L’intervista al regista e sceneggiatore Giancarlo Scarchilli sul suo ultimo docufilm dedicato all’intellettuale bolognese
Giancarlo Scarchilli ha firmato diverse sceneggiature per i film di Sergio Citti e Vittorio Gassman, prima di esordire alla regia con Mi fai un favore (1996). Tra le sue opere ricordiamo Vittorio racconta Gassman (2010), presentato all’inaugurazione della 67ª Mostra dell'Arte Cinematografica di Venezia, e The King of Paparazzi (2018), che racconta la Roma degli anni ’60 attraverso gli scatti di Rino Barillari.
Alessandro Di Costa lo ha incontrato per parlare del suo ultimo docufilm "Pier Paolo Pasolini – Una visione nuova" (2022)
Il regista Giancarlo Scarchilli (foto di Mg Production)
Che cosa l’ha spinta, al di là del centenario, a realizzare oggi un film documentario su Pasolini?
Le mie origini nel cinema. Ho iniziato come collaboratore alla regia di Sergio Citti nel film Due pezzi di pane del 1978. Questo mi ha permesso di entrare in contatto con l'universo Pasolini dall’interno. Poco dopo è arrivata la regia de Il minestrone (1981), con Roberto Benigni e Giorgio Gaber, e Sogni e bisogni (1985) con vari attori italiani (Proietti, Tognazzi, Villaggio, Verdone, Pozzetto, Masina). Attraverso queste esperienze ho cominciato a conoscere tutte le persone che si sono formate con lui.
Mi ha sorpreso scoprire per esempio che Bernardo Bertolucci scriveva poesie quando Pasolini lo coinvolse in Accattone (1961) come suo aiuto regista. Vincenzo Cerami, scrittore e sceneggiatore –candidato agli Oscar per La vita è bella (1997) con Benigni – era stato un suo allievo di scuola media prima di essere coinvolto nel film Uccellacci e uccellini (1966) come assistente alla regia. Dante Ferretti, diventato in seguito uno dei più famosi scenografi italiani, ha firmato la sua prima scenografia per Medea (1969) di Pasolini.
E potrei continuare, perché Pasolini ha aperto la strada a tanti altri. Il direttore della fotografia Tonino Delli Colli racconta che quando lo ha incontrato è cambiato il suo modo di intendere il cinema. Il montatore Nino Baragli ha cominciato con Accattone a vedere il cinema d’autore in un altro modo, arrivando poi a collaborare con registi del calibro di Sergio Leone, Fellini e tanti altri. Ennio Morricone da Uccellacci e uccellini (1966) in poi ha musicato tutti i film di Pasolini.
Per questo credo che la chiave del mio film documentario Pier Paolo Pasolini – una visione nuova (2022) stia nel fatto che Pasolini era come un ‘rabdomante del talento’. Lo intuiva dove nessuno lo vedeva.
A sua volta però Pasolini ha avuto un percorso di confronto aperto e di stimolo reciproco con i più ‘grandi’. Parlo soprattutto di Sergio Citti che all’inizio era addirittura un pittore edile, cioè un imbianchino. Eppure è diventato un narratore delle borgate e ha aperto un mondo a Pasolini con i suoi racconti. Il loro connubio secondo me è stato straordinario perché Sergio gli parlava di quell’ambiente e Pier Paolo lo ha saputo tradurre con il suo talento plurimo. Lo ha fatto prima con un romanzo, Ragazzi di vita (1955) e poi con il film Accattone, nato da un fogliettino su cui Sergio Citti aveva appuntato un sogno.
Che cosa pensa sia passato del cinema di Pasolini in quello di Citti, e quanto è arrivato a lei?
È difficile capire quanto è dell'uno e quanto è dell’altro. Ne ho anche parlato con il regista Pupi Avati, uno dei testimoni nel mio film, che ha lavorato con loro alla stesura del film Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975). Alla fine della nostra conversazione notava che oggi si pensa sempre a quanto Pasolini abbia influenzato gli altri, ma quanto Sergio Citti ha influenzato Pasolini?
Per farvi capire il rapporto tra i due credo ci sia un riferimento particolare: quando uscì Il Decameron (1971) di Pasolini, divenne un grande successo commerciale. Nacque un ‘genere’ cinematografico e l'industria cominciò a cercare libri ‘spinti’ su cui fare dei film. Per caso, uscì fuori da una bancarella un libro di de Sade. Il produttore interessato chiese a Pupi Avati di sviluppare una sceneggiatura. Quando fu terminata, disse: «A chi lo proponiamo?».
In quel periodo era uscito Storie scellerate (1973) di Sergio Citti, un film che fece molto scalpore per la sua anarchia visiva e narrativa. Colpì molto e gli proposero il film. Sergio iniziò a confrontarsi con Pier Paolo e arrivarono alla conclusione che la sceneggiatura proposta andava rivista. Chiesero allora di avere il libro da cui era tratta. Pupi Avati lo portò a casa di Pasolini, suonò alla porta e aprì Pier Paolo.
Pupi disse coraggiosamente: «Io sono quello che ha scritto la sceneggiatura che non vi è piaciuta e questo è il libro». E Pasolini fece una cosa meravigliosa. Gli disse: «Prego, entra. Accomodati». Nel documentario Pupi fa una bella considerazione a tal proposito, dicendo: «La differenza è tra chi ti ringrazia per averlo portato e ti chiude la porta, e chi invece ti fa entrare».
Il film era per Sergio, ma sviluppando insieme la sceneggiatura Pier Paolo disse a Sergio: «Sai che questo film mi sta prendendo sempre di più?». E Sergio rispose: «Ma qual è il problema? Fallo tu!». Ecco, questo vi fa capire il rapporto tra i due, una fusione meravigliosa.
Quindi possiamo dire paradossalmente che Pasolini ha cambiato anche la mia vita, perché aveva cambiato prima quella di Sergio Citti.
Cosa si intende per ‘visione nuova’?
Nel ’55 Pasolini pubblica Ragazzi di vita, cambiando la letteratura. Prima non si era mai avuto un romanzo con protagonisti prostitute, ladri o magnacci, giudicati gli ultimi dalla società borghese. Comincia da lì a fiorire nel cinema la ricerca di storie simili, chiamando lo stesso Pasolini a collaborare a queste sceneggiature.
Accattone (1961) ha cambiato poi il modo di intendere il cinema. Anche lì vi sono come protagonisti persone che prima non lo erano mai state. Pasolini sceglie tra gli attori un ragazzo di borgata come Franco Citti. E in quel film fa un’altra cosa rivoluzionaria: in una storia piena di personaggi e scene discutibili, cosa fa? Inserisce la musica sacra di Bach. Che cosa ci vuol dire con questo? Ci dice una cosa straordinaria per l'epoca e anche per oggi: in ogni essere umano c'è sacralità e va rispettato, al di là dell'apparenza. È un pensiero totalmente nuovo. Quando muore Accattone, ci dispiace. Ma lo abbiamo visto far prostituire le donne, sappiamo che è un ladro che ruba la catenina al figlio, però ci affezioniamo a lui perché è un essere umano. E questo, secondo me, è un modo di vedere dirompente che Pasolini ci ha lasciato.
Ricordo anche che a un convegno dopo la sua morte – coordinato da Ettore Scola e Vittorio Gassman e seguito da centinaia di persone (c’erano fra gli altri Attilio e Bernardo Bertolucci, Gore Vidal e Francesco Rosi) – Francesco Rosi a un certo punto disse: «Io compravo il Corriere della Sera per capire che cosa pensasse Pasolini su ciò che stava accadendo». Era diventato insomma un punto di vista rispetto a ciò che accadeva nella società.
Non a caso forse è l'ultimo ‘vero intellettuale’ rimasto, perché ha avuto il ‘coraggio’ di portare avanti le proprie idee anche quando erano le meno immaginabili rispetto al suo profilo. Quando tutti pensavano, per esempio, che lui appoggiasse gli studenti nelle rivolte giovanili si pose ‘dalla parte’ dei poliziotti perché erano i figli della povera gente. Visto che era omosessuale, molti pensavano che fosse a favore dell'aborto. E invece era contrario, allontanandosi anche dalle posizioni del Partito Comunista. Aveva una ‘visione nuova’ del tutto. E ha cambiato tutto: letteratura, cinema e giornalismo. Nessuno ha fatto un’operazione del genere in Italia e forse nel mondo.
"Pier Paolo Pasolini - Una visione nuova" (foto: Mg Production)
Quanto sarebbe importante avere oggi una figura come Pasolini? E chi potrebbe essere?
Penso che una figura come quella di Pasolini non possa più esistere. Come non può esistere una figura come quella di Federico Fellini nel cinema. Sono stati dei fari. Ci hanno illuminato su cose che prima nessuno riusciva a vedere.
Si possono fare dei discorsi parziali. C’è chi può essere un Pasolini nella letteratura, uno nel cinema, nel giornalismo, eccetera. Ma è difficile che ci sia una persona che riesca ad avere questa complessità e capacità di lettura.
Credo che questo potesse avvenire all’epoca per un motivo molto semplice: perché Pasolini nasce come poeta. E i poeti hanno qualcosa in più rispetto agli altri, il loro pensiero non è soltanto logico ma c'è qualcosa che attinge direttamente all’irrazionale, all'istinto, alla creatività. Essere un poeta gli ha permesso di essere libero in tutti gli ambiti in cui si è cimentato.
Nel cinema la figura che più secondo me si avvicina a Pasolini è quella di Matteo Garrone perché crea delle commistioni nell’uso degli attori. Prendiamo uno come Marcello Fonte di Dogman (2018): non aveva fino a quel momento fatto l’attore e poi ha vinto a Cannes come miglior attore protagonista. Penso anche che sia, come Pasolini, una persona ‘integra’ nella sua ispirazione. Può piacere o non piacere, ma credo che abbia una autenticità nei suoi film che altri non hanno.
"Pier Paolo Pasolini - Una visione nuova" (foto: Mg Production)
Come mai ha scelto per il film una forma di racconto con materiali d'archivio?
Ci dicono che lui aveva capito tutto cinquant’anni fa. Ci dicono che lui è stato un veggente. In uno di questi, fra i più noti – per far capire lo sguardo lungimirante che aveva non soltanto nel cinema ma nel leggere la realtà e capire dove stavamo andando – afferma che la televisione andava abolita perché era corruttrice per via del suo potere omologante. Si stavano perdendo le differenze e l’uomo si stava impoverendo assorbendo i valori della piccola borghesia.
C'è poi un frammento d’archivio nel film, un’intervista che ho trovato dalle teche Rai, in cui Pasolini dice: «Io comunico molto bene con le persone che non hanno fatto neanche la quarta elementare o con gli intellettuali altissimi». Perché dice questo? Una denuncia di quella media borghesia‘corruttrice’. Prima la borgata aveva una sana anarchia, ma quando anche il ‘borgataro’ ha cominciato a cercare il posto fisso, significava che qualcosa non andava più bene.
Per la ricerca, ho recuperato questi materiali in prima persona senza un archive producer. Io nasco dalla poesia, quindi ho l'esigenza di curare la ‘virgola e il punto e virgola’. Nel film ho fatto una scelta a monte. Ho capito che sarebbe stato sbagliato far raccontare, a delle persone oggi, quello che era accaduto negli anni Sessanta. Avrei potuto con più facilità cercare di incontrare Dante Ferretti, ma ho trovato dei repertori che mi raccontavano quell'epoca.
Ho deciso però di soffermarmi in particolare sulle origini: cioè su quella rete di influenze reciproche che nasce con Accattone (1961). Non ho raccontato la carriera cinematografica di Pasolini, ma il suo sguardo nuovo e ho cercato di far conoscere le personalità che si sono formate attorno.
C'è un pezzo di Bernardo Bertolucci divertentissimo. Quando conobbe Pasolini, aveva 13-14 anni. Pier Paolo si presentò a casa sua, ma Bernardo lo scambiò per un ladro e non lo fece entrare, lasciandolo fuori dalla porta. Tornato dal padre, disse: «Papà, c’è uno che ti cerca ma ha un'aria strana». E il padre: «Ma chi è?». «È Pasolini». «Ma fallo entrare, è un poeta quello!»