Al Teatro Stabile di Mascalucia il pubblico è stato accolto con la colazione prima di gustarsi lo spettacolo “Il coro di Babele” di Claudio Zappalà
Avviene spesso così anche nella vita. Quello che non hai preventivato, ti sorprende e porta una ventata di novità. Così come è avvenuto al Teatro Stabile Mascalucia Mario Re dove, nei giorni scorsi, è andato in scena Il Coro di Babele della compagnia Barbe à papa Teatro.
Uno spettacolo andato subito sold out e che ha spinto, inevitabilmente, organizzatori e compagnia a inserire un nuovo turno nelle ore antimeridiane che immediatamente si è legato alla colazione. Ed ecco che è stata promossa una nuova formula nata dall’esigenza, accolta con grande entusiasmo dal pubblico, di organizzare una colazione a teatro, un omaggio davvero inaspettato per gli spettatori.
La compagnia è tra il pubblico nel foyer. Tra un caffè, una tisana, un’abbondante varietà di torte dal profumo di casa, il clima accogliente, la macchina dello zucchero filato che si lega al significato del nome della compagnia, c’è il tempo di scambiare quattro chiacchere e incontrare i protagonisti della storia che a breve sarà in scena.
Io ne approfitto per trovare uno spazio di tempo per farmi regalare dal regista e autore, Claudio Zappalà, qualche seme di esperienza che arricchisce l’anima e fa luce sulla comprensione di ciò che vediamo e ascoltiamo sul palcoscenico. Dietro ad ogni debutto e messa in scena, dietro a quelle poche ore seduti sulle poltroncine rosse di velluto, ci sono giorni, mesi, a volte anche anni di lavoro per ciascun interprete e per l’intero gruppo.
Era il 2018 quando, a Palermo, la compagnia ha mosso i suoi primi passi. E questo spettacolo ha richiesto particolare attenzione e cura visto che “apre” la trilogia dal nome Generazione Y. Il primo capitolo, infatti, è proprio Il coro di Babele scritto nel 2019, poi Mi ricordo e, infine, L’arte della Resistenza del 2002.
Tutti e tre i capitoli sono legati alle esperienze dei giovani di questa generazione, su cui i nostri interpreti hanno riflettuto, lavorato interiormente e condiviso, portando alla luce fatti anche personali che spingono ad uscire fuori di casa e a cercare il profumo e il calore di ciò che si è lasciato.
Un momento dello spettacolo
C’è poi il ricordo, quello dolce dei tempi andati, ma anche quello amaro di quegli eventi, lontani e vicini - i modelli televisivi tra gli anni ’90 e 2000, il crollo delle Torri gemelle negli States nel 2001, la crisi economica del 2008 e l’epidemia Covid-19 -, da cui si è travolti nelle conseguenze e con cui fare i conti quotidianamente e che produce ansia.
E poi il dubbio amletico sulla condizione dell’artista oggi come operatore dello spettacolo, ma anche come uomini e donne del nostro tempo in mezzo a difficoltà e contraddizioni, in mezzo ad una vita divisa tra sogni e sopravvivenza.
Sono spettacoli pluripremiati dalla critica, in Italia così come all’estero. E forse il segreto del successo è «che gli spettacoli sono semplici nei temi, raggiungono tutti; sono autentici, sinceri», racconta il regista Claudio Zappalà.
Ogni spettacolo fermenta per circa un anno e oltre. Un profondo lavoro di ricerca che mette dentro una grande passione e un sentimento che è analizzato e condiviso con il pubblico. Claudio nasce attore. Dopo diversi anni debutta alla regia.
Gli chiedo di raccontarmi questo transito e di condividere quei sentimenti che lo hanno portato a scegliere di scrivere e condurre la scena.
«Il primo palcoscenico è stato proprio questo, quello di Mascalucia – racconta -. Avevo iniziato prima con una compagnia ad Acireale, con spettacoli per le scuole. Poi ho conosciuto i ragazzi di Mascalucia e con loro si è creato un rapporto di amicizia fortissimo ed è stato con loro che ho capito che il teatro, per me, poteva diventare qualcosa di più. Sul finire degli studi universitari, ho frequentato una scuola di teatro in Puglia per circa due anni. Conclusa questa formazione, pensavo di essere pronto, ma non riuscivo a trovare lavoro come attore».
«Mi sono trasferito, dunque, a Londra per diversi mesi, un’esperienza che condivido nel Coro di Babele, e poi frequento una seconda scuola a Palermo diretta da Emma Dante – aggiunge l’attore-regista -. Qui ho lavorato per circa sette anni. Intanto è nata la compagnia Barbe à papa. Io continuavo a lavorare come attore anche fuori dalla compagnia, ma sinceramente, per me, il fare teatro è coinciso con la compagnia».
Un momento dello spettacolo
«Il passaggio alla scrittura passa dalla comprensione del testo teatrale – spiega -. Nella prima scuola ho imparato a leggere bene un testo, a saperlo analizzare; questo ti aiuta già come attore, nel metterti in scena da solo, ma anche, successivamente, come autore e regista. Nella scuola di Palermo, al Biondi, ho frequentato un corso di drammaturgia. Ho scritto un primo testo, dal titolo Aspettando Antigone, che ha vinto un importante premio di drammaturgia, poi preso in mano da un regista e portato in scena da una compagnia».
«Questo avvenimento mi ha dato la consapevolezza che potessi scrivere, e dirigere, ancor più che recitare – continua Claudio Zappalà -. In seguito, ho scritto un monologo mai andato in scena, Babele. Tratta gli stessi temi dello spettacolo odierno, ma da solo non funzionava; quindi ho deciso di condividerlo con altri, ho fatto dei laboratori e qui ho conosciuto gli attori e le attrici che hanno creato la compagnia. Da Babele al Coro di Babele».
«L’esperienza della direzione, della regia, per me è più divertente, più appagante; è come se riuscissi a fare tutti i ruoli da attore anche se poi ne interpreto nessuno. Con gli attori, in prova, si gioca, si condividono più punti di vista», continua.
Il Coro di Babele è un’esperienza teatrale piena di energia, dove i sentimenti emergono come una eruzione vulcanica. Anche quelli sommessi, quelli profondamente intimi, si fanno spazio tra il pubblico che vive il movimento scenico come un viaggio reale, lo stesso che compiono i protagonisti portati in scena da Chiara Buzzone, Federica D’Amore, Totò Galati, Roberta Giordano, Claudio Zappalà.
Questa Babele è il luogo in cui ciascuno, per un motivo o per un altro, anche solo per poco tempo e non troppo lontano, ha fatto i conti con la distanza, la solitudine, la costruzione di relazioni sociali sempre nuove, con l’incognita del futuro immediato sognando un futuro a colori che fosse quello sperato.
In questo spettacolo abbiamo incontrato volti, storie e situazioni. Abbiamo guardato dentro ai loro ricordi, che sono un po’ i ricordi di ciascuno, abbiamo sperato che le cose potessero cambiare mentre quell’amore poteva diventare il superamento delle nostre ansie.
Babele è dentro di noi. Il Coro di Babele siamo noi. Questo è il segreto del successo. Il Noi.