In occasione della XIV edizione di Taobuk, il dialogo tra lo scrittore Premio Nobel Jon Fosse e Sabina Minardi, responsabile delle pagine culturali dell’Espresso
Con una scrittura che travalica lo spazio e il tempo per dar voce all’indicibile, a una visione in cui le singole identità si mescolano, si ricompongono e si sovrascrivono cicliche, in un mosaico di ammaliante bellezza, JonFosse è il cantore dei destini universali.
Attraverso un percorso che da un capolavoro come Melancholia arriva fino alle opere più recenti, lo scrittore Premio Nobel per la Letteratura 2023 – nel corso di un dialogo moderato da Sabina Minardi, in piazza IX Aprile a Taormina – ci ha accompagnato nel suo mondo narrativo teso alla ricerca del significato supremo dell’esistenza.
I temi dell’incontro sono stati molteplici, dall’infanzia trascorsa nella città norvegese Haugesund, che ha plasmato il modo di essere dell’autore, all’utilizzo della lingua nynorsk, utilizzata solo dal 10% della popolazione norvegese, passando al rapporto con il concetto di identità, tema principale della XIV edizione di Taobuk, la festa della letteratura, delle arti e del pensiero in programma dal 20 al 24 giugno a Taormina.
Consapevole che l’acqua e il mare ricorrono sempre nei libri di Fosse, Sabina Minardi ha dato inizio alla conversazione chiedendo all’autore se la sua scrittura sarebbe stata diversa se, anziché nascere nel Mare del Nord, fosse nato qui in Sicilia, in particolare a Taormina.
Il Premio Nobel 2023 ha risposto: «Devo dire di sì; rispetto al paesaggio della mia infanzia questo è un mondo completamente diverso. E poi, nella parte occidentale della Norvegia siamo tutti tranquilli, parliamo poco e siamo silenziosi, qui non c’è lo stesso tipo di situazione, forse».
«Cosa ne pensa – ha proseguito Minardi – di questa popolarità e del fatto che, malgrado la sua riservatezza, le informazioni riguardanti la sua vita sono reperibili molto facilmente?». Nella replica di Fosse, «c’è una grandissima differenza tra diventare scrittore e diventare un personaggio pubblico. Io sto alla larga da ogni evento sociale, mi piace vivere a casa con la mia famiglia, vado raramente al teatro per scrivere».
La presidente e direttore artistico di Taobuk, Antonella Ferrara, e lo scrittore Jon Fosse
«A me serve molta concentrazione e scrivere un lavoro teatrale significa mettere insieme una grandissima quantità di elementi; se perdo il filo del discorso devo ricominciare tornando al livello precedente, per questo vivo una vita noiosa – continua Fosse -. Cerco sempre di sfuggire a eventi come questi, per me sono un dolore atroce, mi portano via dal mio universo. Sono rimasto a casa per quindici anni per dedicarmi alla scrittura dei miei romanzi, finché non ho ricevuto il Nobel che mi ha ‘distrutto’ la pace di cui godevo».
Continuando ad approfondire il discorso sulla sua solitudine, la coordinatrice dell’evento ha chiesto quindi: «I suoi personaggi sono dannatamente soli e descritti in uno stato di attesa. Cosa aspettiamo e quale rivelazione ci attende?». «Per qualche motivazione siamo capitati in questo mondo – ha dichiarato l’autore – e rimaniamo qui per 60/80 anni, se siamo fortunati, per poi sparire dalla circolazione. Per questo posso dire che aspettiamo di sparire».
Toccando un altro aspetto fondamentale, «Lei scrive in una lingua utilizzata solo da una minima parte della popolazione norvegese. Per Lei è un fatto naturale utilizzare il nynorsk o c’è un valore politico, un’intenzione di proteggerla dalle minacce?», ha chiesto Minardi.
Jon Fosse e Sabina Minardi
«C’è anche questa implicazione nella scelta della lingua usata – ha spiegato Jon Fosse – tuttavia, la impiego soprattutto perché è la lingua che ho imparato a scuola e che utilizzavo da piccolo. Crescendo ho capito che non la parlavano in molti ma ho continuato lo stesso, le lingue scandinave sono reciprocamente comprensibili e ogni norvegese può comprendere il contenuto dei miei libri».
Sul tema dell’identità, infine, lo scrittore ha affermato: «la letteratura che io amo appartiene a quel luogo non identificato in cui non c’è un’identità specifica, si può parlare di tutto e del contrario di tutto. La definizione di identità assomiglia a definire Dio: se tu dai un’identità a Dio, non parlerai più di Dio».