Intervista all’avvocata Maria Concetta Tringali, Consigliera di fiducia di Unict: «La violenza e le disuguaglianze si combattono restituendo dignità e diritti»
«Le parole sono importanti», urlava esasperato Nanni Moretti nella scena più celebre di “Palombella Rossa”. Uno sfogo sempre attuale, contro un utilizzo superficiale e sciatto del linguaggio: le parole che scegliamo di usare non cadono nel vuoto, ma riflettono chi siamo e influenzano le nostre percezioni, le nostre relazioni e l’intera società.
Ne è convinta l’avvocata Maria Concetta Tringali, nuova Consigliera di Fiducia dell’Università di Catania, designata per il biennio 2023/25. «Sono un’avvocata, declinazione al femminile voluta perché ritengo che il linguaggio sia importante», spiega.
Civilista del Foro di Catania da oltre vent’anni, l’avvocata Tringali si occupa di violenza domestica, anche in qualità di operatrice volontaria di centro antiviolenza. Nel 2019 ha pubblicato il libro Femminicidio e violenza di genere. Appunti per donne che vogliono raccontare (Edizioni SEB27), che analizza il triste fenomeno del femminicidio e incoraggia le donne vittime di violenza a denunciare gli abusi subìti, prendendo spunto dalla sua esperienza professionale e di volontariato.
Da anni i suoi contributi e le sue riflessioni sui temi dei diritti e della parità sono ospitati su MicroMega e Alley Oop, blog multifirma del Sole 24 Ore che si occupa di donne, inclusione e diversity, in linea con la sua formazione, che risente di una visione etica anche del giornalismo.
Qual è il ruolo della Consigliera di Fiducia? A chi si rivolge?
«Al di là degli strumenti di tutela che l’ordinamento offre, da oggi studenti e studentesse, docenti, ricercatori e ricercatrici, ma anche dipendenti del comparto tecnico-amministrativo dell’Ateneo potranno rivolgersi alla Consigliera di fiducia, laddove ritenessero di avere subito una grave forma di discriminazione, mobbing o molestie», spiega l’avvocata Maria Concetta Tringali.
«L’impegno – aggiunge - è di garantire attenzione all’intera comunità universitari, di assicurare un ascolto qualificato e attento, di fornire spiegazioni e strumenti per leggere gli accadimenti e cercare la soluzione più adatta. Il mio sforzo è proteso a riportare benessere e serenità nell’ambiente di lavoro e di studio».
Cosa si intende esattamente per “molestie sul luogo di lavoro” e in quali e quante forme si possono declinare e con quali conseguenze?
«È molestia ogni comportamento indesiderato; è poi circostanza aggravante l’esistenza di una posizione di asimmetria o subordinazione gerarchica», precisa.
«Quando l’atto o il comportamento indesiderato è a connotazione sessuale siamo poi nell’ambito della molestia sessuale – aggiunge -: ci riferiamo a qualsiasi tipo di discriminazione basata sul sesso o sull’orientamento che offenda la dignità e la libertà della persona che la subisce, come richieste implicite o esplicite di prestazioni sessuali, contatto fisico indesiderato, ma anche apprezzamenti verbali a sfondo sessuale, promesse, minacce o ritorsioni fatte per indurre o costringere a una prestazione sessuale».
«Ci si può rivolgere alla consigliera anche nei casi di molestia morale, ovvero di quei comportamenti ostili, diretti contro la persona, che creano un ambiente non rispettoso, umiliante o lesivo dell’integrità – spiega -. Penso ad esempio a comportamenti lesivi dell’immagine, della professionalità, tentativi di emarginazione e isolamento della persona».
«Consideriamo che è molestia anche ogni forma di ritorsione contro chiunque denunci comportamenti molesti o ne sia testimone – sottolinea -. Le ripercussioni di questo tipo di condotte sono molteplici e investono tanto la sfera professionale che quella personale».
Come garantire la riservatezza e la protezione per chi segnala un caso di molestia?
«Chi si rivolge alla Consigliera di fiducia deve sapere che chiede un colloquio assolutamente riservato, che in fondo sta incontrando un’avvocata tenuta agli obblighi deontologici, al segreto, oltre che ovviamente all’osservanza del Codice etico e di comportamento dell’Ateneo – precisa l’avvocata Maria Concetta Tringali -. Il mio intervento si dispiegherà pertanto nella massima riservatezza. Nessuna iniziativa, inoltre, sarà assunta senza che previamente ci sia stata una espressa manifestazione di consenso da parte della persona interessata. Se dovessi riferire delle connotazioni di questo rapporto professionale, direi certamente disponibilità, rispetto e fiducia reciproci».
In che modo le politiche aziendali possono contribuire a prevenire le molestie sul luogo di lavoro e a promuovere un ambiente inclusivo? La comunità accademica (docenti, studenti, dipendenti) può contribuire attivamente alla prevenzione delle molestie?
«Le attività di prevenzione sono un compito preciso del datore di lavoro, specie nelle comunità complesse, ma tutti possono e devono contribuire a creare un clima sereno e rispettoso. Non si può prescindere secondo me da una penetrante azione di sensibilizzazione e insieme di formazione contro le discriminazioni», continua la Consigliera di fiducia.
«Centrale è anche un’attenta valutazione del rischio, la definizione degli obiettivi e delle strategie, il successivo monitoraggio degli interventi e del loro impatto sul benessere delle persone – aggiunge -. Va tenuta nella dovuta considerazione la asimmetria dei rapporti: dove c’è una condizione di subordinazione, che in ambito lavorativo o di studio si spiega con motivi di tipo gerarchico, l’attenzione deve farsi massima».
Da tempo si cerca di promuovere il concetto di inclusione in ambito scolastico, sociale, professionale, finanziario. Quali passi avanti sono stati fatti in tal senso, e quanto c’è ancora da lavorare?
Certamente, si sono registrati dei passi in avanti. Il diritto eurounitario, anche in questo ambito, è servito da stimolo. Figure come quella della Consigliera di fiducia sono previste dalla Raccomandazione della Commissione Europea del 1991 sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro, dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 1994. Oggi abbiamo gli strumenti, c’è il Piano per l’Uguaglianza di Genere di Ateneo adottato per allinearsi agli Obiettivi dell’Agenda 2030 ONU: eliminare ogni forma di violenza nei confronti delle donne (sia nella sfera privata sia in quella pubblica) e ridurre le disparità.
Lei si occupa da sempre di diritti civili, collaborando anche con il Centro Antiviolenza Galatea, che aiuta le donne vittime di violenza domestica. Nota un aumento di casi di violenza negli ultimi anni?
«La violenza agita nel mondo contro le donne (e le bambine) è un fenomeno dalle dimensioni mostruose. Oltre cento femminicidi all’anno solo in Italia, una donna su tre ha subito una qualche forma di abuso nel corso della vita. L’aumento dei casi che la cronaca ci consegna va letto non tralasciando il contesto, mi riferisco ad esempio all’incidenza del sommerso», ci tiene a sottolineare.
«E poi c’è la percezione delle vittime – continua -. Ho assistito donne di ogni età e di ogni ceto sociale, alcune persino dotate di importanti strumenti economici e culturali, e altre donne invece che erano state del tutto deprivate di ogni forma di autonomia, non solo patrimoniale ma anche decisionale. Molte percepiscono gli abusi come “normali”. Ritengo che si abbia il dovere di aiutarle a ricostruire il concetto di normalità: la normalità non è sottomissione, né accettazione passiva. La violenza e le discriminazioni si combattono restituendo dignità e diritti».
«Per restare sul punto, il fenomeno si contrasta garantendo alle donne un lavoro, di che pagarsi un affitto e le bollette, una casa in cui crescere i figli e queste sono responsabilità collettive. I dati servono a capire, ma se non si incide sulla cultura della parità e del rispetto è facile che quelle oscillazioni statistiche siano solo un pendolo tra il sommerso e il denunciato», aggiunge.
Ritiene che l’emancipazione della donna e la sua affermazione anche in ambito professionale possano giocare un ruolo determinante per quanto riguarda non solo i casi di violenza e femminicidio, ma anche di abusi in ambito lavorativo?
«Che gli equilibri per come li conosciamo si siano incrinati, non credo ci possano essere dubbi – precisa -. Finalmente, sono molte le donne che hanno un lavoro fuori di casa, una carriera, che decidono per sé. Il gender gap resta un problema: la media UE in tema di parità di genere nel 2023 è del 70.2% (dove 100 rappresenta la parità totale tra uomini e donne) ed è in aumento per la prima volta dal 2013. Tuttavia, il nostro Paese resta indietro pressoché in ogni ambito».
«Il Global Gender Gap Report del World Economic Forum per il 2023 attesta il livello di disparità di genere nel mondo su percentuali alte, il 68,4%, dicendoci in parole povere che serviranno 131 anni per raggiungere la piena parità».
Ultimamente sembra di assistere a una pericolosa inversione di tendenza: stanno riemergendo razzismo, sessismo, omofobia, bullismo, nostalgia del patriarcato, tendenze politiche estreme che sembravano ormai scomparse. A cosa può essere dovuto questo fenomeno? Impoverimento culturale, social network, problemi sociali non risolti, crisi economica, paura…?
«I motivi sono molteplici – precisa -. Io di risposta ne ho una sola: dobbiamo ripensare i rapporti umani, sociali o affettivi che siano. Siamo chiamati e siamo chiamate a un impegno gravosissimo ma ormai improcrastinabile: senza una rivoluzione culturale non si cambia passo».
«Il patriarcato - dice in chiusura l'avvocata Maria Concetta Tringali - per rimanere ancorati all’attualità è nelle regole che la società si è data, è negli stereotipi sessisti che troviamo talvolta anche nelle aule di giustizia, penso alla rivittimizzazione delle donne nei processi per stupro che ci è costata la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, penso alle vittime di violenza domestica tacciate di essere “madri alienanti”, sulla base di costrutti ascientifici, come la Sindrome di Alienazione Parentale».
La consigliera di fiducia di Unict Maria Concetta Tringali