Jonathan Safran Foer ed Etgar Keret a Taobuk, in dialogo con la prorettrice Francesca Longo, per esplorare la loro identità
20-24 giugno 2024, Taormina: sono queste le coordinate spazio-temporali che ci servono per dare una collocazione alla quattordicesima edizione di Taobuk, il Taormina Book Festival, portavoce del libero pensiero nelle arti e in letteratura.
Duecento ospiti tra scrittori di fama mondiale, Nobel per la letteratura, giornalisti, registi e artisti di ogni genere. Tema scelto per questa edizione è l’identità, le sue sfaccettature e come la letteratura rifletta la nostra individualità e quella della realtà sociale in cui viviamo.
Di identità se ne è sempre parlato e ogni epoca ne approfondisce una sfumatura diversa. Intorno al IV secolo a.C., per la logica aristotelica identità significa che A è uguale ad A e che non può andare diversamente; proseguendo sulla scia filosofica, Hegel contempla il concetto della non identità e della sua perpetua trasformazione; i Romantici di fine XVIII – inizio XIX secolo lottano per un senso di appartenenza alla propria nazione, così come i nativi americani morivano per la propria identità collettiva e culturale già dal XV secolo.
Oggi grande risalto è dato ai risvolti psicologici e sociologici riguardanti le teorie sull’identità di genere e ai disturbi umorali (o se volessimo utilizzare un linguaggio più tecnico, li chiameremmo “disforie di genere”) conseguenti l’incongruenza tra il proprio sesso fenotipico di nascita e la percezione interiore che si ha di sé.
Tra i vari interventi, particolarmente interessante è stato quello dell’incontro tra lo scrittore statunitense Jonathan Safran Foer e l’autore israeliano Etgar Keret. Legati da un’amicizia di lunga data in cui fondamentale è la condivisione di punti di vista e opinioni circa il loro mestiere e dalla stima intellettuale e personale che ne deriva.
Gli autori sono intervenuti in una conversazione nella location di Piazza IX Aprile che ha registrato anche l’intervento della docente Francesca Longo, prorettrice dell’Università di Catania, con la moderazione di Viviana Mazza, corrispondente da New York de Il Corriere della Sera.
L’incontro, infatti, è stato realizzato in collaborazione tra il Festival e l’ateneo catanese in esclusiva per l’Italia con il patrocinio proprio dell’Università di Catania.
Safran Foer (foto Taobuk)
Il romanzo d’esordio Ogni cosa è illuminata e Molto forte, incredibilmente vicino, da cui sono state tratte le omonime pellicole cinematografiche di incredibile successo, insieme al nuovo romanzo Eccomi, consacrano Foer come una personalità estremamente vicina a delicate tematiche di attualità.
Nelle tre opere sopracitate, i protagonisti di un mondo contemporaneo al nostro rivivono, infatti, i traumi delle loro origini, segnate dalle radici ebraiche e dall’orrore dell’Olocausto, e le catastrofiche ripercussioni che questi hanno sul loro presente. Lo scrittore aggiunge che il coinvolgimento personale a tali questioni va ad amplificare in misura ancora più notevole il suo interesse su come l’identità non sia una nozione univoca, bensì molteplice nelle sue continue stratificazioni:
“Non riesco a rispondere a nessuna domanda che mi pongono quando parlano di tutte le mie identità e non so davvero che cosa significhi essere un ebreo, non so che cosa significhi descrivere di essere un padre, o un americano o un uomo di mezza età - spiega Safran Foer -. Ebbene, per me scrivere non è un’occasione che mi è data per condividere con altri ciò che io già so, ma anzi è un’occasione per trovare un linguaggio per cose che io sento molto profondamente, ma non riesco a descrivere in altro modo”.
Similmente, Etgar Keret afferma che l’identità è una sfida costante con noi stessi e nei confronti della storia che ci viene affibbiata alla nascita. Per lo scrittore israeliano, identità vuol dire scandagliare nell’abisso della nostra identità e correlare ciò che emerge ai fatti, vale a dire all’ambiente, alla religione, alla cultura in cui cresciamo e che sentiamo affine a noi.
Espone poi le proprie idee sul problema delle identità israeliana e palestinese e su come entrambe le popolazioni debbano andare oltre il peso di vittime che sentono gravare ognuno su di sé, impegnandosi piuttosto a ravvisare le somiglianze culturali che li accomunano e di cui potrebbero beneficiare insieme.
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