Il Coro di notte " Magnano San Lio" del Monastero dei Benedettini ha ospitato la presentazione del volume "Bonzi, diavoli e miracoli" di Francesco Failla
Al Coro di notte "Giancarlo Magnano San Lio" del Monastero dei Benedettini si è tenuto nei giorni scorsi l'incontro Missionari gesuiti tra Oriente e Occidente, con riflessioni a partire dal volume Bonzi, diavoli e miracoli (Edizioni di Storia e Letteratura, 2024), di Francesco Failla della Biblioteca e Archivio storico Diocesi di Caltagirone.
Oltre all'autore sono intervenuti i docenti Lina Scalisi e Michele Campopiano dell’Università di Catania e Emanuele Colombo del Boston College - Institut for Advanced Jesuit Studies che, nel pomeriggio, ha tenuto un seminario dal titolo Il Digital Indipetae Database, una risorsa per la storia in Età Moderna.
La professoressa Lina Scalisi, in apertura, ha offerto un’interessante riflessione sulla complessa esperienza dei gesuiti in Cina tra XV e XVI secolo fornendo un’analisi approfondita del contesto storico in cui si inserirono le missioni gesuite. Nel suo intervento ha evidenziato come “l’Europa dell’epoca fosse caratterizzata da forti tensioni religiose e politiche, rendendo ancora più straordinaria la scelta dei gesuiti di dedicarsi all’evangelizzazione di un mondo così distante e culturalmente strutturato come quello cinese”.
“Uno dei primi Gesuiti a tentare l'ingresso in Cina fu San Francesco Saverio, ma il suo tentativo non ebbe successo – ha spiegato -. Fu solo nel XVI secolo che la missione prese realmente forma con Matteo Ricci, che seppe comprendere l’importanza di un approccio rispettoso e adattato alla cultura cinese, segnò così un anno di consolidamento per la presenza gesuita in Cina. Grazie alla sua intelligenza, alla sua conoscenza scientifica e alla capacità di adattarsi alla cultura locale, riuscì a guadagnarsi la fiducia dell'élite cinese e persino l'accesso alla Corte Imperiale di Pechino”.
Dopo i primi straordinari tentativi di missione in Cina, guidati da figure come Matteo Ricci, il desiderio di portare avanti il lavoro di evangelizzazione e mediazione culturale non si spense. Nella seconda metà del XVI secolo giovani gesuiti chiedevano di essere inviati nelle Indie Orientali e particolarmente in Cina, affascinati dall’idea di seguire le orme di Ricci e di portare la loro fede.

Un momento dell'intervento della prof.ssa Lina Scalisi
“Nel loro percorso missionario in Cina, hanno affrontato un complesso processo di mediazione culturale, spesso frainteso e ingiustamente criticato - ha sottolineato il professore Michele Campopiano -, ma in realtà il loro operato si è distinto per un importante lavoro di dialogo interculturale”.
Sin dall'inizio, i missionari gesuiti hanno compreso che l'approccio migliore non era quello di imporre la propria religione al popolo cinese, ma piuttosto di entrare in dialogo con esso. Per farlo, hanno dovuto studiare approfonditamente la cultura, la lingua e l'organizzazione politica e sociale della Cina.
“Tanto ché per ottenere fiducia e consenso, la prima volta si sono presentati vestiti come bonzi, un termine antico che indicava i monaci buddisti, per sentirsi più vicini alla popolazione”, ha aggiunto il docente.
Un elemento fondamentale che facilitò questo scambio fu il sapere scientifico dei gesuiti. La loro capacità di coniugare spiritualità e progresso scientifico, questa sinergia permise a loro di essere accolti con interesse dagli intellettuali cinesi favorendo un’interazione basata sul rispetto reciproco.
L’impegno missionario della Compagnia di Gesù, in particolare in Cina, ha rappresentato uno degli eventi storici più rilevanti per la diffusione del cristianesimo in Asia e per il tentativo di instaurare un dialogo interculturale tra Occidente e Oriente.
Su questo tema è intervenuto Emanuele Colombo, studioso noto per le sue ricerche sui Gesuiti in Cina, il quale ha evidenziato “l’importanza delle lettere all’interno delle missioni gesuite”. “Questi scritti non solo garantivano la comunicazione tra i missionari e la Compagnia di Gesù, ma avevano anche un ruolo centrale nel processo di selezione dei missionari (literae indipetae) e nell’orientamento di coloro che venivano inviati all’estero, inclusa la Cina”, ha detto.

Un momento dell'intervento del prof. Michele Campochiano
"Le lettere pubblicate dai missionari erano l’unico strumento che permetteva di mantenere il contatto con la sede centrale della Compagnia a Roma – ha spiegato -. In esse venivano riportati i progressi, le difficoltà e gli sviluppi delle missioni. Questi documenti non si limitavano a questioni religiose e teologiche, ma offrivano anche preziose testimonianze sulle interazioni culturali, sociali e politiche con le popolazioni locali, oltre a descrivere le sfide legate alla traduzione dei testi religiosi, resa complessa dalla mancanza di termini adeguati nella lingua cinese”.
Lo studioso ha, inoltre, analizzato alcuni concetti chiave frequentemente ricorrenti nel volume Bonzi, diavoli e miracoli, come missione, miracoli e persecuzioni. “Il termine missione esprime la complessità e le difficoltà del portare il cristianesimo in una cultura profondamente diversa da quella occidentale – ha precisato -. Il successo di questa impresa era considerato un evento straordinario, quasi un miracolo, poiché la conversione del popolo cinese appariva un obiettivo irraggiungibile”.
“Con il termine persecuzioni, invece, si richiama il sacrificio estremo che i missionari erano disposti ad affrontare, arrivando perfino a considerare il martirio pur di portare avanti la loro opera evangelizzatrice”, ha osservato Colombo.
Il docente del Boston College, infine, ha voluto sintetizzare l’approccio gesuita con un’unica parola: amicizia. “I missionari in Cina non si limitarono a predicare, ma scelsero di avvicinarsi alla popolazione attraverso un atteggiamento di apertura e comprensione. Impararono la lingua, si adattarono ai costumi locali e cercarono di inserirsi nella società cinese, costruendo così un ponte tra due mondi”, ha concluso.
Ringraziando gli altri relatori per le preziose riflessioni condivise durante l’incontro, Francesco Failla, autore del volume Bonzi, diavoli e miracoli, ha raccontato il percorso di ricerca e collaborazione che ha reso possibile la realizzazione del suo libro. “Attraverso questo libro ho cercato di raccontare la storia di uomini e di far sì che il lettore potesse, anche solo per qualche pagina, sentirsi accanto a questi protagonisti”, ha spiegato lo studioso della Biblioteca e Archivio storico Diocesi di Caltagirone.

Il volume Bonzi, diavoli e miracoli
Nel suo intervento, Failla ha approfondito le dinamiche della missione gesuita in Cina, soffermandosi sulle strategie di adattamento culturale adottate dai missionari e sulle difficoltà incontrate. “Uno dei modi attraverso cui i Gesuiti consolidarono la loro influenza in Cina fu la diffusione della conoscenza scientifica e la creazione di biblioteche”, ha osservato.
“I missionari introdussero nel Paese testi europei di astronomia, matematica e geografia, guadagnandosi così il rispetto delle élite intellettuali locali – ha aggiunto -. Questo processo non solo favorì il dialogo tra le due culture, ma contribuì anche a far conoscere in Occidente la realtà cinese, permettendo di comprendere meglio gli sviluppi di quella società e sostenere il lavoro dei Gesuiti sul campo”.
Le biblioteche gesuite, dunque, non erano semplici raccolte di volumi, ma veri e propri centri di studio e formazione. Al loro interno si tenevano lezioni e dibattiti con studiosi cinesi, creando opportunità di scambio e approfondimento sulla lingua e sulle tradizioni locali. Inoltre, i missionari stessi produssero testi in cinese, adattando il linguaggio religioso al contesto culturale del Paese per rendere il messaggio cristiano più accessibile.
“Questi aspetti dimostrano come l’evangelizzazione non fosse solo una questione di conversione religiosa, ma anche un processo di costruzione di una rete di conoscenza e di integrazione culturale”, ha concluso Failla.

Un momento dell'intervento di Francesco Failla