Il tema dell’alterità è stato al centro del festival internazionale di corti teatrali. A raccontare la tre giorni i direttori artistici Dario D’Agata e Valerio Verzin e la docente Simona Scattina
La suggestiva cornice del Teatro “Falcone e Borsellino” ha ospitato l’edizione 2023 di Teatri Riflessi, organizzato da IterCulture, in collaborazione con il Comune di Zafferana Etnea, il Centro nazionale di Drammaturgia Italiana Contemporanea e il Dams dell’Università di Messina.
Ad illustrare il festival i direttori artistici Dario D’Agata e Valerio Verzin e la docente di Discipline dello spettacolo Simona Scattina del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania.
Teatri Riflessi ha una vocazione sempre più internazionale. Quest’anno tutti i corti in finale erano proposti da attori e compagnie estere, in sintonia con il tema dell’alterità. Quanto è importante sul palcoscenico il dialogo ravvicinato tra attori provenienti da tradizioni teatrali così diverse?
«Vogliamo proporre un racconto geografico-culturale del mondo. Durante la selezione abbiamo scelto tredici corti su 133 candidati, considerando non solo la qualità, ma anche la rappresentatività delle emergenze teatrali contemporanee» risponde Dario D’Agata.
«Al tempo stesso vogliamo promuovere il confronto, affinché il festival non sia solo una vetrina artistica, ma anche un luogo in cui artisti, giurati e pubblico possano scambiare pratiche, conoscenze e culture diverse» aggiunge.
Da sinistra Beatrice Gigliuto, Dario D'Agata e Salco Coco (foto Alice D'Antone)
«Cerchiamo di creare un palinsesto culturale che racconti di luoghi, di tradizioni e di gente» afferma Valerio Verzin. «Nei primi due pomeriggi, Erin B. Mee ha realizzato dei workshop per il pubblico. Abbiamo diviso i partecipanti in gruppi eterogenei, ciascun gruppo aveva almeno uno spettatore, un artista, qualcuno dello staff, un bambino, uno studente» aggiunge.
«Il primo giorno abbiamo chiesto di riflettere sul significato della parola alterità (vai all'approfondimento), il secondo giorno su doveri e diritti culturali. È stato bello vedere sedute sul prato persone di età e culture differenti che discutevano di questi temi. Vogliamo riflettere sulle problematiche sociali, perché è possibile trovare insieme la strada giusta solo se continuiamo a confrontarci nelle diversità» conclude il direttore artistico.
La partecipazione di docenti dell’ateneo catanese nella giuria mostra il legame tra università e manifestazioni sul territorio. Quanto è importante questo sodalizio?
«I festival sono sempre più incubatori di idee e pratiche attive, oltre che presidio di creatività ancora da sviluppare» – osserva Simona Scattina – «Teatri Riflessi nel circuito festivaliero siciliano è ormai un appuntamento fisso e l'edizione di quest’anno è stata una tre giorni di condivisione di sguardi sulla scena contemporanea, scanditi da momenti di approfondimento, di incontro con gli artisti e attività collaterali».
«Un’occasione importante in cui l’Università di Catania ha confermato la sua lunga tradizione di attività di ricerca nel versante della cultura dello spettacolo e ha ribadito uno dei suoi ruoli più autentici: essere veicolo di un confronto diretto con il territorio circostante» precisa la docente.
«Il Dipartimento di Scienze umanistiche, del resto, lavora da tempo per offrire approcci metodologici e schemi organizzativi utili per provare a leggere, analizzare e comprendere lo sviluppo di festival di teatro e, contemporaneamente, è promotore di una visione di sistema indispensabile per non disperdere le esperienze e le energie di ogni cantiere culturale» aggiunge.
Un momento degli incontri all'aperto (foto Alice D'Antone)
Gli esperimenti di scena e il teatro partecipativo di Erin B. Mee, regista, drammaturga e accademica statunitense hanno impreziosito questa edizione del festival. Ci dicono che il teatro è uno spazio di riflessione, di comunità, un modo per agire sul mondo?
«Teatri Riflessi è il teatro che riflette il territorio, cioè, riporta in scena la realtà dei vari luoghi, racconta di gente, di pratiche e di culture, ma la polisemia del termine implica anche una riflessione attraverso il teatro su quelle che sono le problematiche di quei territori per capire quale direzione prendere» spiega D’Agata.
«Erin B. Mee ha realizzato sei performance partecipate, due per sera, tutte avevano lo scopo di promuovere il senso di comunità, fare incontrare il pubblico e farlo riflettere, per questo le abbiamo proposte subito prima delle pause, affinché si continuasse a riflettere anche dopo» aggiunge il direttore artistico.
«La nostra idea è quella di collegarci tutti attraverso l’arte» risponde Verzin. «Perché l’arte è di tutti e per tutti – ci tiene a precisare – a volte le persone non vanno a teatro, poiché pensano che l’arte sia un’espressione alta e lontana da loro. Invece l’arte è un’espressione culturale comune, e tutti hanno il diritto e il dovere di fruirne. Bisogna capire anche il pubblico, non per stravolgere l’operato degli artisti, ma per avvicinarci tutti insieme. Anche per questo il festival è gratuito, poiché l’arte e la cultura possono salvarci, ma solamente se siamo tutti insieme».
«Quest’anno c’è stata una maggiore partecipazione della comunità locale. Abbiamo lavorato molto per promuovere il senso di appartenenza alla manifestazione» racconta D’Agata. «Ho visto dei ragazzini di undici anni che hanno partecipato alle attività pomeridiane, hanno guardato i corti, poi hanno trascinato genitori per votare con il cellulare. Alla fine hanno voluto fare la foto con gli artisti. Sono veramente soddisfatto, perché è stato un festival di tutti. In quest’edizione abbiamo superato di gran numero il migliaio di spettatori» ha aggiunto il direttore artistico.
Un momento del workshop Legami di Beatrice Gigliuto (foto Alice D'Antone)
La giuria giovani, composta anche da studenti dell’Università di Catania, ha svolto un ruolo importante, affiancando quella stampa e di membri esperti. Nel contesto attuale, quanto è importante educare i giovani al teatro e al contempo dargli uno spazio di espressione?
«Teatri Riflessi ha sempre mostrato grande interesse verso le nuove generazioni di artisti e spettatori» spiega Simona Scattina.
«Già negli anni passati studenti e studentesse del Disum si sono distinti per il loro sguardo attivo» – continua la docente – «Fare teatro è sicuramente un’esperienza che coinvolge, come dimostra l'ampia partecipazione alle attività del Centro universitario teatrale dell’ateneo catanese, ma imparare a vedere il teatro è altrettanto importante. La giuria giovani in questi tre giorni, in dialogo costante con le compagnie e con le giurie, ha potuto ascoltare e farsi ascoltare, sperimentando come al centro di qualsiasi processo artistico ciò che conta davvero è l’Altro».
«I giovani giurati sono stati protagonisti del festival, molto più dell’anno scorso e forse più di altre giurie» – osserva D’Agata – «Teatri Riflessi è stato un luogo in cui hanno potuto dare e ricevere, offrendo degli spunti di rilievo. Uno degli obiettivi di questo nuovo ciclo, avviato con la settima edizione, è legato ai giovani. Il percorso che proponiamo dura un anno. Quasi tutto lo staff del festival è composto da studenti che sono entrati in contatto con noi attraverso il tirocinio universitario» – continua il direttore artistico – «La formazione dei giovani è fondamentale, in quanto può essere l’eredità che la vecchia generazione di IterCulture lascia alla nuova, per produrre in autonomia arte, culture e confronto».
Un momento degli incontri all'aperto (foto Alice D'Antone)
Al termine della serata finale pioggia di riconoscimenti per K(-A-)O del giapponese Kenji Shinohe (vai al trailer), che si è aggiudicato il Premio Giovanni Di Bella per il Miglior Corto, il Premio Valentina Nicosia per la Miglior Interpretazione, il Premio per la Miglior Drammaturgia, la Menzione speciale Alterità e la Menzione del pubblico, in aggiunta ai premi di ConFormazioni e del Teatro Tina di Lorenzo.
The Vitruvian Human dell’austriaca Hungry Sharks Company ha ricevuto il secondo Premio Teatro Tina di Lorenzo e il Premio per la Miglior Drammaturgia Danza, che è stato convertito in una borsa di studio, mentre Alldough di Machete ha ottenuto il Premio per la Miglior Regia e per la Miglior Drammaturgia Straniera, anche quest’ultimo in forma di borsa di studio.
All’opera italiana Zoe di Sara Baldassarre sono stati assegnati la Menzione della Stampa, la Menzione della Giuria Giovani, il premio speciale Etna in Scena. Makallè di Miriam Scala ha ricevuto i Premi speciali Grifeo e Cortile Teatro Festival.
La Commissione Drammaturgia ha, infine, conferito una menzione speciale per il testo del corto La vera storia di Turi 'u Bastaddu e Agatina puntini puntini di Turi Zinna.
Un frame del corto K(-A-)O del giapponese Kenji Shinohe (foto Alice D'Antone)