A Piacenza la prima edizione di AgriFoodPlast, il ruolo dell’Università di Catania
I materiali plastici sono noti per la loro elevata resistenza ai processi di degrado e per la loro eccessiva presenza nell’ambiente. Gli agenti fisici e biologici possono disaggregare la plastica e la bioplastica in micro e nanoplastiche con potenziali problemi tossicologici ed eco-tossicologici.
L’identificazione e la quantificazione delle micro e nanoplastiche in matrici complesse come suoli, piante, alimenti e tessuti umani è piuttosto incerta rendendo particolarmente difficile la comprensione dei potenziali rischi.
E se da un lato la contaminazione da plastica negli ambienti acquatici è studiata da decenni, solo di recente la comunità scientifica ha spostato la propria attenzione sugli ambienti terrestri. La contaminazione da materie plastiche e bioplastiche in agricoltura influenza, infatti, le funzioni fisiche, chimiche e microbiologiche dei suoli.
Le colture possono assorbire particelle di plastica ed entrare nella catena alimentare, provocando effetti tossicologici ancora in fase di studio e chiarimento. Ma non solo, la plastica è ormai una componente inevitabile delle catene agroalimentari e, pertanto, è fondamentale comprenderne i rischi e sviluppare strategie di mitigazione.
Su questi temi esperti internazionali si sono confrontati a Piacenza – dal 10 al 12 settembre - nel corso della prima edizione di AgriFoodPlast, la conferenza internazionale sulle micro e nanoplastiche nelle filiere agroalimentari.
Ad aprire la conferenza il prof. Damia Barceló Cullerèsuno della IDAEA-CSIC in Spagna, uno dei più eminenti scienziati a livello mondiale per la chimica applicata alla tossicologia ambientale.
Alla tre giorni di lavori gli esperti, tra sessioni e workshop, si sono soffermati sui vari aspetti delle micro e nanoplastiche, compreso il loro destino e la loro modellazione negli ambienti terrestri, il loro impatto sulle funzioni del suolo, la valutazione dell'esposizione negli alimenti, i loro effetti tossicologici ed ecotossicologici nell'ambiente. catena agroalimentare, le tecnologie di bonifica disponibili e un approccio One-Health per la valutazione dei rischi associati.
Nel corso dei lavori sono stati presentati i progetti MIcro - and NAno-Plastics in AGRIcultural Soils - MINAGRIS da Esperanza Huerta-Lwanga, Priority - Cost Action da Stefania Federici e Papillons Horizon 2020 da Luca Nizzetto Norvegia.
Per l’Università di Catania – co-organizzatore dell’evento con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – sono intervenute le docenti Margherita Ferrante, co-chair della conferenza, e Gea Oliveri Conti, entrambe del Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e tecnologiche avanzate "Ingrassia", rispettivamente con le relazioni su “Standardizzazione di metodi per la quantificazione di micro e nanoplastiche” e “Microplastiche: il rischio invisibile e sottovalutato nella catena alimentare”.
Da sinistra Edoardo Puglisi dell'Università Cattolica di Milano, Damia Barceló Cullerèsuno della IDAEA-CSIC e Margherita Ferrante dell'Università di Catania
Standardizzazione di metodi per la quantificazione di micro e nanoplastiche
«La contaminazione da micro e nanoplastiche, oltre a matrici ambientali, colpisce in modo importante i prodotti alimentari, che diventano così uno dei principali fonti di esposizione umana – spiega la prof.ssa Margherita Ferrante -. L'esposizione riguarda gli effetti relativi alla struttura molecolare e alle sostanze chimiche associate alla plastica che potrebbero avere sulla salute umana. È quindi sempre più necessario individuare metodi validi e riproducibili per la valutazione del rischio associato alla filiera agroalimentare e per la sua riduzione».
«In questo contesto il gruppo di ricerca del Laboratorio di Igiene Ambientale e degli Alimenti del MedClin ha brevettato un metodo validato per la ricerca di micro e nanoplastiche nei prodotti agroalimentari e successivamente anche per ricerche nel suolo», ha aggiunto la docente.
«Questo metodo, in grado di rilevare anche le nanoparticelle, permette di misurare tutte le particelle plastiche contenute nell'oggetto analizzato nei campioni - ha spiegato la prof.ssa Ferrante -. Il metodo applicato per la ricerca di micro e nanoplastiche in varie prodotti alimentari e terreni apre, quindi, nuovi scenari di esposizione e consente una visione più precisa sulla valutazione della quantità di microplastiche disperse nell’ambiente e negli alimenti, ma anche in campioni biologici animali e umani. Lo studio sugli organismi viventi permetterà di stabilire nel modo migliore gli effetti di questi contaminanti e al tempo stesso valutare i sistemi per ridurre e minimizzare il rischio per l’uomo».
Un momento dell'intervento della prof.ssa Margherita Ferrante
Microplastiche: il rischio invisibile e sottovalutato nella catena alimentare
«L’inquinamento da plastica rappresenta una minaccia per gli ecosistemi, la fauna selvatica e i mezzi di sussistenza delle persone nel mondo – spiega la prof.ssa Gea Oliveri Conti -. Continuando su questa strada ci sarà più plastica che pesci nel mare entro il 2050. La classificazione delle microplastiche (MP) dipende dalle dimensioni delle micro e nanoplastiche che sono le più pericolose per le loro capacità di essere assorbite nei tessuti e nelle cellule. La rete alimentare è completamente “colpita” dall’inquinamento da plastica».
«Diversi aspetti delle microplastiche negli alimenti sono stati dibattuti nell’ultimo Rapporto della FAO, ma tutti i dati sono comunque sottostimati – ha evidenziato la docente -. Le metodologie attuali applicati nell'estrazione e nel rilevamento della microplastica non consentono l’eliminazione e il recupero di tutte le microplastiche, comprese le nanoplastiche. Questi limiti influiscono sulla qualità di gran parte dei dati oggi disponibili in letteratura».
«Tutti gli alimenti utilizzati dall’uomo come il miele, l’acqua del rubinetto o in bottiglia, la frutta e la carne, lo zucchero, il sale da cucina, le verdure e il pesce sono colpiti dall'inquinamento da microplastiche. Tutto ciò rappresenta un pericolo per la salute umana così come dimostrato dai recenti studi», ha detto in chiusura di intervento la prof.ssa Oliveri Conti.
Un momento dell'intervento della prof.ssa Gea Oliveri Conti