Jeli il Pastore

La recensione di Angelamaria Blanco dello spettacolo andato in scena al Piccolo Teatro della Città di Catania

Angelamaria Blanco (foto di Dino Stornello)
Jeli il pastore (foto di Dino Stornello)
Jeli il pastore (foto di Dino Stornello)
Jeli il pastore (foto di Dino Stornello)
Jeli il pastore (foto di Dino Stornello)

Tratto da una novella di Giovanni Verga, lo spettacolo Jeli il Pastore è andato in scena nei giorni scorsi al Piccolo Teatro della Città di Catania, in una versione proposta dal regista Gianni Salvo con la drammaturgia di Lina Maria Ugolini

In questa trasposizione scenica dell’opera verghiana anzitutto spicca la particolare scenografia: grandi triangoli rettangolari sono posti sulla scena per rappresentare le montagne e la campagna in cui è ambientata la vicenda. La montagna, infatti, è qui metafora della vita dell’uomo: è necessario percorrere una salita per riuscire ad acquisire la speranza. 

La storia del giovane pastore Jeli viene rappresentata anche attraverso lo sguardo di ‘gnà’ Lia, una sorta di messaggera o di ‘corifea’ che guida un coro di quattro donne. Il coro si esprime spesso in dialetto siciliano ed è formato da quattro figure femminili così come sono quattro le stagioni che regolano la vita dei campi: primavera, estate, autunno, inverno. 

Il protagonista, Jeli, è appunto un pastore che conduce un’esistenza semplice in mezzo alle campagne siciliane, dove a tredici anni fa amicizia con Don Alfonso chiamato ‘il signorino’, figlio di un ricco signore del paese. Qui il ragazzo conosce anche Mara, da lui soprannominata ‘occhi di mora’, una giovane della sua stessa estrazione sociale di cui Jeli si innamora perdutamente. La partenza di Mara, infatti, getta il ragazzo nello sconforto, ma al suo ritorno al paese il loro destino d’amore sembra destinato a coronarsi.

L’impianto scenografico pensato dal regista si mantiene molto originale: nella scena del matrimonio tra i due giovani le quattro donne del coro prendono un grande lenzuolo dal cestone in cui Jeli mescola il latte e vi cingono il corpo di Mara, trasformando così il telo in un abito da sposa. Nelle sequenze successive, poi, la gelosia di Jeli verso Don Alfonso è espressa dall’uso della luce, rossa e puntata sui personaggi durante la scena del ballo tra Mara e ‘il signorino’. 

Anche l’interpretazione degli attori contribuisce a far risaltare la varietà umana di cui lo spettacolo si fa latore: la genuinità dei sentimenti di Jeli, la mancanza di valori di Don Alfonso, la sensualità del desiderio incarnato da Mara.

Jeli il pastore (foto di Dino Stornello)

Al Centro Universitario Teatrale, il 10 marzo scorso, nell’ambito del terzo appuntamento di RetroScena si è tenuta una conversazione sullo spettacolo tra gli studenti universitari, il regista Gianni Salvo e gli interpreti. A moderare l’incontro il docente Rosario Castelli del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’ateneo catanese.

RetroScena è un ciclo di incontri, ideato da Orazio Torrisi con il Teatro della Città e promosso dall’Università di Catania, per approfondire gli spettacoli messi in scena al Teatro Vitaliano Brancati e al Piccolo Teatro della Città.