La regia di Alfonso Signorini per la Turandot di Puccini dà ufficialmente il via alla Stagione di Opere e Balletti 2024 del Teatro Massimo Bellini di Catania
Un’inaugurazione eccezionale quella che vede come prima rappresentazione la celebre Turandot di Giacomo Puccini (1858-1924), con l’adozione del completamento del terzo atto di Luciano Berio, diretta da Eckehard Stier e che vede alla regia Alfonso Signorini.
Il regista non sarà solo in questa impresa, coadiuvato dagli assistenti alla regia – di origine catanese – Anna Aiello e Paolo Vitale, i quali hanno incontrato il pubblico e conversato con esso durante il primo Preludio all’opera della stagione.
Questo si è tenuto all’interno della pittoresca cornice del Foyer del Teatro Massimo Bellini giovedì 11 gennaio, coordinato come da consuetudine dalle docenti Maria Rosa De Luca e Graziella Seminara, entrambe docenti di Musicologia presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania.
Un momento dell'intervento della prof.ssa Maria Rosa De Luca (foto Marielena Greco)
Nonostante la poliedricità professionale del regista, Anna Aiello ci tiene subito a specificarlo «questa è una Turandot classicissima. Quello che ci ha fatto da guida è il rispetto dello spartito e del libretto». Lo stesso sostiene per la regia che definisce come «lineare» in quanto rispettosa anche dal punto di vista dei movimenti corporei e della storia che ogni personaggio racconta, aderente «a quella che Puccini voleva che si raccontasse».
Ma l’elemento di novità è sempre dietro l’angolo e per la regia «la chiave di tutto è in mano alle donne. Una in particolare, che non è Turandot, ma che potrà risolvere il destino di quanto deve essere risolto».
Il fatto che a muovere le fila della narrazione sia una donna non stupisce in questa Turandot, che rappresenta una giovane riproposta dell’opera incompiuta del 1924. Come ci ricorda la costumista Leila Fteita questo allestimento vede la luce «nel 2017 in occasione del Festival Pucciniano di Torre del Lago» ovviamente le differenze strutturali del palcoscenico permetteranno di percepire la scenografia come «più grande» rispetto a quanto potesse apparire sul Lago di Massaciuccoli (Lucca) e per lo stesso motivo «la versione della scena qui proposta è una versione ridotta» con la rinuncia, per questioni di adattamento agli spazi, ad alcuni elementi scenografici.
In foto da sinistra Paolo Vitale, Anna Aiello e Maria Rosa De Luca (foto Giacomo Orlando)
Ma ciò non comprometterà la spettacolarità dell’evento che si svolgerà tra l’esterno e l’interno delle mura del palazzo della Principessa Turandot. E proprio a guardare ogni singolo dettaglio esorta Paolo Vitale perché «ogni elemento adottato in palcoscenico non è mai accessorio. C’è un motivo nella scelta delle luci, del colore dei costumi, nella posizione dei personaggi e del coro. […] ognuno di essi è frutto di un lavoro durato settimane, mesi».
Centrale il progetto della scelta delle luci per caratterizzare ogni scena, una scelta «più emotiva che didascalica» come sottolinea lo stesso Vitale, per seguire l’indicazione di Puccini che colloca la vicenda dal tramonto all’alba del giorno successivo. E questa scelta risulta ancora più evidente dopo la morte di Liù in cui l’intimità del finale scelto dal regista – quello di Luciano Berio – è enfatizzata proprio da un gioco di luci che rispecchiano il cambiamento interiore di Turandot e il legame che si istituisce all’interno della coppia.
Il finale è stato oggetto d’analisi – certo non unico – dell’intervento della prof.ssa Graziella Seminara, durante il quale ha delineato i punti cardine dell’Opera pucciniana mettendo in rilievo l’elemento favolistico della storia narrata, l’esotismo della stessa e la differenza tra i due finali – postumi – della Turandot.
Proprio questi tre fattori sono fondamentali per comprendere l’importanza di quest’opera. Prima di essa Puccini si era dedicato a nutrire la tendenza realistica del periodo con i suoi soggetti e le sue composizioni, ma Turandot segna il primo importante punto di discontinuità chiudendo, o almeno andando oltre, questa linea.
Un momento dei Preludi all'opera (foto Marielena Greco)
Ciò è ravvisabile chiaramente nella scelta di introdurre in scena il Coro dei fantasmi dei pretendenti di Turandot. Inoltre, l’elemento esotico è sottolineato – al di là dell’ambientazione e dei costumi – nell’adozione all’interno della partitura della scala pentatonica, tipica delle melodie orientali. Ma è altresì presente l’influenza di Stravinskij e della sua ‘La sagra della primavera’ – che proprio in quegli anni aveva conquistato l’Europa – tramite l’inserimento di accordi cluster per sottolineare i punti di violenza della storia e nell’agire della Principessa.
Importante riflettere anche sul significato dell’adozione registica del finale di Luciano Berio piuttosto che su quello di Franco Alfano. I due finali sono distanti su vari punti primo fra tutti quello temporale, più vicino a Puccini quello di Alfano, moderno invece il secondo (2001); ma soprattutto è diverso il modo di esprimere la trasformazione della Principessa Turandot che se in Alfano si risolve in un paio di brevi battute, in Berio è più intimo e allungato, il quale adotta anche delle indicazioni derivanti da alcune annotazioni di Puccini, e accetta il richiamo a Wagner attraverso la citazione di elementi dal ‘Tristan’.
Come ha precisato la prof.ssa Maria Rosa De Luca, la scelta di avviare questa Stagione catanese con l’opera pucciniana – in scena dal 12 al 20 gennaio 2024 – non è un caso. L’intento è quello di onorare il Compositore celebrando l’anno pucciniano nell’anniversario del centenario della sua morte. La stessa che gli impedì di completare proprio quest’ultima opera, che mirabilmente – come si evince dall’epistolario a cura del suo librettista Giuseppe Adami (1878-1946) – fa del “suo canto il nostro canto”.
Un momento della presentazione (foto Giacomo Orlando)