Una giornata di studi dedicata a Roberto Roversi, scrittore, poeta, drammaturgo, libraio, protagonista ‘silenzioso’ del Novecento italiano
La figura di Roberto Roversi è stata al centro della giornata a lui dedicata a 100 anni dalla nascita organizzata dal Dipartimento di Scienze umanistiche e dal Centro Universitario Teatrale d’ateneo, in collaborazione con l’Associazione culturale Neon.
Durante la mattina, al Centro Universitario Teatrale , diversi studiosi moderati da Giuseppe Palazzolo, docente di Letteratura italiana contemporanea a Unict, hanno indagato la figura di Roversi in ogni sua sfaccettatura.
Ad avviare l’incontro è stato Fabio Moliterni, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università del Salento. Lo studioso ha ricordato che Roversi ha fatto parte della generazione di intellettuali, tra cui Italo Calvino e Pier Paolo Pasolini, testimoni recenti della storia italiana, vivendo in prima persona il fascismo, la resistenza, il miracolo economico, tutti eventi che hanno contribuito a plasmare la sua figura di intellettuale.
Proprietario di una libreria antiquaria al centro di Bologna, diventata un punto di riferimento per intellettuali e studiosi, Roversi stesso aveva raccontato che grazie a questa professione era riuscito «a vivere e lavorare senza padroni»; «proprio questa necessità di sentirsi libero è un tratto fondamentale della sua persona» ha infatti commentato Moliterni.
Un momento dell'incontro al Centro Universitario Teatrale
Ripercorrendo i momenti più importanti della carriera dell’intellettuale, prima e dopo la partecipazione alla rivista Officina, Moliterni ha messo in luce i caratteri trans-artistici e avanguardisti della sua poesia, nonché il suo rapporto unico con il settore dell’editoria: nel 1969, dopo aver pubblicato con le più grandi case editrici italiane, Roversi decise di raggiungere più lettori possibili rendendo gratuiti i propri scritti, ed esattamente stampandoli con il ciclostile utilizzato in quegli anni dai giovani studenti rivoluzionari.
Dopo la lettura di alcuni testi dell’autore, tra cui Dopo Campoformio e L’Italia sepolta sotto la neve, volti a evidenziare le caratteristiche del suo stile come la presenza di una forte polifonia e la sovrapposizione di tempi e di voci, Moliterni ha ricordato che, per raggiungere un pubblico ancora più vasto, Roversi ha poi collaborato con Lucio Dalla, aprendosi dunque al mondo della musica.
In questo modo il docente ha passato il testimone a Jacopo Tomatis, musicologo, giornalista musicale e musicista, ricercatore presso l’Università di Torino, che si è concentrato sul modo in cui i testi di Roversi sono stati musicati da Lucio Dalla. Per contestualizzare il proprio intervento Tomatis ha ricordato che gli anni Settanta sono stati caratterizzati dall’avvento di una nuova idea di canzone, concepita come forma di espressione poetica e artistica.
Un momento dell'incontro al Centro Universitario Teatrale
In tale contesto la collaborazione Dalla-Roversi è un’eccezione per due motivi fondamentali: fino a quel momento gli intellettuali non si erano mai accostati alla canzone, e la produzione di Dalla e Roversi è molto distante dalla tipica canzone politica di quel periodo. Citando Montale, Tomatis ha ricordato che «la parola veramente poetica contiene già la propria musica», ed è probabilmente per questa ragione che Dalla non è mai intervenuto sui testi di Roversi: «li rispetta, riconosce il suo statuto di poeta, comprende che non sono testi di canzoni ma poesie che vengono musicate», ha aggiunto il musicologo, citando poi il poeta che, in Nevica sulla mia mano, scrisse «così come io avevo scritto i testi, Dalla li aveva cantati».
Tre sono i dischi frutto della loro collaborazione: Il giorno aveva cinque feste; Anidride Solforosa e Automobili, a cui si sono aggiunti lavori a quattro mani su singoli brani. La presenza stessa del nome di Roversi sulle copertine dei primi due dischi è segno fondamentale dal suo statuto co-autoriale: «non è un paroliere, ma un poeta che sta collaborando», ha spiegato Tomatis.
Attraverso vari ascolti, tra cui dei passaggi de La canzone di Orlando, lo studioso ha evidenziato che i brani, i loro protagonisti, inducono l’ascoltatore a immaginare nuovi mondi spesso fantastici, e ha poi illustrato le strategie adottate per rendere in musica dei versi che, come già ricordato, non erano nati per diventare canzoni.
Un momento dell'incontro al Centro Universitario Teatrale
Un altro aspetto della personalità artistica di Roversi, quello legato al teatro, è stato affrontato da Simona Scattina, docente di Discipline dello spettacolo presso l’Università di Catania.
Citando il poeta, Scattina ha ricordato che per lui «fare teatro è trascinare l’ovvietà in piazza e lasciarla riempire di significati». «Roversi è un autore sempre in crescita, la cui produzione è in continuo divenire. Ha conquistato il territorio drammaturgico diventando artefice di un originale e intenso teatro».
«È importante ricordare - ha aggiunto la studiosa - che il teatro di quel periodo può essere definito in vari modi: sperimentale, d’avanguardia, di ricerca, Nuovo Teatro; iniziava a farsi strada l’idea che gli spettacoli dovessero assolvere a una funzione politica, ed è in questo contesto che Roversi ha scritto, tra il 1965 e il 1976, quattro testi per la scena».
Scattina ha quindi ripercorso la sua produzione drammaturgica, accennando alle trame degli spettacoli ma soprattutto evidenziando i loro tratti distintivi. Underdenlinden, il primo testo rappresentato nel 1967, risente molto dell’influsso di Bertolt Brecht (come dichiarato da Roversi stesso) e, in questo spettacolo, «la straniante giustapposizione dei quadri scenici che compongono il tessuto narrativo del testo gli da un ritmo particolarmente cabarettistico».
Un momento dell'incontro al Monastero dei Benedettini
Il Crack, messo in scena nel 1969, è un testo che si lega bene al boom economico degli anni successivi, alle figure dei nuovi padroni del mercato economico e alle contestazioni giovanili di quel frangente storico. Roversi, ha detto Scattina, qui «aveva rivendicato il carattere di una critica metaforica e linguistica applicata ai temi della azione e della violenza del sistema verso sé stesso, rivendicando al proprio lavoro la funzione di smontare i meccanismi occultati dal sistema».
Continuando il discorso sulla disumanità del presente, l’autore scrisse poi La macchina da guerra più formidabile, dramma messo in scena nel 1972 «con più attori che spettatori», come ricordò in seguito egli stesso. La pièce aveva lo scopo di mettere in evidenza gli effetti rivoluzionari innescati dell’Encyclopédie di Denis Diderot.
La macchia di inchiostro, contemporaneo ai tre dischi in collaborazione con Dalla, è «un testo vorticoso, ellittico, con un prologo bizzarro in cui dei cavalli parlanti ci introducono in un mondo che sembra una discarica dei consumi». La studiosa ha infine ricordato Enzo re. Tempo viene chi sale e chi discende, ultimo lavoro teatrale roversiano portato in palcoscenico nel 1998.
All’augurio che Scattina ha rivolto a tutti i presenti, di poter leggere, conoscere e interrogare Roberto Roversi, si è poi aggiunto il toccante commento di Antonio Bagnoli, nipote del poeta ed editore: «Roversi è un frattale, una figura geometrica da cui si creano sempre nuove figure, nuove realtà. Dovrebbe essere studiato e letto perché ci obbliga a porci delle domande».
Un momento dell'incontro al Monastero dei Benedettini
Bagnoli ha messo in luce la posizione defilata dello zio nel sistema dell’industria culturale italiana, ed «è probabilmente questo il suo capolavoro assoluto: essere uno degli intellettuali più importanti del Novecento senza essere stato mediato dall’industria culturale. Non voleva diventare parte di un’industria. Voleva essere libero e così ha insegnato a tutti la libertà e la dignità del proprio pensiero».
La prima parte della giornata si è poi conclusa con una testimonianza di Federico Ristagno, giovane laureato dell’ateneo catanese che ha dedicato il suo lavoro di tesi all’opera di Roversi. Ristagno ha raccontato di averlo scoperto nel periodo della pandemia grazie a un ciclostile e una lettera trovati nella libreria di casa, e se ne è appassionato ascoltando con gioia i racconti del padre che lo aveva conosciuto.
Da questa scoperta ha capito che si trattava di un «maestro di poesia, un uomo capace di capire, ascoltare, ispirare le persone intorno a lui. Non era un intellettuale serioso che profetizzava, ma un poeta con cui parlare, che ha lottato per tutta la sua vita per ciò in cui credeva, non per vincere ma perché sapeva che era necessario farlo».
Dopo un secondo momento pomeridiano al Dipartimento di Scienze umanistiche, in cui il drammaturgo Pietro Ristagno ha condotto delle “Conversazioni poetiche” su Roversi ed è stata presentata la mostra Una storia mai ascoltata a cura di Officina Roversi, l’intensa giornata si è conclusa al Teatro Metropolitan con lo spettacolo Libri dell’associazione culturale Nèon, per la regia di Monica Felloni.
Un momento dell'incontro al Monastero dei Benedettini
Sulle musiche di Ravel, Puccini, Blur, Celentano e Dalla e su un palco pieno di libri, i giovani attori del laboratorio Corpi insoliti e dei corsi organizzati dei licei Spedalieri e Boggio Lera, hanno cantato, recitato poesie, ballato, messo in scena pose volte a riprodurre importanti sculture e quadri, come il Discobolo di Mirone e la Deposizione dalla croce di Rosso Fiorentino.
In un susseguirsi continuo di azioni, tra frasi appena sussurrate e cori potenti, con sfondi realizzati dal pittore Massimiliano Frumenti Savasta, molte sono state le parole roversiane che hanno riecheggiato nello spazio del teatro, espressione di un inno alla vita, al coraggio, alla lettura.
«L’uomo è così occupato dalla vita che si dimentica di viverla», perché «per vivere dobbiamo diventare coraggiosi», hanno detto a gran voce i giovani attori, ricordando che bisogna «sprofondare in un libro per essere liberi».
Uscendo dal Teatro Metropolitan, dove si è tenuto lo spettacolo Libri cercando di mettere insieme i diversi momenti della giornata, si continua a riflettere su tutte le suggestioni che sono state trasmesse, con la consapevolezza che, oltre al coraggio di viverla questa vita, è necessario non annullarsi nei troppi impegni quotidiani, ricordarsi una frase che più volte è stata ripetuta oggi: «tieni per te un pertugio di libertà».
Un momento dello spettacolo "Libri" al Teatro Metropolitan