Lo spettacolo, in scena al Piccolo Teatro di Catania, è stato presentato agli studenti al Cut dall’autrice e regista teatrale Lina Prosa
La drammaturga Lina Prosa è originaria di Calatafimi Segesta e ha fondato nel 1999, insieme alla giornalista Anna Barbera, il Centro Amazzone la cui missione è quella di offrire un sostegno per la prevenzione e la cura della malattia del cancro al seno attraverso delle attività e degli incontri che vanno da consulenze scientifiche a laboratori teatrali. È stata, inoltre, la prima italiana a produrre uno spettacolo per la Comédie-Française nel 2014 sulla tragedia di Lampedusa e nel 2016 è stata insignita dal ministero della cultura francese dell’onorificenza di Chevalier des Arts e des Lettres.
La Trilogia del Naufragio, presentata al Piccolo Teatro di Milano nel triennio 2015-2017, è considerata l’opera più emblematica di Prosa, i cui echi si riflettono sull’intera produzione teatrale. L’autrice e regista indaga trasversalmente il femminile nella sua dimensione fisica e intellettuale; in particolare ne racconta la lotta e la resilienza in una condizione di precarietà e degrado. Le donne messe in scena da Lina Prosa sono delle eroine contemporanee con un duplice livello di consapevolezza: quello della sofferenza e quello della necessità di sfruttarla per trasformarla in arte e funzione civile.
Come nella Trilogia la protagonista Shauba si confronta con il dramma e la violenza della migrazione, nello spettacolo Marx esiste? Dina Saltalanascita è esponente di quella classe sociale dimenticata dal mondo capitalista, i cui membri fanno ogni giorno i “salti” mortali per vivere. Il dialogo con il mondo esterno è illusorio e frustrante. Solo lo spazio casalingo – «il punto edificato» – delimitato sul palco da un nastro adesivo di carta, è spazio di libertà nel quale Dina, in rappresentanza di tutti i “saltatori”, può dare sfogo alla sua propensione di narratrice di eventi.
Aurora Falcone in un momento dello spettacolo
Alle sue spalle, sono debitamente posizionati su un comodino ornamentale le immagini di Santa Rita (a destra) e Marx (a sinistra), simboli di due forme di devozione distinte, ma compresenti: la prima di una religiosità “storica” e convenzionale, la seconda espressione di un’esigenza rivoluzionaria e anti-sistemica. Il resto dello spazio scenico è cosparso di rose e barattoli, quasi a voler comunicare un senso di vuotezza e rinascita.
Il medesimo dualismo scenico è riprodotto in chiave linguistica nel monologo della protagonista, in cui diverse e contrapposte aree semantiche si intrecciano: all’italiano si alterna un dialetto inequivocabilmente siciliano e colorito; alla cronaca nera, tinteggiata da una sottile e “rosa” ironia a fredde parole di morte (detriti, infarti, disgrazia, annegò, impiccarsi) succede un delicato lirismo poetico.
Il monologo di Dina Saltalanascita, è prova di una sensibilità e di uno sguardo sul mondo, che la analizza ma la travalica al contempo. «Il tufo della casa di fronte che il muratore chiama cantuni è più sgretolato di come era l’inverno passato. Accanto ai cantuni sta il muro crollato cinquant’anni fa. Il muro di cento anni fa è più alto degli altri. Dà dignità agli altri due, mostrando che non c’è disparità tra chi è crollato prima e dopo. Che ragionamento è abbattere l’unica cosa bella e completa, esistente tra i tanti punti edificati?», recita Dina.
La coscienza di un “mal comune” consente alla protagonista di aprire un fronte di denuncia sull’avanzata di un modello economico che mortifica lo sforzo proletario, calpestandone la dignità. Tuttavia, per farlo non adotta un registro convenzionale, ma fa ricorso ad un simbolismo ermetico. Gli elementi casalinghi e cantieristici quali cantuni,muro, bagno e cucina vengono personificati, divenendo un’estensione di coloro che ne creano le fondamenta (materiali e spirituali) e ne assistono, poi, alla distruzione.
La scenografia dello spettacolo
La contestazione è tristemente sorda su un piano di risonanza sociale, ma lapidaria e incisiva sul fronte letterario. Il pettegolezzo è lo strumento attraverso il quale si racconta un micro-universo dissestato, ma mai passivo. «Chiddu si maritau cu chidda» è l’incipit narrativo di storie popolari “innocue” ma che contengono riflessioni sovversive di genere. Il maschile e il femminile sono un’eterna e insanabile dicotomia, marcata ancor di più da stenti e indigenza.
Dina è una donna mascula, vergogna di un padre perché rinnega il suo sesso, piegata da un’asma bronchiale di origine materna, padrona di un corpo che ne è al contempo la sua forza ed il suo ostacolo. La “marxista” è una creatura extra-terrestre separata dal mondo - «Chi è distante dalla luna, tanto quanto è distante da me?» - eppure ne subisce gli effetti e ne auspica il cambiamento.
Aurora Falcone, attrice protagonista, veste elegantemente i panni di questo personaggio carismatico e poliedrico, dai connotati identitari volutamente indecifrabili, stanco ma vivo, arrabbiato ma brillante.
L’interprete, avvolta in un abito rosa che ne esalta le linee e la grazia, si muove con dimestichezza in uno spazio scenico circoscritto, scandendo con dizione perfetta la doppia voce della sua Dina e mantenendo alta la tensione drammatica dall’inizio alla fine.
La drammaturgia di Lina Prosa riconferma il suo taglio epico e originalissimo, fondendo straordinariamente estro e rigore intellettuale.
Il Centro universitario teatrale ha ospitato nei giorni scorsi l’incontro con l’autrice e la regista teatrale Lina Prosa per la presentazione dello spettacolo Marx esiste? in scena al Piccolo Teatro di Catania il 17 e il 18 novembre. L’evento è stato moderato dalla professoressa Simona Scattina, docente in “Discipline dello spettacolo” al Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, e ha favorito uno scambio diretto tra l’autrice e il pubblico di giovani studenti presenti.