Esplorando la briosa e irriverente personalità del compositore Joe Schittino, autore di “Giufà”, poema sinfonico presentato in prima assoluta al Teatro Massimo Bellini di Catania nel corso della serata conclusiva della rassegna “Belliniana”
È solo un fanciullo, oltretutto ribelle e cretino (o forse semplicemente candido), eppure compare persino in Il mare color del vino di Leonardo Sciascia. È Giufà, le cui paradossali peripezie hanno attraversato secoli di tradizione siciliana. La penna del siracusano Joe Schittino gli ha cucito addosso una veste nuova, al crocevia tra tradizione e sperimentazione, catturando l’essenza dell’ambiguità in un sogno sonoro spassoso e vagamente gershwiniano.
Si intitola, giust’appunto, “Giufà” il poema sinfonico firmato da Joe Schittino per la serata conclusiva del festival “Belliniana”, rassegna di concerti in omaggio al Cigno di Catania. Eseguito in prima assoluta lo scorso sabato al Teatro Bellini e affidato alla bacchetta di Salvatore Percacciolo, “Giufà” traduce in musica le avventure di un personaggio scelto dall’autore per la sua fluidità: «È sciocco e furbo allo stesso tempo», sostiene il musicista.
Nel brano troviamo il simpatico episodio in cui la madre dice al giovane di “tirarsi la porta”, ma anche una tetra scena cimiteriale, per la quale il musicista ha recuperato dalla Cattedrale di Caltagirone una vecchia traccola a martello, arnese dal suono lugubre e crudo. «In Sicilia – spiega il musicista –, nella processione della Settimana Santa non si poteva suonare il campanello, perché l’energia evocata da questo strumento è festosa, poco adatta al dolore di Cristo. Al posto del campanello, si usava la traccola a martello». E intanto, alle spalle dell’orchestra, scorrevano le illustrazioni di Gitrop, autore emergente di graphic novel, che ha raffigurato Giufà come un bambino.
Il compositore è sempre stato affascinato da questo personaggio, sin dalla sua infanzia. Ma c’è di più: quinto di una serie di poemi sinfonici di ispirazione popolare, il brano porta anche il sottotitolo Un Till Eulenspiegel siciliano, a suggerire un raffronto tra il fanciullo nostrano e il coetaneo tedesco, figura del folclore medievale germanico. E se lo facessimo tra Giufà e Schittino stesso, il raffronto?
«Io sono un Giufà – ammette –. Sono una persona estremamente dispettosa, ma buona. Mi piace far divertire i musicisti e il pubblico». Inguaribile monello, riesce a infondere il suo sottilissimo humour anche nelle sue creazioni apparentemente più austere e serie, attraverso la simbologia, il gioco compositivo e anche qualche dispettuccio: «C’è sempre uno sfottò dietro – svela –, ad esempio mi diverto a creare delle serie ritmiche usando il codice morse, con cui evoco delle lettere che dicono, che so, una parolaccia». Il pubblico non se ne accorge, ovviamente. Tuttavia Schittino sostiene che «viene evocata un’energia».
Un momento dello spettacolo al Teatro Massimo Bellini di Catania
Giocare con le parole è il suo forte. È il caso di Nove Percezioni (2022), che non descrive nessuna percezione, né tantomeno nove cose. Piuttosto, ricorrono i titoli delle opere di Bellini, riadattati con varie permutazioni e giochi di parole, tant’è che il titolo non è altro che un anagramma di “Ioe [ossia “Joe”] per Vincenzo”.
Non che lo stile belliniano abbia particolarmente influenzato quello schittiniano, ma il Cigno «è figlio della nostra terra e la sua figura non conosce tempo né luogo. Lo vedo proiettato in tutto il mondo e in tutti i tempi», in linea con la sua concezione di “sicilianità”: «La Sicilia appartiene a tutto il mondo. Ecco perché non uso temi popolari per descriverla: qualsiasi stile si può riferire alla nostra terra». Non poteva pensarla diversamente lui, cresciuto a Siracusa: «in Ortigia c’è una sovrapposizione di stili architettonici, dal tempio arcaico al balcone anni ‘30, ma non c’è una cosa che dia fastidio o che sembri fuori posto. Questo è quello che, in proiezione, c’è nella mia musica».
Vive in una sorta di ucronia, atemporalità: «Se cancelli l’elemento lineare del tempo – spiega il compositore –, tutto può convivere e sta al suo posto perché è in ogni posto». È forse questo il segreto della musica di Schittino – che ama definirsi “tradizionale”, ma non “tradizionalista”. Ha la capacità di coniugare passato e futuro, un po’ come si è cercato di fare durante il concerto di gala che ha chiuso la rassegna Belliniana, dove la premiére di Giufà è stata affiancata da quella di Dionisio di Giovanni Ferrauto e da quella di Figlia del fuoco di Marco Taralli, ma anche dalla Sinfonia di Norma di Bellini e altri caposaldi del repertorio operistico, da Wagner a Puccini.
Joe Schittino con la traccola a martello