Luigi Scrofani, ordinario di Geografia economico-politica al Dipartimento di Economia e Impresa di Unict, offre una rilettura critica sui comuni periferici
La Strategia Nazionale per le Aree Interne - SNAI ha elaborato nel 2012 una classificazione dei comuni italiani in difficoltà per spopolamento e mancanza di alcuni servizi essenziali, come quello sanitario e quello dell’istruzione scolastica superiore.
Questi comuni o gruppi di comuni sono denominati aree interne e ad essi è dedicata una strategia di rilancio articolata su più interventi.
Di fatto la SNAI elabora una gerarchia dei comuni italiani definendo periferici e ultraperiferici quelli più in sofferenza, perché distanti dai centri erogatori dei servizi. Va da sé che questa condizione di perifericità è associata anche a livelli di disoccupazione elevati, scarsa capacità attrattiva, impiego inefficace delle risorse naturali, culturali e umane.
Queste seppur brevi riflessioni sulla SNAI riconducono immediatamente il pensiero agli studi scientifici, di matrice non solo economica e geografica, sugli squilibri territoriali, sulle cause dei divari e sui possibili rimedi che diventano oggetto di apposite politiche di riequilibrio.
La crisi economica a cavallo del primo ventennio del nuovo millennio, seguita da quella causata dalla pandemia da Covid-19 con l’aumento delle disuguaglianze, ha reso più profondi i divari tra territori, che sono stati indagati andando oltre gli approcci tradizionali tra aree urbane e aree rurali, tra centri e periferie
Le teorie economiche di ispirazione neoclassica prevedono che le disuguaglianze territoriali si ricompongano da sole secondo i noti principi di razionalità ed equilibrio del mercato. In quest’ambito, le aree periferiche equivalgono a quelle aree distanti dai centri propulsori dello sviluppo.
Questi interventi non sono stati scevri di critiche da parte dei fautori delle leggi del libero mercato, innescando una dialettica molto accesa tra i sostenitori dell’intervento dello Stato contro coloro che ritengono i meccanismi del mercato capaci di diffondere lo sviluppo ovunque.
Una buona parte degli studi sui divari si è focalizzata sulla dicotomia aree urbane e aree rurali in cui le prime rappresentano il centro e le seconde la periferia. Gli studi documentano che la concentrazione di attività industriali e terziarie avanzate in taluni luoghi aumenta in modo significativo le disparità spaziali. Anche i processi di delocalizzazione delle imprese aumentano gli squilibri quando privilegiano alcune aree sostenendo i fenomeni di concentrazione.
Alcuni studiosi ritengono che talune aree, seppur non periferiche dal punto di vista spaziale, potrebbero essere classificate come tali perché non interagiscono con le reti economiche globali.
Altri studi sulle aree marginali e periferiche aggiungono un significato più complesso alla perifericità, facendo notare che essa è anche frutto del fenomeno della globalizzazione che ha resi i territori sempre più interdipendenti e le comunità locali molto più influenzate dagli avvenimenti internazionali, accrescendo le disuguaglianze e i divari territoriali.
Importanti istituzioni internazionali, come la Banca Mondiale e l’Organizzazione dei Paesi più Sviluppati - OCSE, individuano le aree più forti con i centri che superano almeno i 50mila abitanti, ritenendo implicitamente che questi siano dotati di servizi e infrastrutture e svolgano attività tali da attrarre significativi flussi di individui.
Le disuguaglianze sono cresciute negli ultimi decenni e favoriscono altri fenomeni negativi come il brain-drain (spostamento di cervelli, cioè di manodopera altamente qualificata) dai centri più marginali e periferici a quelli centrali e sviluppati.
Questi argomenti portano la riflessione sulla ricerca delle cause e dei rimedi della marginalità e della perifericità su un terreno molto più ampio che include non solo studiosi di economia territoriale, ma anche sociologi, demografi, politologi, antropologi ed altri ancora.
Troina nell'Ennese
Una (ri)lettura critica delle Aree Interne: esperienze e proposte
Al Dipartimento di Economia e Impresa si è tenuto un convegno, intitolato “Una (ri)lettura critica delle Aree Interne: esperienze e proposte”, in cui gli esperti hanno voluto dare un contributo alla riflessione sui divari e offrire una piattaforma di dibattito sulle possibili vie di uscita.
L’evento è stato organizzato in due sessioni.
Nella prima esperti professionisti ed accademici hanno raccontato le loro esperienze di progettazione di aree interne. Questa sessione ha visto la partecipazione dei consulenti project managerAntonietta Schembri e Massimo Alessi, che si sono soffermati, rispettivamente, sull’area facente capo a Caltagirone e a Troina.
A questi relatori si è aggiunto Daniele Ietri che ha parlato sia della sua esperienza nella progettazione dell’area interna di Aosta quanto del progetto di valorizzazione delle aree interne improntato ad una interazione partecipativa tra ricercatori, attori locali e istituzionali secondo prassi codificate e registrate in docufilm che hanno raccolto apprezzamenti in competizioni internazionali.
Nella seconda sessione, i cui partecipanti sono stati soprattutto accademici e attori pubblici, sono state prospettate diverse critiche alla classificazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne e, inoltre, sono state avanzate alcune proposte per il rilancio delle aree periferiche.
In particolare, Federico Benassi, demografo, ha messo in evidenza le criticità delle aree interne che vanno inquadrate nel più ampio “inverno demografico” che sta investendo il nostro Paese.
Il sociologo Guido Nicolosi ha trattato il tema dall’interessante prospettiva della memoria conservata dalle comunità locali in queste aree che diventa appiglio per la resilienza e slancio per la rigenerazione. Memoria che quindi può farsi risorsa per rendere attrattive queste aree rompendo l’isolamento e rendendole partecipi delle opportunità e delle attività svolte dalle reti nazionali ed internazionali.
Marco La Bella, politologo, ha approfondito il tema della capacità di governo di queste aree. I componenti del centro di ricerca ProGeo dell’Università di Catania hanno svolto una ricerca per studiare gli squilibri e riclassificare le aree interne oltre le cause e gli avvenimenti congiunturali.
Al progetto Clustering per la riorganizzazione delle Aree Interne siciliane hanno contribuito studiosi con competenze diverse che hanno colto l’occasione offerta dal convegno per presentare i principali risultati emersi, confrontandosi con professionisti che hanno maturato esperienze di progettazione di aree interne.
Tutti i contributi di studiosi e professionisti hanno fornito una lettura non priva di critiche della classificazione delle aree interne per dare un apporto ai processi locali di rivitalizzazione.
Il prof. Luigi Scrofani