Giuliana Sgrena racconta del suo sequestro in Iraq e della morte di Nicola Calipari durante la presentazione della graphic novel "Baghdad, i giorni del sequestro"
In occasione della Settimana internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, si è svolto nell’auditorium “Giancarlo De Carlo” del Monastero dei Benedettini di Catania – sede del Dipartimento di Scienze umanistiche – un incontro con la giornalista e scrittrice Giuliana Sgrena.
L’evento, promosso nell’ambito del progetto Voci di donne. Studi storici, religiosi e linguistici (linea PiaCeRi dell'Università di Catania), si è sviluppato lungo due assi: la presentazione della graphic novel Baghdad, i giorni del sequestro – edito nel 2022 da Round Robin Editore, con Irene Carbone come illustratrice – e il racconto della giornalista che non si è sottratta dall’approfondire il tema trattato all’interno del romanzo, rispondendo alle domande dei ragazzi del dipartimento e dei partecipanti all’incontro.
Dopo un simbolico minuto di silenzio in onore di Giulia Cecchettin e delle centocinque vittime di femminicidio morte quest’anno, la Sgrena ha raccontato – lasciando il pubblico con il fiato sospeso – la cronologia e gli eventi del suo rapimento avvenuto il 4 febbraio 2005 e protrattosi fino al quattro marzo 2005.
In foto da sinistra Monica Maria Savoca, Souadou Lagdaf, Giuliana Sgrena e Margherita Bonomo
«Quando l’editore mi ha proposto di realizzare una graphic novel sul mio sequestro io sono rimasta un po’ disorientata; non pensavo di poter diventare un fumetto. Poi ci ho riflettuto e ho realizzato che forse il nuovo linguaggio poteva essere utile per far conoscere la mia storia e non solo la mia storia, ma tutto quello che è successo in quel contesto, anche e soprattutto ai giovani, tra cui questo genere è molto diffuso», ha detto in apertura dell’incontro Giuliana Sgrena.
«Ecco perché le scuole e le università sono i principali luoghi di promozione di questo libro. Far conoscere ai ragazzi una storia che per motivi anagrafici e per mancata immissione in un programma scolastico-universitario ministeriale, vista la vicinanza degli eventi, spesso si ignora, ma che rappresenta motivo scatenante e conseguenza diretta degli eventi mondiali avvenuti tra la fine degli anni Novanta del Novecento e il primo decennio degli anni Duemila, tra cui il conflitto iracheno scoppiato nel 2003 con l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e che si concluderà solo nel 2011, con ripercussioni che arrivano fino ai giorni nostri», ha spiegato la giornalista dialogando con le docenti Monica Maria Savoca, Souadou Lagdaf e Margherita Bonomo.
La copertina della grafic novel
La scrittrice è stata presa di peso dall’auto in cui si trovava insieme con il suo interprete e in cui era salita dopo essere uscita da una moschea all’interno di un’università di Baghdad; aveva appena intervistato dei profughi iracheni lì raccolti. Da questo momento inizierà il suo calvario, non fisico, ma soprattutto psicologico.
«In quel momento in Iraq il collegamento elettrico non era presente a tutte le ore del giorno, ma solo per qualche ora, di conseguenza lo stesso avveniva per acqua e riscaldamenti», racconta Giuliana Sgrena che si è soffermata anche su come trascorreva l’intera giornata a letto avvolta in molte coperte per poter resistere al freddo e di come, a causa della mancanza di luce, sia naturale, artificiale, avesse perso la cognizione del tempo.
«Si riusciva a ricostruire parzialmente il tempo solo dal richiamo alla preghiera proveniente da una moschea evidentemente vicina», precisa. In questa situazione di annullamento del tempo e di qualsiasi attività personale, Giuliana Sgrena ha confessato che la cosa che temeva di più fosse «la perdita totale dei ricordi» e che per questo motivo passava le sue giornate ricostruendo la sua vita. Lo stato di confusione, dei rapitori ricorderà poco e niente, era talmente tanto da rendere inutile ogni successivo tentativo di riconoscimento.
In foto da sinistra Monica Maria Savoca, Souadou Lagdaf, Giuliana Sgrena e Margherita Bonomo
Nel corso dell’incontro, l'allora inviata de Il Manifesto si è soffermata anche sulle dinamiche politiche e sulle responsabilità delle parti in causa parlando di Nicola Calipari, l’agente segreto italiano che aveva condotto le trattative per il suo rilascio e che le salvò la vita quel 4 marzo morendo per proteggerla con il suo corpo dagli spari del fuoco amico.
Furono cinquantasei i proiettili americani sparati contro l’abitacolo in cui si trovavano entrambi, diretti all’aeroporto di Baghdad dopo il rilascio della giornalista da parte dei rapitori.
Questo il tormento che si porta dietro, il non essere mai riuscita a «essere felice per la liberazione, perché è stata anche la giornata della morte di Calipari», ha raccontato. Motivo per cui non si dà ancora pace attendendo una sentenza giusta e definitiva di colpevolezza o responsabilità per quello che la giornalista ha definito, in chiusura dell’incontro, come uno dei «misteri italiani».