Successo di pubblico per il secondo appuntamento della rassegna CineCut. Proiettato anche il cortometraggio della studentessa Noemy Tonsuso
Ha riscosso un notevole successo di pubblico il secondo appuntamento della rassegna CineCut promossa e realizzata dagli studenti dell'ateneo catanese e dalla curatrice Giulia Di Perna.
Nei locali del Centro Universitario Teatrale dell'Università di Catania, per il secondo incontro, è stato proiettato il cortometraggio della studentessa Noemy Tonsuso e a seguire il film Her di Spike Jonze. Al termine della visione il dibattito con Sebastiano Battiato, docente del Dipartimento di Matematica e Informatica.
Il corto Child Explotation
«Un bambino dovrebbe avere il diritto di amare e di essere amato, vivere al sicuro, giocare, ricevere un’adeguata educazione per diventare un giorno chi vuol diventare»: è l’ideale affermato dal cortometraggio Child Exploitation di Noemy Tonsuso (studentessa di Lettere dell’Università di Catania), che si desidererebbe concreto nella pratica a livello universale ma che non lo è stato e non lo è ancora oggi.
«Ho realizzato questo corto – ha dichiarato Noemy prima della proiezione – ispirata dalla lettura diOliver Twist di Charles Dickens. È stato l’impulso principale di una riflessione sullo sfruttamento minorile, ma più in generale sul tema dell’infanzia negata, di cui è testimone la letteratura da Ciàula scopre la luna di Luigi Pirandello ai versi de Les Contemplations di Victor Hugo. Nel corto è presente anche un inserto della trasposizione filmica Labirinto Visivo (2013)».
Il cortometraggio mostra come la storia di un’età mortificata abbia tracciato anche segni sull’arte pittorica e scultorea come nel quadro Nel casello di Cirillo Manicardi o ne L’acquaiolo di Vincenzo Gemito e Carlo Fontana.
Nel film sono cuciti insieme anche diversi brani cinematografici. Si pensi alla commuovente scena ormai cult de La vita è bella (1997) in cui Giosuè, pur all’interno di un Lager, regala con il padre Guido una sorpresa alla mamma. Molti degli inserti scelti sono significativi di un’innocenza che dalla Rivoluzione Industriale agli orrori della Seconda Guerra Mondiale è stata snaturata e continua a subire la stessa offesa: se si osservano, per esempio, attraverso gli inserti documentaristici del corto gli occhi o si ascoltano le parole di ragazzi provenienti da paesi in via di sviluppo, in cui da protagonisti chiedono l’unica via di rivendicazione personale per chiunque, l’istruzione.
«With the hope of change» è l’augurio finale e necessario del film.
Her (2013)
Dopo l’apertura che ha richiamato il bisogno di un’attenzione a ciò che è ‘umano’ e tale deve essere riconosciuto, è seguita la proiezione di Her del regista americano Spike Jonze (2013). Qui, protagonista è Theodore, un uomo che si innamora del proprio sistema avanzato di assistenza virtuale, Samantha. Un ribaltamento, quindi, che ha però messo in luce punti di affinità rispetto alla prima parte anche in un’ottica ‘non umana’.
Al termine della visione si è svolto infatti un lungo e partecipato dibattito introdotto dal professore Sebastiano Battiato, docente di Informatica presso il Dipartimento di Matematica e Informatica; Guido Leonardi e Giorgio Musumeci, studenti di Giurisprudenza.
Il tema dell’intelligenza artificiale ci attrae oggi più che mai per la sensazione di ‘stupore’ generata di recente dall’utilizzo di Chat GPT, un algoritmo di ricerca bloccato in Italia dalla fine di marzo, come ha ricordato anche il professore Battiato in apertura.
«Malgrado quanto presagito negli anni ‘50 da Turing, padre della Computer science e tra i più grandi matematici del XX secolo, ovvero che l’incapacità di distinguere tra macchina ed essere senziente è lungi dal concretizzarsi, come pure remota è al momento l’assunzione di coscienza da parte di un sistema operativo, facciamo esperienza di quanto l’AI ci spiazza, fornendoci l’impressione di colpire sensi percettivi e immaginario. Prendiamo per esempio la possibilità di realizzare una foto da parte di strumenti simili. Essa bypassa il nostro comune sistema razionale, tra stupefazione e inquietudine».
Riguardo alla co-protagonista in absentia di Her infatti, facendo seguito al discorso del docente, una studentessa è intervenuta evidenziando come «la si potrebbe intendere come un’evoluzione delle app di dating, piattaforme su cui è possibile intrattenere conversazioni con chi conserva l’immaterialità del virtuale in mancanza di un incontro, che non è detto avvenga mai».
L’affinità tra le speranze riposte dal protagonista in Samantha e il rapporto consueto con il mondo social è stato il fil rouge di più intervenuti: «all’algoritmo di Instagram o Facebook, talvolta inconsciamente, non domandiamo una diversa intermediazione rispetto ad un mondo troppo vasto – lo stesso mondo fatto di nebbia e grattacieli in numerose scene di Her – e da cui speriamo di trovare un rifugio, una ‘bolla’ di comprensione e legittimazione».
CineCut, un momento dell'incontro
Qualcuno tra i presenti ha aggiunto come «nel bisogno vicendevole tra Theodore e Samantha vi sia la brama umana e moderna di acquisire e acquistare l’occasione di esserci e soprattutto di essere», in uno spazio contraddittoriamente ristretto e sconfinato, la cui principale esperienza condivisa è la solitudine: è questo, a detta di un’altra studentessa, il vero tema del film.
Le considerazioni del confronto sono state rivolte in generale quindi a quanto il film contenga paradossalmente degli elementi intorno all’umano nel rapporto dei protagonisti. La discussione ha evidenziato, infatti, aspetti comuni a una qualunque relazione fra esseri umani: la necessaria dose di finzione, di emulazione di quel che vorremmo avvicinare a noi per adeguarci meglio e di più all’altro, al mondo di cui fa parte; e la tendenza naturale adinvaghirci del desiderio custodito in chi ci è di fronte.
Uno studente ha citato anche alcune idee di Walter Benjamin sul rapporto con le tecnologie per parlare della propensione di ogni uomo ad umanizzare ciò con cui entra in contatto, dagli animali domestici ai sistemi meccanici, ritagliando così una familiare comfort-zone. Tale comodità non equivale, tuttavia, allo scambio con una reale alterità, se essa non riesce a conoscere i limiti che la individualizzino attraverso una forma. È ciò che comprende Theodore nel momento in cui scrive la prima lettera che lo riguarda all’ex moglie Catherine: dopo aver dato a lungo forma, ovvero parole, alle vite altrui, scopre un ‘sistema vitale’ perché parte del proprio.
«È questo che abbiamo provato durante gli anni della pandemia. Tutti abbiamo accettato la realtà filtrata da uno schermo, a patto che dall’altra parte ci fosse qualcuno che, rispondendo, ci permettesse di andare avanti col nostro lavoro, con lo studio, con la vita». E tuttavia gran parte di noi ha compreso che non basta, che proviamo la mancanza del nostro stesso corpo, se non ne possiamo toccare un altro.
Il Cine-Cut prosegue e vi dà appuntamento a giovedì 11 maggio per la visione di The Place di Paolo Genovese (2017).