Intervista al disegnatore e illustratore erede del personaggio immortale delle sorelle Giussani presente a Etna Comics 2024
La quindicesima edizione di Etna Comics porta in basso a destra la firma di Zerocalcare, creatore della copertina, raffigurante Pirandello con numerosissime maschere di personaggi della cultura pop. Ma quelle del manifesto non sono state le uniche: nell’Area Comics c’è stata un’altra maschera, nostrana, che si è fatta strada in maniera costante nel panorama fumettistico italiano, ed è quella di Diabolik, affidata alle abilissime mani di Riccardo Nunziati.
L’artista della casa editrice Astorina, vincitore del premio Anafi nel 2016 come miglior artista esordiente, ha lavorato a tredici albi della serie inedita di Diabolik e molto altro ancora. Ci parla del suo percorso in questa breve intervista concessa a UnictMagazine.
Quali sono stati i tuoi primi passi?
«Il mio percorso come disegnatore inizia innanzitutto con tanta passione. Si parla spesso di talento, ma non è rilevante, alla fine quello che importa veramente è il lavoro, lo studio, il rispetto per la casa editrice per cui lavori, per il personaggio e per le scadenze. Bisognerebbe spiegare ai ragazzi che, se ti approcci ad un fumetto già esistente, è necessario tanto lavoro, testa bassa e ascoltare. Ho iniziato dopo aver preso il diploma da ragioniere e poi ho fatto la scuola di Comics a Firenze, dove è nata la passione. Successivamente ho cominciato ad approcciarmi alle case editrici più importanti. Mi è stato detto di no molte volte, l’importante è non scoraggiarsi mai. A forza di insistere e prendere porte in faccia ne ho trovata una aperta. La mia prima occasione è stata con Star Comics e il mio primo lavoro l’ho fatto con Paola Barbato. Dopodiché sono passato a ReNoir e a Bonelli facendo delle storie brevi con Dylan Dog; infine sono approdato ad Astorina, dove ho trovato una seconda famiglia».
Riccardo Nunziati mentre incontra alcuni ammiratori ad Etna Comics
Chi sono stati i tuoi punti di riferimento?
«Nasco da un fumetto americano, Neil Adams, John Buscema… Poi cresci e osservi i modi di inchiostrare, le trovate geniali. Ma il mio primo vero amore, ciò che mi ha fatto capire che il disegno faceva parte di me, è stato Dylan Dog. Uno dei miei punti di riferimento iniziali era Claudio Cardellini, ma ormai non è rimasto più nulla di lui nel mio modo di disegnare, sono molto più italiano. Ora che sono su Diabolik studio molto il personaggio: meno tratteggi, meno fumetto autoriale».
Oltre a Dylan Dog e Diabolik, hai lavorato anche a L’insonne, nello specifico al volume Danza della dipendenza
«L’insonne è stato in realtà il primo fumetto in assoluto a cui ho lavorato. A darmi fiducia è stato un ragazzo che vedevo passare alla scuola di comics, che stava sbarcando in edicola con un personaggio tutto suo, L’insonne, di nome Giuseppe Di Bernardo. Mi ha fatto disegnare le prime sei pagine del volume uscito prima online e poi cartaceo a colori sulla rivista Valhalla e su un volumetto celebrativo in bianco e nero intitolato Interferenze. È stato un modo di approcciarmi dalla scuola al fumetto vero. Di Bernardo inoltre era il redattore di Star Comics quando, l’anno dopo, ho lavorato al primo fumetto da professionista per la casa, mi ha anche ceduto la mia prima storia fuori serie per Diabolik. Se ora sono sul re del terrore lo devo a Giuseppe, ormai collega e amico».
Una copertina di Diabolik disegnata da Riccardo Nunziati
Per Astorina hai lavorato insieme ad altri autori, in Ho ucciso Eva Kant hai fatto le chine sulle matite di Emanuele Barison
«Quello è stato il primo albo a cui ho lavorato. Anzi, il primo effettivo è stato un albo di Giuseppe. Mi ha chiesto di fargli il layout fino a pagina 52 della storia. Così ho iniziato ad approcciarmi ad Astorina direttamente con una sua storia, uscita mesi dopo la mia prima ufficiale. Alla cinquantaduesima pagina mi telefona la redazione e mi chiede se fossi disponibile a inchiostrare in fretta e furia un albo da pubblicare con urgenza e accetto. Vedendo il mio layout, l’anno dopo mi hanno assunto come matitista invece che inchiostratore, e, insieme alle chine, alla fine è stato direttamente il pubblico a chiedermi un albo interamente disegnato da me, così è nato Nel nome dei Kant, l’albo dei sessant’anni di Eva».
Hai fatto anche la copertina ufficiale per il Museo Nazionale del Cinema di Torino in onore dell’uscita del film Diabolik dei Manetti Bros
«È stata una splendida occasione. Mi chiamano un martedì chiedendomi un lavoro finito entro il giovedì e io accetto. Ho lasciato tutto quello che stavo facendo, mi sono messo a lavorare, ho portato diverse opzioni che era quello che mi veniva richiesto, ovvero gli occhi di Diabolik in bianco e nero con la Mole davanti, ma avevo portato anche versioni più personali, una silhouette bianca della Mole per dare un tono più grafico e un’altra con gli occhi di Diabolik a colori; l'impegno in più è stato ripagato, alla fine hanno scelto la versione a colori. Vedere il mio lavoro proiettato sul tetto della Mole Antonelliana, sede del Museo del cinema di Torino, per un mese, otto metri di illustrazione di fronte al monumento, tappezzato di questi occhi, vedere i turisti che passavano farsi il selfie (che con tutta probabilità non avevano idea di chi fosse, ma anche questa è la forza del personaggio) è stato impagabile. Ho avuto altre occasioni molto importanti, come un murales ad Addis Abeba con il Ministero degli Esteri italiano. Tutte bellissime occasioni che ti ripagano delle notti insonni».
L’artista in posa con una sua china originale
Dopo tanto tempo, dedicato alle illustrazioni e ai disegni di Diabolik, ti identifichi con il personaggio?
«Io sono di scuola bonelliana, oltre ad essere nato come amante e collezionista di Dylan Dog, devo tanto alla scuola americana (Le Mage, La morte di Superman, Castellini, Rinaldi). Diabolik nella mia mente era il fumetto da spiaggia, quella cosa veloce da leggere che alla fine era l’intento delle sorelle Giussani. Quindi all’inizio non era un fumetto interessante a livello grafico e avendo la possibilità di studiarlo dall’altra parte della scrivania posso dirti che Diabolik è un gran ‘figo’ e che, dopo 62 anni di storia, essere ancora in auge ed essere passato al secondo fumetto più venduto in Italia superando Dylan Dog è una grande soddisfazione per me che ci lavoro. Diabolik è un personaggio che al contrario di quello che pensavo è difficilissimo: le storie sono molto complesse e il target è ampissimo, mi capita spesso di trattare anche temi sensibili».
«Ad esempio, un tema che tratterò nell’albo che ho appena consegnato e che sarà in edicola ad agosto, è quello degli snuff movies. Non è facile trattare questi temi, bisogna avere un tatto e un’eleganza che solo il re del terrore riesce ad avere oggi. Ho trattato di abusi su una ragazzina di sette anni da parte dello zio; da lì ho capito che Diabolik è un personaggio rispettabilissimo e difficilissimo da disegnare, in quell’albo ho trattato un tema così importante in cui non si è mai visto niente (nella scena dell’abuso si vede soltanto un’ombra che incombe sul lettino della bambina e l’orsacchiotto che cade dal letto). L’adulto riesce a percepire il messaggio, mentre, come mi è capitato, una bambina no, ed è questa la potenza di Diabolik: riuscire ad essere fruibile per tutti e dare messaggi importanti indirizzandoli solo a chi vuoi, l’unico che tutt’oggi riesce a fare qualcosa del genere».