L’intervista al virtuoso del violoncello made in Sicily che si è esibito al Teatro Sangiorgi per il festival “InterSezioni”
È un torrido pomeriggio di maggio e vado zigzagando tra le automobili, nel centro storico di Catania.
Il passo è svelto perché ad attendermi al Teatro Sangiorgi non c’è una persona qualunque. Imbocco via Sangiuliano e, giunto davanti all’ingresso del Teatro, mi sembra di essere piombato in una conferenza di violoncellisti.
Immischiatomi in quella folla di mastodontiche custodie, finalmente lo individuo: ecco Giovanni Sollima, virtuoso del violoncello made in Sicily, nonché uno dei compositori italiani contemporanei più conosciuti al mondo.
Manca poco più di mezz’ora al concerto di cui sarà protagonista, insieme a un ensemble di tredici violoncelli (tra cui il maestro Maurizio Salemi, docente di violoncello al Conservatorio Bellini, e alcuni dei suoi migliori allievi), nell’ambito del festival di musica contemporanea InterSezioni.
La performance sarà anche impreziosita dalla presenza dei percussionisti Giovanni Caruso e Rosario Gioeni.
È la prima volta che incontro Sollima tête-à-tête e devo ammettere che, dalle immagini sui social, lo immaginavo più alto. Gli tendo la mano e mi presento. Lui dà una stretta forte e sicura.
Nicotra: «Salve, sono Damiano di UnictMagazine. Sono qui per la nostra intervista».
Sollima: «Sì, sì, salve. Piacere. Dove vogliamo fare l’intervista?»
Nicotra: «Dove preferisce».
Sollima: [Si guarda intorno, dà un’occhiata al rumoroso congresso di violoncellisti che sta affollando il marciapiede, poi verso la porta d’ingresso] «Entriamo» dice l’artista.
[Mi guida all’interno del teatro. Attraversiamo la platea, che è già gremita sebbene manchi più di mezz’ora all’inizio del concerto. Mentre cerco di tenere il passo spedito del violoncellista, nella mia testa risuona Violoncelles, vibrez! Giungiamo, infine, all’interno del camerino, una stanzetta fredda e pallida, illuminata dal giallo rutilante della custodia del suo violoncello]
Nicotra: «Innanzitutto, grazie per questa intervista. Era da un po’ che desideravo parlare con lei».
Sollima: «Allora. Dimmi tutto» risponde l’artista con tono tranquillo e rassicurante.
Nicotra: «Beh, da un po’ di tempo seguo InterSezioni e sin dall’inizio mi sono chiesto cosa fosse davvero la modernità. Secondo lei, cos’è?»
Sollima: «Parlare di modernità è un’arma a doppio taglio. C’è chi parla di avanguardie storiche, che in realtà è un ossimoro, una contraddizione: non vuol dire niente. In realtà la modernità è ciò che viviamo all'istante è che riusciamo a lanciare in un futuro relativamente vicino, un po' più lontano» spiega gesticolando da vero siciliano.
«Per quanto mi riguarda è il vivere all’interno della dimensione temporale che viviamo - spiega -. È ascoltare qualsiasi sollecitazione che arrivi dalla musica, dai rumori, dalla vita, dal cibo… Tutto quello che accade è in qualche modo una forma di linguaggio».
Un momento dello spettacolo di Giovanni Sollima
Nicotra: «Quindi non si può parlare di modernità in senso strettamente musicale, non ci sono degli elementi tecnici o stilistici».
Sollima: «Andare a codificare, un po’ come è stato con il Post-serialismo, secondo me significa irrigidire in una forma accademica e in quel momento la musica invecchia immediatamente. Io libererei la musica da questa idea, perché sono elementi talmente naturali…Un po’ come un designer che disegna una sedia, può rivoluzionare il progetto di questa sedia ma in realtà ha una struttura che antica per quanto sia rimane modernissima. È il rito di una forma arcaica: la modernità respira la storia ancestrale. Come diceva John Cage, è una forma di circolarità»
Nicotra: «Ecco perché in programma ha inserito la Sonata di Valentini» con riferimentoa Giovanni Valentini, autore veneziano del ‘600, allievo di Monteverdi, che non ci si aspetterebbe di ascoltare in un contesto simile.
Sollima: «Esatto. Valentini è un personaggio incredibile. Ha un dizionario armonico assolutamente delirante, è più vicino ai Genesis che a Monteverdi, ma ha un linguaggio drammaturgico».
Nicotra: «Nella locandina di InterSezioni leggo Un americano a Parigi, composto nel 1928. Solo due anni prima andava in scena Turandot, ma non penso che Turandot potrebbe mai essere proposta in un festival di musica moderna. Dunque la modernità non è una questione di tempo cronologico»
Sollima: «Infatti, infatti… Insomma, ognuno si specchia nel proprio concetto di modernità. Non creerei schieramenti, né fronti, né scuole di pensiero. Quando creo qualcosa, nella composizione evito di imprimere il mio codice, perché il codice è di chi suona. Gli dico “guarda, secondo me il tuo linguaggio è questo”. È tutto molto personale. È così anche nelle arti visive e nella danza, mentre in musica c’è stata questa codificazione molto pericolosa».
Il suono dei violoncelli fuori dalla porta sembra bussare e annunciare che mancano pochi minuti al concerto. Ringrazio Sollima, ci salutiamo e io corro a prendere posto tra il pubblico. Ciò a cui assisto nelle due ore successive è uno show elettrizzante, fatto di improvvisazioni, audaci sperimentazioni timbriche, performance art, inaspettate irruzioni tra il pubblico...Uno spettacolo semplicemente inimitabile e, senza dubbio… moderno!