Simboli e significati del velo islamico

Simona Rubino, neo laureata al Disum, è intervenuta su alcune rappresentazioni contemporanee in occasione del ciclo di seminari “Conoscere il mondo islamico”

Francesca Pia Cassarino

Simboli e significati del velo: alcune rappresentazioni contemporanee. È il titolo del quinto incontro del ciclo Conoscere il mondo islamico promosso dal Dipartimento di scienze umanistiche.

In questa occasione, ad intervenire nell’ambito del secondo modulo, intitolato “Donne”, è stata la dott.ssa SimonaRubino, laureata con una tesi magistrale sui simboli e significati del velo islamico.

La ricercatrice ha elaborato una relazione basandosi su sei rappresentazioni del velo e ponendo un confronto tra paesi con tradizione islamica (Pakistan, Iran e Egitto) e paesi accomunati da tradizione occidentale e anti-islamica (Italia, Stati Uniti e Francia).

"In Medioriente il velo assume una interpretazione positiva, emancipata e figura come allegoria di cambiamento sociale”, ha spiegato. “In Occidente questo capo viene considerato strumento di oppressione e resistenza identitaria”, ha aggiunto. Questo, secondo la dottoressa Rubino, avviene perché “il mondo occidentale è stato condizionato dai pregiudizi, vede il mondo islamico come un mondo barbaro al quale si deve contrapporre la giusta democrazia”. “A complicare ancor di più le cose l’attacco alle Torri gemelle del 2001 che produsse un clima di terrore”, ha aggiunto.

Le sei rappresentazioni su cui la dottoressa si è concentrata assumono quindi diversi significati e sono inoltre sei diversi tipi di prodotti multimediali.

Nel territorio pakistano il focus è puntato su un cartone animato Burka Avenger creato dalla pop star Haroon Rashid.

La dottoressa Rubino ha precisato che “per comprendere al meglio le scelte effettuate in questo cartone si deve comprendere il contesto storico e sociale”. “Il Pakistan è una repubblica nata solo nel 1947 dopo aver conquistato l’indipendenza dalla Gran Bretagna – ha spiegato -. La popolazione, diversa per lingua e cultura, è unita solo dalla religione. La condizione della donna in questi paesi è disastrosa poiché le leggi vigenti sono la sacra legge dell’Islam (la shari’a ) e una condizione di separazione tra mondo femminile e mondo maschile”.

“La donna deve essere segregata in casa per badare alla prole e adempiere alle mansioni domestiche, per poter uscire dalla sua prigione deve indossare uno Jibab che è quasi una prigione portatile”, ha sottolineato. “Ci sono stati tentativi di emancipazione tra gli anni ‘50 e ’60, ma sono poi stati ostacolati negli anni ’70 dal generale Muhammad Zia ul-Haq che ha poi portato ad una escalation di violenze”, ha aggiunto.

Burka Avengers

Burka Avengers

Il cartone ha per protagonista una insegnante che combatte il crimine mascherandosi con il burqa per non svelare la propria identità e anche per, come suggerisce il suo creatore, assumere super poteri.

“Il cartone ha ricevuto diverse critiche - precisa la ricercatrice -, ma il creatore ha risposto sostenendo che vuole andare contro alla sessualizzazione delle super eroine e vuole esaltare il look della protagonista la quale non è costretta ad indossare il velo, anzi questo è un indumento di empowerment femminile”.

“L’eroina, inoltre, diventa paladina dei diritti delle donne – ha aggiunto -. Basti pensare che combatte contro i super cattivi (sempre uomini) ma il suo acerrimo nemico è un politico corrotto tradizionalista al quale scaglia libri e penne poiché la lotta che la protagonista porta avanti non è mai fisica”.

Una donna che combatte con il burqa e oggetti di cultura uomini che la vogliono segregare. “Tutto ciò è la rappresentazione di un Pakistan che cerca di auto-definirsi – ha aggiunto -. Il paese vuole infatti andare contro la cultura troppo tradizionale ma non vuole allo stesso tempo aprirsi del tutto alla tradizione occidentale”.

Il territorio iraniano è il secondo caso di studio che è stato sviluppato grazie al video della prima attivista iraniana per i diritti delle donne Vida Movahed che nel dicembre del 2017 ha tolto il suo hijab e lo ha legato ad un bastone per protestare contro l’obbligo del velo.

“Il suo video, grazie anche ai social media, è diventato virale così che molte altre donne hanno deciso di seguire Vida”, ha sottolineato la ricercatrice Simona Rubino.

Ma da cosa scaturisce l’obbligo di indossare il velo? Bisogna anche in questo caso fare un passo indietro e concentrarci sulla storia dell’Iran. “Nel paese si sono susseguite tre periodi: la dinastia Quajar, con il velamento; quella Pahlavi con lo svelamento; la repubblica islamica che ha imposto il ri-velamento – ha spiegato la dott.ssa Rubino -. Nel 1979 la Guida suprema dell’Iran Ruhollah Khomeyni impone con una legge l’obbligo del velo in quanto la sessualità femminile costituisce una minaccia per l’uomo e per questo il corpo deve essere coperto”.

“È anche vero che i diversi periodi iraniani hanno strumentalizzato il velo in modo che questo potesse adempiere agli scopi del governo, ad esempio la dinastia Pahlavi ha compiuto un processo di svelamento solo perché aveva intenzione di ridurre il potere del clero e aumentare il proprio”, ha precisato.

Il velo iraniano

Donna iraniana con il velo

In Egitto l’elemento di studio è una scultura intitolata Nahdat Misr, un gruppo scultoreo che rappresenta una sfinge (rappresentazione del vecchio Egitto) e una contadina che sta per svelarsi. Questa figura è “allegoria di un Egitto che sta cambiando”.

“Siamo nel 1928 in un contesto di anti-colonialismo e lotta contro il dominio britannico – ha spiegato -. La fallah ‘contadina’ che si svela diventa simbolo di un Egitto autentico che non è stato influenzato dall’Occidente ma che mostra il cambiamento in corso, il processo di modernizzazione”.

Passando al mondo Occidentale dobbiamo dire che le rappresentazioni analizzate sono simbolo di orgoglio per la cultura islamica ma  vengono prodotte da figure collegate a questo mondo che sono emigrate nei paesi Occidentali.

Abbiamo, infatti, il caso della canzone statunitense Hijabi (wrap my Hijab) del 2017 di Mona Haydar, rapper siro-americana, che insieme alle sue hijabi ladies ‘donne con il velo’ canta il suo orgoglio al ritmo di “I still wrap my hijab” (‘continuerò ad attorcigliare il mio velo’).

La ricercatrice precisa che “il velo si è intriso di valori americani, come l’individualismo, ed è diventato simbolo di espressione individuale”. “Le hijabi vogliono essere riconosciute sia dalla tradizione islamica che da quella americana”, ha aggiunto.

Anche per quanto riguarda il caso della Francia, il fenomeno di Princess hijab, figura misteriosa che produce un fenomeno artistico (quello dei graffiti), tende ad esaltare il velo e a unire due tradizioni diverse quella islamica e quella francese.

“Nel contesto storico della Francia c’è una grande presenza musulmana e ci sono stati molti dibattiti sul velo che hanno spaccato l’opinione pubblica tra chi a favore e chi contro – ha detto la ricercatrice -. Ci sono stati anche molti divieti nel corso degli anni che hanno imposto restrizioni sull’uso dello stesso, 1989, 2004 e poi 2010 quando il governo ha imposto che nessuno nello spazio pubblico può indossare qualcosa che nasconda il viso”.

In chiusura Simona Rubino ha concluso con il caso italiano.

Takoua Ben Mohamed, fumettista di origine tunisina ha pubblicato nel 2016 il fumetto Sotto il velo che tenta di combattere gli stereotipi con vignette umoristiche che descrivono delle situazioni che ogni donna vive giornalmente ma con qualche piccola differenza dovuta al velo – ha detto -. Le vignette hanno anche uno scopo didattico informando i lettori sulle tradizioni islamiche”.

La ricercatrice Simona Rubino

La ricercatrice Simona Rubino

Conoscere il mondo islamico

“Conoscere il mondo islamico” è titolo dei seminari didattici interdipartimentali promossi dal Dipartimento di Scienze umanistiche e che quest’anno è giunto alla decima edizione.

Quest’anno il ciclo è dedicato al tema Mondo islamico: guerre, diritti e manifestazioni artistiche. Per celebrare questa ricorrenza le docenti organizzatrici, Laura Bottini (Storia dei Paesi islamici), Mirella Cassarino (Lingua e letteratura araba), Alba Rosa Suriano (Lingua e letteratura araba) e Cristina La Rosa (Lingua e letteratura araba, coordinatrice) hanno pensato di riproporre tre delle tematiche che, nei laboratori precedentemente svolti, hanno riscosso un particolare successo fra il pubblico degli studenti e la società civile.

Si tratta delle riflessioni sulle guerre in area vicino e medio-orientale, sulle donne e sui processi di emancipazione femminile e su peculiari aspetti della produzione letteraria e artistica.