Alla Scuola Superiore di Catania è intervenuta Sabrina Sartori dell’Università di Oslo in occasione del workshop nell’ambito della Reunice Doctoral Summer School
«Un po’ come tutti, ero un’idealista, tutt’ora lo sono. Volevo un mondo migliore, più sostenibile, e, fortunatamente, quest’ambito di ricerca relativo all’idrogeno e all’energia rinnovabile ancora oggi continua e, direi, in una maniera più importante soprattutto in questi ultimi anni». Sabrina Sartori dell’Università di Oslo risponde così a chi le chiede perché in questi decenni ha condotto ricerche sull’idrogeno per arrivare ad una transizione energetica verde.
E in occasione del workshop dal titolo Materials and systems for green hydrogen production and storage: challenges and opportunities che la docente e responsabile della sezione per i Sistemi Energetici al Dipartimento di Sistemi Tecnologici dell'Università di Oslo ha tenuto alla Scuola Superiore di Catania in occasione della Reunice Doctoral Summer School si è soffermata a lungo su quest’ambito di ricerca.
Un workshop che ha richiamato gli oltre quaranta dottorandi provenienti dalla Politechnika Poznanska in Polonia, dalla Universidad de Cantabria in Spagna e dalla Université de Mons in Belgio e, inoltre, altri studenti dell’ateneo catanese e gli allievi della Scuola Superiore di Catania.
La prof.ssa Sabrina Sartori
«È nata da un desiderio mio personale e poi effettivamente ho visto che è un trend importantissimo che sarà necessario sviluppare assieme ad altri tipi di ricerca così come migliorare le batterie ad esempio», ha spiegato.
«Le ricerche che stiamo conducendo sono necessarie per abbattere le emissioni di anidride carbonica e non solo. Non sarà mai sufficiente se poi andiamo a creare materiali che si basano su minerali rari e per estrarli occorre una lavorazione il cui processo di estrazione è inquinante – ha aggiunto -. Occorre creare una sostenibilità che si basi sull’utilizzo anche materiali che siano ampiamente disponibili oppure da materiali di riutilizzo, minerali di riutilizzo da altri processi, e solo così si potranno abbattere i costi e soprattutto l’anidride carbonica».
L’idrogeno, infatti, offre la promessa di energia pulita e priva di carbonio. Tuttavia, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, attualmente l’idrogeno viene prodotto principalmente da combustibili fossili, con il risultato di oltre 900 milioni di tonnellate di Co2 emesse ogni anno.
Per questi motivi, come ha sottolineato Sabrina Sartori nel suo intervento, «occorre sostituire l’idrogeno derivante da combustibili fossili con idrogeno verde, prodotto mediante elettrolisi dell’acqua con l’elettricità proveniente da fonti energetiche rinnovabili». «Solo così si potrebbe ridurre queste emissioni quasi a zero», ha aggiunto.
Un momento del workshop
«Io provengo da una nazione, la Norvegia, dove si estrae tantissimo gas e a causa della situazione socio-politica europea legata al conflitto russo-ucraino anziché diminuire l’estrazione com’era previsto, si è deciso di aumentare la produzione – ha detto la docente -. Di conseguenza si può fare “transizione” producendo per esempio l’idrogeno usando il Blue Horizon. Quando produci l’idrogeno da Steam Reforming, che è la produzione che facciamo anche oggi, occorre in qualche modo immagazzinare l’anidride carbonica che si produce e che si disperderebbe in aria».
«Abbiamo lavorato per tanti anni verso le auto ad idrogeno e la tecnologia ha fornito risultati importanti utilizzando l’idrogeno compresso, quindi un tank dentro la macchina ad esempio – ha spiegato -. Ma sappiamo che le auto elettriche sono più economiche e più performanti e quindi dal punto di vista dell’uso personale credo che la strada dell’idrogeno sia meno percorribile. Dal punto di vista tecnologico, però, possiamo affermare che siamo pronti».
L’utilizzo dell’idrogeno, invece, potrebbe trovare campo aperto in altri settori. «Certamente – racconta -. In tutti gli altri settori difficili da “abbattere” con le batterie, per esempio, il trasporto su treni e mezzi pensati come i tir, l’idrogeno può essere ampiamente utilizzato. Penso anche al trasporto pesante, con le navi. In questo caso l’idrogeno è molto conveniente, sia l’idrogeno compresso, sia quello da materiali solidi che pesano».
Possibili ambiti di applicazione dell'idrogeno
Oltre al trasporto l’idrogeno può trovare applicazione in altri campi come conferma l’esperta e leader in numerosi comitati, consigli di amministrazione e iniziative, tra cui l'Agenzia internazionale per l'energia - Hydrogen Implementing Agreement (Task 40).
«Oltre al trasporto, io vedo molto bene, e ci lavoro parecchio, anche l’impiego dell’idrogeno negli usi stazionari, quindi vuol dire per dare potenza o energia a case, ospedali, supermercati, ai grandi edifici – ha detto la ricercatrice -. Uno dei progetti di cui mi occupo è quello di elaborare uno studio di fattibilità per costruire il prossimo telescopio astronomico in Cile che verrà rifornito da una combinazione di batterie e tecnologia ad idrogeno. Ad oggi il costo della tecnologia ad idrogeno è molto elevato, ma stiamo lavorando per ridurre i costi e l’impatto sull’ambiente anche con materiali sostenibili».
A margine dell’incontro Sabrina Sartori si è soffermata anche sulla sua “vita” nella ricerca.
«Ho fatto tutti i miei studi a Padova, compreso il dottorato di ricerca in Scienza e Ingegneria dei Materiali, anche se poi il titolo mi è stato conferito nella sede di Bologna – ha raccontato -. Prima di trasferirmi in Norvegia avevo cominciato a lavorare sullo stoccaggio dell’idrogeno. A quel tempo c’era stata una richiesta da parte del Dipartimento di Sistemi Tecnologici dell'Università di Oslo e mi sono trasferita lì per una posizione di post doc. A Oslo ho continuato a lavorare sui materiali a idrogeno utilizzando il reattore nucleare che adesso non è più funzionante. Allora lo utilizzavamo per fare lo scattering di neutroni».
I partecipanti al workshop
«Adesso, nel caso dell’idrogeno, essendo l’elemento più leggero che ci sia, non bastano i raggi X, ma occorre unire raggi X e la difrazione neutronica per riuscire a determinare dove si trova l’idrogeno nella struttura cristallina. Per me è stato molto importante poter lavorare con questo gruppo di ricerca – spiega Sabrina Sartori -. Quando andai per fare l’intervista e mi chiamarono e poi mi dissero che il posto era mio, sinceramente non avevo intenzione di trasferirmi dall’Italia, ma ho sentito che dovevo prendere quell’opportunità e così tutto ha avuto inizio».
«Negli anni sono diventata ricercatrice all’Institute for Energy Technology che si trova a 20 chilometri di distanza dalla città di Oslo e poi mi sono trasferita all’Università di Oslo come associato prima e dal 2013 sono ordinario – ha spiegato -. La differenza che ho notato, in base all’esperienza personale, ed è anche il motivo per cui ho scelto di rimanere in Norvegia, è che lì, improvvisamente, mi si sono spalancate tantissime possibilità di incontro con personalità di altissimo livello, ricercatori che lavoravano e che lavorano tutt’oggi in questo ambito di ricerca».
«La ricerca nel campo dello stoccaggio dell’idrogeno, che non avevo mai svolto prima, mi ha permesso di partecipare a tantissime conferenze internazionali e quindi di trovarmi a lavorare con i migliori in questo ambito, persone con cui continuo a lavorare adesso perché faccio parte anche io di questo gruppo – ha precisato la ricercatrice -. Questa possibilità che io ho avuto ad Oslo, non l’ho avuta in Italia. A tutto ciò occorre anche aggiungere gli investimenti per supportare la ricerca e l’accesso ai fondi. In Norvegia vi è meno burocrazia rispetto all’Italia. A tutto ciò occorre anche aggiungere che pur provenendo da un altro Paese e senza alcun sostegno sono stata sempre valutata per i miei meriti, ho avuto una chance».
La prof.ssa Sabrina Sartori
«Ho notato anche che in Norvegia è molto apprezzato l’impegno nel campo della comunicazione della Scienza, mentre in Italia meno. Sono differenze che nel tempo apprezzi e alla fine ti fanno apprezzare il posto in cui ti trovi anche se distante».
Prima della conferenza della ricercatrice Sabrina Sartori sono intervenuti il prof. Giuseppe Angilella in rappresentanza della Scuola Superiore di Catania (coordinatore delle Classi delle discipline scientifiche), la prof.ssa Cristina Satriano (referente per Unict del progetto Eunice) e la prof.ssa Lucia Zappalà, delegata all’Internazionalizzazione d’ateneo, che ha sottolineato «l’importanza dei progetti internazionali come Eunice che consente a studenti, dottorandi, ricercatori e docenti di diversi atenei europei di confrontarsi sui tanti aspetti della vita accademica, da quelli scientifici a quelli umanistici, accrescendo la propria formazione». «Il workshop di oggi ha consentito ai dottorandi e agli studenti presenti di approfondire una tematica importante relativa all’energia green e all’innovazione tecnologica grazie alla presenza di una esperta, la prof.ssa Sabrina Sartori, di caratura internazionale».
A seguire sono intervenuti i docenti Antonio Terrasi dell’Università di Catania e Philippe Leclère dell’University of Mons, componenti del comitato scientifico del workshop del progetto Eunice.
«Il trasferimento tecnologico e l’innovazione sono ambiti fondamentali in cui gli atenei, in tutti i contesti, stanno investendo per favorire la crescita dei propri territori e favorire i rapporti con le multinazionali e le imprese presenti», hanno spiegato.
«In questo contesto l’Università di Catania, grazie anche ai fondi del Pnrr, sta rivestendo un ruolo importante investendo molto nella ricerca, nell’innovazione e nel trasferimento tecnologico tramite i diversi progetti in cui è inserita», ha aggiunto il prof. Antonio Terrasi, delegato al Trasferimento tecnologico e rapporti con le imprese per l’ambito tecnico-scientifico.
In foto da sinistra Antonio Terrasi, Giuseppe Angilella, Cristina Satriano, Lucia Zappalà, Philippe Leclère