«Il giornalismo è servizio per le comunità e la forma deve sempre seguire il servizio» ha detto il giornalista statunitense Jeff Jarvis al workshop “Il giornalismo che verrà”
Un viaggio nel mondo dell’informazione: dalla carta stampa alle recenti tecnologie per comprendere la rivoluzione del nostro modo di pensare.
A ‘guidare’ la platea, dalla sua casa negli Stati Uniti, il giornalista Jeff Jarvis, docente presso la Newmark School of Journalism presso la City University di New York, durante il panel moderato dal direttore di Pagella Politica Giovanni Zagni e alla presenza del rettore Francesco Priolo.
«Prima dell’invenzione della stampa a caratteri mobili di Johannes Gutenberg, fra il 1453 e il 1455, - ha detto Jeff Jarvis mostrando uno degli elementi mobili per riprodurre testi su un supporto di carta -, le informazioni passavano di persona in persona oralmente. Con la stampa, e quindi con i libri, si è riusciti a cristallizzare la storia. La scrittura ha avuto una supremazia che all’inizio era gestita da pochi: dai ricchi, dal clero, da chi sapeva leggere e scrivere».
«Con l’industrializzazione della stampa si è arrivati ai giornali, alla democratizzazione del concetto di scrittura e di lettura – ha aggiunto prendendo le mosse dal suo recentissimo volume “The Gutenberg parenthesis” -. Ma il processo è proseguito con la nascita delle radio e delle tv, che non piacevano agli editori delle testate giornalistiche, fino a quando trent’anni fa con l’avvento di internet siamo arrivati al prodotto di massa. Il libro però non è morto, esiste ancora. Magari è stato superato dal digitale che ha connesso il mondo intero e ci permette di vedere il futuro con gli occhi del passato».
«In sintesi i processi dell’informazione sono cambiati nel tempo, prima magari la storia la scrivevano in pochi, i vincitori, chi se lo poteva permettere, adesso, invece, chiunque può scrivere su internet e c'è una comunicazione da molti a molti – ha continuato il giornalista statunitense -. Un po’ come nel passato, prima della stampa, ma in una forma diversa. Prima una informazione impiegava settimane o mesi per raggiungere tutto il mondo, adesso basta un click.
«Dall’era di Gutenberg e da quella dei mass media abbiamo ereditato la tendenza a vedere il mondo come una narrazione lineare, con un inizio e una fine ben scanditi. Tuttavia, la storia è uno strumento del potere e la complessità del reale non corrisponde al nostro bisogno di renderla comprensibile. Dobbiamo superare quella forma di ragionamento: il giornalismo è servizio per le comunità, ne deve comprendere i bisogni, e la forma deve sempre seguire il servizio».
Jeff Jarvis in collegamento dagli Stati Uniti
«La tecnologia ci ha aiutato a innovare l’informazione e adesso gli innovatori siete voi, io sono già troppo vecchio» ci ha tenuto a precisare sorridendo mentre dalla platea è partito un lungo applauso.
«Adesso la tecnologia ci offre ChatGpt, uno strumento che ci mostra una non realtà, una realtà artificiale, mentre il giornalismo è altro, deve raccontare il fatto vero – ha detto -. L’IA può portare più conoscenza tra le persone, ma dobbiamo stare attenti perché ai gestori dei social media interessano i nostri contenuti che non sempre sono corretti e noi sappiamo bene che il giornalista deve verificare le fonti, non cadere nelle fake news perché deve dare informazioni vere e reali. Per cui va bene la tecnologia, ma solo se saremo noi a guidarla. Il giornalista deve essere responsabile quando gestisce le informazioni».
«Con i social media, dunque, e l’esperienza di Elon Musk ce lo insegna, uno solo può influenzare tanti e creare danni così come li ha prodotti la carta stampata allora che era in mano a pochi – ha detto in chiusura -. Basti pensare alle guerre di religione frutto della divisione creata dalla stampa. Anche oggi internet può creare divisioni. Abbiamo avuto tanta disinformazione nei secoli scorsi e ne abbiamo anche oggi. L’unica differenza è che oggi abbiamo la possibilità di avere più voci. Il digitale è una cassa di risonanza per tutte le comunità. Quindi il reale è pieno di sfumature ed è nostro dovere raccontarle».