Ripensare il management: la rivoluzione “unstoppable” femminista

Intervento della prof.ssa Elita Schillaci, ordinaria di Principi di Management di Unict e delegato alla Diversity & Inclusion per la Società Scientifica Italiana degli studiosi di management 

Elita Schillaci

C’è una rivoluzione silente (sebbene non troppo), inarrestabile, determinata e fortemente partecipata che sta imponendo il ripensamento dei modelli tradizionali di governo e di gestione delle imprese, a partire dalla concezione del potere, dal significato di valutazione di merito, dalla definizione del “successo”, personale e aziendale, dall’implementazioni di relazioni più autentiche con i consumatori.

È un’ondata trasversale, che già nel secolo scorso ha iniziato a battersi soprattutto contro la discriminazione di genere, ancora oggi purtroppo tristemente pesante all’interno delle imprese. Questa discriminazione rispetto al genere e contributo femminile si sono tradotti negli anni in mancato accesso all’occupazione, in ostacoli nell’avanzamento di carriera, in disparità di trattamento retributivo (gender pay gap) e in barriere rispetto alle posizioni di leadership (quello che in gergo tecnico chiamiamo “soffitto di cristallo”).

Tutto ciò drammaticamente persiste! Anzi, spesso i valori hanno segnalato tendenze al peggioramento, come puntualmente analizzato dal Report del World Economic Forum del 2022, che ha posizionato l’Italia in un degradante 116° posto su 156 Paesi del mondo in termini di equità “economica”di genere e come puntualmente ripreso dal recentissimo Report pubblicato dalla Banca d’Italia nel giugno 2023 dal titolo Women, labour markets and economic growth

Il Sud, in particolare, tristemente contribuisce in modo determinante all’appesantimento e declassamento del rating italiano sui temi della parità di genere. 

I dati sulla occupazione sono deprimenti; il dato più noto è il basso tasso di occupazione femminile che varia all’interno del Paese, ma che si attesta in modo drammaticamente ridotto al Sud (32,8% contro il 49,5%, del resto del Paese-Istat 2018). Me le donne italiane, e in particolare del Sud, si diceva, sono un soggetto debole sul mercato del lavoro anche sul fronte del gender pay gap. Vari indicatori sottolineano questo aspetto, tra cui il salario e la tipologia di lavoro. 

Con questi valori, l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa, seguita solo da Grecia e Malta. Eppure le donne italiane sono oggi più istruite degli uomini, anche negli studi post-laurea e rappresentano il 59,3% delle persone iscritte a dottorati di ricerca, corsi di specializzazione o master (Censis 2019). 

Puntare un dito sulla discriminazione non è un discorso vittimistico fatto dalle donne, per le donne e in circoli che interessano solo le donne. È una miopia imprenditoriale e manageriale che interessa uomini e donne! È un modello comportamentale ingiusto che riguarda il nostro Paese e le nostre imprese. 

E tale modello non è solo iniquo: è inefficiente, dispersivo e obsoleto e denuncia la mancanza di una visione strategica ed innovativa. È una dispersione autolesionistica di conoscenza.

Oggi questa ondata, partita dalle donne e dalla necessità di coinvolgere e valorizzare i talenti femminili, include in un’unica istanza uomini e donne, giovani e meno giovani, che lottano insieme contro le diseguaglianze di ogni tipo, di status sociale, di provenienza geografica, di razza, età, religione, orientamento sessuale, abilità fisica. 

Questa rivoluzione si batte contro il pensiero unico, affermando, invece, il valore delle diversità e della molteplicità dei punti di vista e soprattutto si scontra con le strutture gerarchiche patriarcali e burocratiche aziendali opprimenti e monolitiche.  

Gli esperti lo chiamano femminismo intersezionale, e le aziende più illuminate propongono strategie di Diversity & Inclusion, fortemente consapevoli che la diversità è una ricchezza ed una risposta alla complessità del mondo che ci circonda 

Affrontare questi temi nel management non significa dunque ghettizzare in una sterile contrapposizione uomini e donne, quanto piuttosto valorizzare l’integrazione, la visione aperta, includente e ricca di suggestioni diverse.

Oggi questa ondata inarrestabile di uomini e donne ricerca stili di vita diversi, strategie aziendali più compatibili con forme di sostenibilità personale e professionale, dimensioni sociali che riducano la competitività all’interno delle imprese. 

Le imprese devono capirlo e devono dare nuove risposte: la loro sopravvivenza è in gioco. Bisogna cambiare radicalmente la cultura d’impresa.

Ma devono capirlo anche gli studiosi di management, che possono in questa fase offrire modelli diversi di produzione del sapere e bussole innovative alla prassi manageriale. 

Adottare una prospettiva epistemologica femminista per gli studiosi del management può contribuire a ripensare e sfidare i costrutti di ricerca dominanti nel campo delle scienze manageriali secondo una nuova prospettiva. 

Può suggerire una rivalutazione dei paradigmi utilizzati nella ricerca per integrare diversità e superare pregiudizi. 

Prendere in considerazione una prospettiva “altra” nel management e nella formulazione delle teorie e mettere in discussione le nozioni tradizionali di potere, ruoli di genere e strutture organizzative, per innovare pratiche manageriali, processi decisionali e dinamiche professionali. 

Questi gli obiettivi al centro del convegno Feminist perspective in management: re-thinking dominant research theory and costructs organizzato dal Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania.

Questa la direzione. Il percorso è ormai avviato: è unstoppable e sono tante e tanti le donne e gli uomini che con tenacia, determinazione ed impegno stanno contribuendo al cambiamento per una società più inclusiva e sostenibile.

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