Il Catania Fringe Festival ha accolto il debutto di un monologo privo di retorica e luoghi comuni sulla piaga dell’omotransfobia
Fino a dove saremmo disposti ad arrivare per aderire agli stringenti canoni di ‘normalità’ a cui la società ci obbliga? Quanto è caro il prezzo per raggiungere la tanto agognata libertà di essere sé stessi?
Sono queste le premesse di Rumore Bianco – Confessioni di un insospettabile serial killer con fruscio di sottofondo, lo spiazzante monologo scritto e interpretato da Danilo Napoli andato in scena al Centro Universitario Teatrale nell’ambito della terza edizione del Catania Fringe Festival. Lo spettacolo, prodotto da Vitruvio Entertainment e Vitruvio Academy, ha debuttato nel capoluogo catanese con la regia di Yari Gugliucci.
La storia del protagonista, Cristiano, potrebbe essere quella di tantissimi giovani: figlio di una rispettabile e umile famiglia, un posto fisso al comune, una vita apparentemente tranquilla. Da subito, tuttavia, nell’aria si percepisce un senso di disagio, scandito dai rintocchi di un orologio che segna i minuti che mancano all’esplosione. Qualcosa in Cristiano è stato rotto, violato in nome di una mascolinità che annulla le differenze e soffoca sentimenti e pulsioni già in tenera età. Il ragazzo è solo al centro del palco, ai suoi piedi diversi indumenti femminili, mentre rivolge alla madre, evocata da una bambola accasciata su una sedia, un lungo e sofferto sfogo.
Cristiano con la bambola in un momento dello spettacolo
Le racconta cosa significa essere un ragazzo omosessuale in un contesto di ignoranza e chiusura, quanto sia tortuoso e solitario il cammino verso l’autodeterminazione, la brutalità di una terapia di conversione che ricorda la famosa Cura Ludovico di Arancia Meccanica. E soprattutto, le racconta la vita di Rossella, la donna transgender che amava e che sembra aver condiviso le sue sofferenze. Le parole di Cristiano, di tanto in tanto, sono interrotte dalle voci fuori campo di due giornalisti che parlano del presunto serial killer di cinque donne transgender. Possibile che questo ragazzo ferito e in preda a un delirio sia un efferato assassino?
La bellezza di Rumore Bianco si rintraccia nella dissoluzione dei confini tra realtà e immaginazione, sanità e follia. Nel momento in cui si crede di aver afferrato la verità, Cristiano rimescola le carte in tavola spiazzando il pubblico fino all’ultimo istante. L’intero spettacolo è un puzzle che, nelle mani del suo autore, viene scomposto e ricomposto per ricreare l’instabilità di una mente spezzata dalla violenza della nostra società, che si avvale finanche del fanatismo religioso per ‘correggere’ le deviazioni.
Un momento dello spettacolo
Dietro queste deviazioni, ci ricorda la storia del protagonista, ci sono uomini e donne con sogni e aspirazioni ingabbiati in un’eteronormatività che può arrivare ad annientare del tutto i più vulnerabili. Come Rossella, personaggio ispirato a una donna transgender realmente esistita che anni addietro ha animato l’ex ghetto delle prostitute di Genova, una zona abitata da sex worker che ne avevano fatto il loro ‘porto sicuro’ in un mondo che allontanava quelle persone che non avevano paura di esprimere pienamente sé stesse.
Non sapremo mai se Cristiano ha davvero ucciso Rossella e le altre donne transgender o se ha imboccato la via della normalità arrendendosi alle aspettative della sua famiglia. Tutto ciò a cui abbiamo assistito non è che un modo per vendicarsi, reagire alle storture subite da una collettività incapace di accettare ogni suo membro nella propria unicità.
L’opera di Danilo Napoli porta all’estremo la condizione di sofferenza di coloro che vengono spinti ai margini, spesso pure oltre, evitando di offrire al pubblico vuote consolazioni bensì rappresentando un rumore bianco, un’interferenza nelle nostre coscienze.
Cristiano interpretato da Danilo Napoli