supporto di Clarin-IT, Neperia Group, Storage Progetto Piaceri e Parmalat/Sole.
Ad aprire i lavori assieme a Marina Buzzoni, anche Marina Paino, direttrice del Dipartimento di Scienze umanistiche, Marco Mazzone, presidente del corso di laurea in Scienze del testo per le professioni digitali, Daria Spampinato, studiosa di Digital Humanities al Cnr-Istc e Antonio Di Silvestro, direttore del Cinum.
L’interdisciplinarietà e la multidisciplinarietà sono al centro delle digital humanities, come si è potuto notare osservando le varie prospettive di ricerca presentate nel corso dell’evento. L’obiettivo è stato quello di «creare un grande laboratorio reticolare di esperienze, di competenze, di sperimentazioni», ha sottolineato il professore Di Silvestro.
Le tre giornate hanno accolto la presentazione di progetti in cui il ruolo del digitale è stato declinato in una prospettiva teorico-metodologica innovativa: dall’analisi computazionale nella filologia digitale alla conservazione del patrimonio archivistico tramite banche dati, dall’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale generativa in ambito archeologico alle frontiere etiche e sociali delledigital humanities.
Alcuni relatori del convegno
Nel corso dei lavori è intervenuto Giuseppe Savoca, il quale ha sottolineato come «forse il critico più bravo sarà quello che saprà cogliere nei big data e negli abissi di Internet le cose essenziali e saprà consegnarle alle pagine di un libro».
Il ruolo e le nuove sfide del digitale sono stati mostrati nella loro concretezza a partire dagli interessanti e innovativi progetti presentati nelle sessioni Edizioni digitali e piattaforme tra Europa e Mediterraneo e Ontologie, banche dati e linguistica computazionale, che hanno avuto come chair rispettivamente Christian D’Agata e Milena Giuffrida.
L’esposizione dei poster, inoltre, ha permesso all’uditorio di confrontarsi direttamente con coloro che si sono occupati di tali progetti e di avere anche maggiori informazioni.
Come già anticipato, il filo conduttore del convegno è stato il “Mediterraneo”, e nella sezione Mediterraneo tra testi e contesti, moderato da Marina Buzzoni, ci si è addentrati ulteriormente nel tema.
Dagli interventi, inoltre, è emerso come una delle più grandi sfide nel delineare le caratteristiche di una determinata epoca storica sia la ristretta quantità di informazioni di cui disponiamo.
Tara Andrews, docente di Digital Humanities all’Università di Vienna, ospite speciale nella seconda giornata del Convegno, nella relazione dal titolo The medieval Mediterranean in…data? Interpretation, conjecture and digital methods ha esaminato le modalità tramite le quali i metodi digitali possono colmare alcune lacune ormai radicate nella ricostruzione storiografica.
«Una soluzione possibile è la prosopografia come ricerca digitale basata su factoid models, come ad esempio il Digital Prosopography of the Roman Republic o il Prosopography of the Byzantine World, entrambi disponibili come organizzazione relazionale di dati», ha spiegato Andrews.
Un momento dell’intervento di Andrea Mazzucchi
Dopo aver discusso di un approccio consapevole all’IA nella sessione Frontiere etiche e sociali nelle Digital Humanities, coordinata da Fabio Ciraci, è proprio sulla possibilità di rendere accessibile l’immenso patrimonio archivistico, parte integrante del tessuto identitario di una collettività, ad aver rappresentato il fulcro delle sessioni Le Digital Humanities tra archivio digitale e preservazione, presieduta da Francesca Tomasi, e Memoria tra digitalizzazione, codifica e gamification, presieduta da Maurizio Lana.
Alla conservazione e cura di documenti storici ne consegue la divulgazione e lo studio: caso particolare è costituito dai testi musicali e letterari, sui quali è stata incentrata la sessione Modelli semantici per testi musicali e letterari, coordinata da Marianna Nicolosi Asmundo.
La non sempre possibile consultazione delle fonti da parte del grande pubblico, inoltre, ha condotto molti storici a utilizzare piattaforme web per diffondere i contenuti: di ciò si è discusso nella sessione di Digital Public History, che ha visto come chair Franz Fischer.
Ma la catalogazione avviene anche per singole parole: da sempre, infatti, si dispongono di dizionari che riflettono la pluralità linguistica di una specifica comunità. Anch’essi si evolvono nel mondo digitale, lungo un percorso che va dalla digitalizzazione del dizionario latino Lana al Vocabolario dell’Italiano Verista (VIVer), passando per la trascrizione dell’italiano antico.
È stato questo il focus delle sessioni Dizionari e digitalizzazione, coordinata da Giuseppe Palazzolo, e Tra analisi computazionale e linguistica, moderata da Tiziana Mancinelli, alle quali se ne è aggiunta un’altra incentrata sugli strumenti da adottare per integrare il patrimonio immateriale con l’ambiente digitale, Modelli di organizzazione dati con tecnologie semantiche e Intelligenza Artificiale, moderata da Emmanuela Carbé.
A un approfondimento sulla filologia digitale, infine, è stata dedicata la giornata conclusiva del Convegno, introdotta da Andrea Mazzucchi, professore di Filologia della letteratura italiana all’Università Federico II di Napoli. «Tale campo di studi – ha sottolineato – ha permesso di andare oltre il lavoro del singolo e di puntare sull’importanza del lavoro d’equipe, come si è potuto constatare anche dai vari progetti mostrati».
Dialogo: questo è ciò che ha rappresentato il XIII Convegno nazionale AIUCD; un dialogo tra culture diverse e tra varie discipline, un dialogo che connette, tramite il digitale, letteratura e persone.