L’ultimo respiro di Puccini: amori dannati e melodie intramontabili

“Vissi d’arte, vissi d’amore” è andato in scena al Teatro Sangiorgi per il festival "Belliniana". Un viaggio nell’emotività del compositore, al crocevia tra passioni romantiche e dedizione per l’arte

Damiano Nicotra

Basta poco per mettere a punto uno spettacolo davvero toccante. Un pianoforte a coda e una grande poltrona verde pistacchio: questi gli ingredienti per la formula vincente di Vissi d’arte, vissi d’amore, un’esplorazione nella vita emotiva di Giacomo Puccini, con l’alternanza di parti recitate e arie pucciniane. Lo spettacolo è andato in scena la scorsa domenica al Teatro Sangiorgi di Catania, nell’ambito di Belliniana, il festival che omaggia il Cigno di Catania, ma anche, più in generale, la bellezza del melodramma italiano.

Seduto su quella poltrona, Bruno Torrisi – autore del testo insieme con Riccardo Viagrande – interpreta un Puccini moribondo, sofferente, nostalgico. Tutt’altro che fievole la sua performance, che sin dall’inizio riesce a proiettare l’immaginazione della platea verso il letto d’ospedale dal quale il compositore sta scrivendo una lettera alla moglie Elvira, nei suoi ultimi istanti di vita.

Parole che rendono palpabili le emozioni di un uomo che, dietro quei folti baffoni e quello sguardo severo e stanco in cui lo ritraggono le fotografie d’epoca, celava una sensibilità fuori dal comune, fissata indelebilmente dalle melodie delle sue opere.

L’operista comincia con il chiedere perdono alla sua compagna di vita e l’atmosfera si fa già commovente, complice il sottofondo pianistico del bravissimo Ruben Micieli, che esegue l’Intermezzo di Manon Lescaut mentre il pubblico impara qualcosa sulla vita di Puccini, dai primi passi nella sua Lucca, fino ai primi successi in teatro.

Un momento dello spettacolo

Un momento dello spettacolo

Poi entra in scena il soprano Marianna Cappellani, che esegue “In quelle trine morbide”: da lì comincia la sfilata di eroine pucciniane, alle quali il compositore parla con amore e nostalgia, come fossero state amanti in carne ed ossa. Manon, Mimì e Tosca, ognuna omaggiata con la sua aria, non sono solo frutto di una genialità artistica, ma anche di un sentire in qualche modo ispirato alla figura della moglie – nonché alle numerose relazioni extra-coniugali. D’arte e d’amore: di questo visse Puccini. In queste circostanze l’intensa e struggente aria di Tosca pare in parte autobiografica.

Il compositore, tra i suoi rovelli, cita anche l’opera Cavalleria Rusticana, che avrebbe tanto voluto firmare ma che è stata invece composta da Pietro Mascagni, amico e compagno di stanza ai tempi degli studi al conservatorio di Milano. È l’occasione per ascoltare la romanza di Santuzza Voi lo sapete, o mamma e l’applauditissimo Intermezzo di Cavalleria Rusticana. Chiusa la parentesi mascagnana, è la volta di Cio-Cio-San e della sua “Un bel dì vedremo”.

Chissà chi avrebbe raccolto il testimone da Butterfly: Turandot o Liù? Probabilmente sarebbe toccato alla seconda; ma un terribile male ha strappato alla vita Puccini prima che potesse vederle calcare le tavole del palcoscenico, per cui nello spettacolo non se ne parla. 

Eppure non poteva mancare un riferimento all’opera della celeberrima “Nessun Dorma”, di cui Micieli esegue la melodia mentre Puccini intravede la luce bianca dell’oltretomba: è il momento in cui emerge quanto l’operista fosse legato, oltre che all’arte e all’amore, anche alla vita. «Non voglio morire, devo ancora comporre e suonare il mio pianoforte!», recita. Siamo all’atto finale, in cui Torrisi dà il meglio di sé con una performance straordinaria che ha strappato al pubblico del Sangiorgi un grande applauso – e anche qualche lacrimuccia.