Il contrasto al “Climate Change Climbing” è stato al centro di un convegno interdisciplinare nell’aula magna del Palazzo centrale dell’Università di Catania
Lo sviluppo sostenibile, la biodiversità e la salute umana, le ondate di calore, le emergenze ambientali e i rischi rilevanti come le crisi ambientale, energetica e le guerre oltre alle diseguaglianze e l’equità nella distribuzione del rischio e negli effetti sulla salute, l’Urban health e la Green economy in risposta ai cambiamenti climatici sono stati i temi per il contrasto al Climate Change Climbing al centro di un convegno interdisciplinare, dal titolo Isole di calore, Urban health e sociologia degli ambienti urbani, che si è tenuto nell’aula magna del Palazzo centrale dell’Università di Catania.
Ad organizzare l’evento, lunedì 28 ottobre, il Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e tecnologie avanzate "Ingrassia" dell’Università di Catania.
Nel corso dell’incontro - rivolto a studenti, cittadini e operatori del settore – sono state presentate le basi per comprendere e approfondire i temi del “Climate Change Climbing” e degli interventi necessari a mantenere una elevata qualità della vita e dell’ambiente, ad esempio l’applicazione del modello OneHealth, illustrato dalla prof.ssa Margherita Ferrante.
Ben due le sessioni di lavoro dell’incontro che è stato aperto dalla prof.ssa Antonella Agodi dell’Università di Catania e la dott.ssa Antonella Luciano del Dipartimento Sostenibilità, Circolarità e Adattamento al Cambiamento Climatico dei Sistemi Produttivi e Territoriali (SSPT) di Enea con una presentazione sull’impegno del mondo della ricerca nel campo della sostenibilità e del rapporto tra la sanità pubblica, gli effetti del cambiamento climatico e le disuguaglianze.
A seguire la prof.ssa Margherita Ferrante di Unict, con la relazione dal titolo “Ambiente e salute: contrastare il cambiamento climatico con il modello OneHealth”, si è soffermata sulle tematiche trattate nelle tre conferenze One Health tenute in ambito internazionale e in particolar modo la resistenza antimicrobica, l’uso dei big data e delle nuove tecnologie e i diritti umani.
«L’inquinamento genera effetti sulla salute fisica e psicologica – ha spiegato -. Il cambiamento climatico ha favorito lo spostamento di organismi viventi vettori di malattie, determinando la ridiffusione della malaria e della poliomielite. Le questioni ambientali possono generare uno stato di allarmismo eccessivo come l’eco-ansia. Le guerre causano effetti a lungo termine sull’ambiente e sul cambiamento climatico oltre che aumentare il divario di genere, la malnutrizione e l’immigrazione».
«Un altro aspetto è la crisi energetica dovuta all’aumento del dispendio energetico – ha aggiunto -. Uno degli obiettivi da raggiungere entro il 2050 è l’utilizzo al 90% di fonti di energia che non contribuiscano all’abbattimento di anidride carbonica».
La docente, inoltre, si è soffermata anche sul termine giustizia climatica, un principio etico per cui si costituisce una condizione di parità ed uguaglianza dei diritti, dei doveri e delle risorse di fronte ai cambiamenti climatici di dimensione locale e planetaria, in particolare quelli negativi, nei quali ha un forte impatto l'azione umana.
Un momento dell'incontro
A seguire è intervenuto il prof. Carlo Colloca di Unict ha presentato la relazione dal titolo “Territori, sostenibilità e agire progettuale” trattando il rapporto tra la prospettiva sociologica e la pratica architettonica.
Tenterò di fare emergere quanto "molta progettazione nelle nostre città sia intrisa di retoriche sulla sostenibilità, di scelte all'insegna della mediatizzazione dell'architettura, affinché sia glamour, piuttosto che essere vicina alle esigenze sociali, culturali ed economiche dei cittadini. Tale approccio tradisce la sostenibilità sociale e la salute pubblica alle quali l'agire progettuale dovrebbe sempre ispirarsi".
«Lo sviluppo sostenibile non è semplice tutela dell’ambiente, ma in realtà è un concetto che integra la dimensione sociale, ambientale ed economica – ha spiegato -. Occorre partire dalla produzione architettonica, ovvero il fare architettonico come professione, dal prodotto architettonico, cioè l'edificio come oggetto su cui si concentra l'analisi delle scienze sociali, e dalla fruizione architettonica, in sintesi l'attività degli utenti degli spazi realizzati dagli architetti».
«Per raggiungere la sostenibilità urbana è fondamentale un’intersezione tra realizzabilità, vivibilità e equità. La riqualificazione urbana può essere una soluzione – ha aggiunto -. Tuttavia, la programmazione deve partire dalla politica, che spesso sfrutta le tematiche ambientali per ottenere consensi. Nell’ambito dell’architettura, la ricerca del glamour, anche applicando soluzioni sostenibili, rischia di sacrificare l’accessibilità. Un’altra soluzione potrebbe essere il ricompattamento delle città o città dei 15 minuti, un concetto urbano residenziale che permette di soddisfare la maggior parte delle necessità quotidiane spostandosi a piedi o in bicicletta».
In chiusura di intervento il docente ha evidenziato la necessita di una maggiore collaborazione tra cittadini, ingegneri e architetti tramite la progettazione partecipata al fine di comprendere maggiormente i problemi delle aree urbane e trovare soluzioni.
Enrico Foti, docente di Unict, nella sua relazione dal titolo “Siccità in Sicilia: strategie di gestione dell’emergenza idrica”, ha trattato «i problemi connessi all’eccesso, alla carenza e all’inquinamento dell’acqua». «L’emergenza idrica è un problema globale – ha detto -. Ogni anno, circa un milione e mezzo di persone muore per mancanza di acqua o per la sua scarsa qualità, e negli ultimi quattro anni si sono registrati 785 conflitti legati all’acqua».
«In Italia esistono problemi di eccesso d’acqua a causa di alluvioni e problemi di cattiva gestione dell’acqua con multe giornaliere di circa 165mila euro per infrazione comunitaria – ha aggiunto -. La siccità è un problema crescente non solo in Sicilia, ma anche nel resto d’Italia. Il serbatoio dell’Ancipa, il più importante bacino artificiale in Sicilia, poiché collega diverse province, facilitando la distribuzione dell’acqua durante i periodi di siccità, in un anno si è svuotato a causa non solo dell’incremento della siccità, ma anche delle mancate manutenzioni. La scarsità delle risorse idriche in Sicilia deriva anche dalla carenza di erogazione, che in alcuni comuni avviene anche solo una volta ogni dieci giorni».
Nell’ambito di un progetto di ricerca, che ha visto coinvolti diversi docenti dell’ateneo catanese, sono state individuate nuove risorse idriche con la realizzazione di nuovi pozzi. «Il 62% di queste opere è già stato completato – ha spiegato il prof. Enrico Foti -. Mancano ancora gli strumenti normativi per affrontare la siccità e la sensibilità verso questo tema. I problemi di infrastrutture idrauliche potrebbero essere risolti aumentando il numero di tecnici che si occupano di acqua, e migliorando la manutenzione».
«Dobbiamo favorire l’applicazione della restoration law, una legge europea che ha effetto anche sull’Italia e che impone che il 30% degli ecosistemi vengano recuperati entro il 2030 e il 90 % entro il 2060», ha detto in chiusura di intervento il docente.
Un momento dell'intervento del professore Enrico Foti
La prof.ssa Alessandra Gentile di Unict, nella la sua presentazione dal titolo “Il ruolo delle risorse energetiche per una frutticultura di qualità resistente” si è soffermata sul cambiamento della disponibilità dei prodotti agricoli a causa del cambiamento clima.
«Il cambiamento climatico in agricoltura ha risvolti diversi che determina effetti a breve, medio e lungo termine – ha spiegato -. Si diffondono nuovi patogeni, le vecchie malattie diventano più impattanti e si rischia di perdere la biodiversità. Tra questi c’è certamente la riduzione della quantità e della qualità di produzione, determinata da danni da freddo o da caldo, per attacchi di patogeni e parassiti, per carenza di acqua. In Italia, specie subtropicali come mango e avocado si stanno diffondendo, mentre gli agrumi si sono adattati anche al clima del nord Italia. Tuttavia, il caldo può impedire la fioritura delle piante, che hanno bisogno di accumulare freddo per schiudere le gemme. Per cercare di mitigare tali effetti bisogna individuare strumenti e tecnologie idonei, tra i quali il ruolo del miglioramento genetico appare quello più promettente e efficace».
«Per contrastare la siccità si possono applicare sistemi di irrigazione deficitari: ovvero dare acqua alle piante nei periodi fenologici di fioritura; oppure riutilizzare le acque reflue della produzione agricola e dell’industria agroalimentare – ha aggiunto -. Per rendere le piante resistenti alle malattie e alle nuove condizioni climatiche, si possono applicare il breeding e le tecniche di evoluzione assistita (Tea). La produzione di prodotti sostenibili, che garantiscono la biodiversità, è determinata anche dalle scelte del consumatore».
Il prof. Fabio La Rosa, che fa anche parte del network “Voci per il Clima” promosso da Greenpeace, ha esposto la relazione dal titolo “Cambiamento climatico e strategie aziendali di greenwashing” incentrata sui risultati di una ricerca recentemente pubblicata sul tema delle difficoltà di misurazione del greenwashing e dei rischi che ne conseguono per la reputazione delle aziende.
«Le aziende valutano, identificano e gestiscono i rischi e le opportunità connesse al cambiamento climatico. Riconoscono l’importanza della diffusione di un’immagine che sia coerente con le loro politiche, ma purtroppo in alcuni casi l’immagine che diffondono non rispecchia le loro azioni», ha spiegato il prof. La Rosa.
«Si parla di Greenwashing quando si ha un divario comportamentale tra le informazioni dichiarate (talk) e le azioni compiute (walk) in materia di sostenibilità ambientale – ha spiegato -. La ricerca condotta tratta il Greenwashing prendendo in esame tre aspetti: la multidirezionalità, la misurazione e la maniacalità. Secondo la multidirezionalità il greenwashing si connette ai fenomeni di hush washing, che riguarda le aziende che applicano politiche ambientali, e di brownwashing, che riguarda le aziende che non attuano politiche ambientali e non ostentano un impegno nella sostenibilità ambientale».
«Per quanto riguarda la misurabilità, quando vengono denunciati casi di greenwashing non è facile distinguere i casi reali di greenwashing da quelli percepiti come tali; ciò può determinare una difficoltà di misurazione. Inoltre si può parlare di greenwashing solo quando si tratta di greenwashing intenzionale. Per quanto riguarda la maniacalità il professore fa riferimento alla facilità con cui si accusano le aziende di greenwashing, causando la riluttanza a rendere pubblico l’impegno ambientale da parte di alcune aziende», ha detto in chiusura di intervento.
Un momento dell'intervento del professoressa Alessandra Gentile
La seconda sessione di lavoro è stata moderata dai docenti Antonio Mistretta e Maria Fiore dell’Università di Catania.
La prof.ssa Martina Barchitta di Unict ha presentato la relazione “Cambiamento climatico e antimicrobico- resistenza: una sfida per la sanità globale” sottolineando gli effetti del cambiamento climatico riguardo all’antimicrobico resistenza.
«Secondo i dati più recenti sulla mortalità e disabilità conseguenti a infezioni correlate all’antimicrobico resistenza l’impatto sui bambini al di sotto dei cinque anni è diminuito del 50%, mentre quello sugli anziani è aumentato dell’80% a partire dal 1990 – ha detto -. A ridurre l’impatto sui bambini, la vaccinazione e la riduzione della sepsi neonatale hanno svolto un ruolo fondamentale. Purtroppo però secondo le previsioni, la mortalità associata dell’antimicrobico resistenza aumenterà del 70% entro il 2050».
«L’antimicrobico resistenza è legata all’ambito sanitario, ma determina anche una grossa perdita in termini di prodotto interno lordo, e a lungo andare causerà condizioni di estrema povertà – ha aggiunto -. È un tema che va affrontato seguendo una strategia one health poiché gli organismi patogeni portatori di tratti di resistenza vengono diffusi dall’ambito animale e, tramite la catena alimentare, fino all’uomo e infine all’ambiente».
«Pertanto bisognerebbe prendere in considerazione l’interconnessione tra l’ambiente e l’antimicrobico resistenza – ha precisato -. Il cambiamento climatico determina impatti diretti e indiretti sulla salute. Gli impatti diretti sono rappresentati dalle malattie, quelli indiretti l’antimicrobico resistenza. Di conseguenza è necessario attuare piani di contrasto che considerino l’interconnessione tra l’ambiente e l’antimicrobico resistenza».
La prof.ssa Gea Olivieri Conti di Unict ha esposto la relazione “Urban Health e politiche di contenimento sui rischi climatici”.
Nel corso del suo intervento la docente ha trattato «le azioni di mitigazione del climate change» da un punto di vista sanitario mettendo in luce «gli effetti e gli impatti sanitari derivanti dall’esposizione a temperature in crescita e poi come specialista in igiene degli ambienti confinati e urban health».
Ed, inoltre, ha evidenziato le azioni e tecnologie blu e green per riportare la città a città-spugna attraverso le infrastrutture blu di drenaggio e la raccolta idrica in compartecipazione alle infrastrutture verdi che mitigano l’aspetto termico.
Il prof. Andrea Maugeri di Unict con la relazione “Spazi Verdi e Salute Pubblica: Metodologie Innovative per la Valutazione dell’Impatto sugli Stili di Vita” ha esplorato l’impatto degli spazi verdi sulla salute pubblica, evidenziando come possano migliorare il benessere della comunità.
«Tuttavia, la ricerca presenta alcune sfide, come l’assenza di una definizione univoca di spazio verde e la variabilità degli indicatori utilizzati, che complicano la comparazione dei risultati – ha detto -. Isolare gli effetti degli spazi verdi è reso complesso da fattori confondenti e dalla limitatezza degli studi trasversali. Studi recenti, come quello che stiamo conducendo sulla pedonalizzazione del lungomare di Catania, sottolineano l’importanza dell’accessibilità e della camminabilità per promuovere una mobilità sostenibile e stili di vita attivi. Inoltre, grazie alla web-app Healthy-Unict - sviluppata nell’ambito del Piano “Piaceri” 2020-2022 dell’Università di Catania - è stato possibile valutare come il contesto ambientale e sociale influenzi le scelte alimentari degli studenti, aprendo la strada a un’analisi più ampia sugli stili di vita».
Un momento dell'incontro
A chiudere le relazioni il prof. Giuseppe Mancini di Unict, nonché direttore del Cutgana e presidente AIAT, con un intervento dal titolo “Gestione dei rifiuti e impatti sul clima”. Il docente ha spiegato come «per mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C occorrono progressi non solo sul settore energetico - che impatta per circa il 55% -ma anche sui cicli produttivi che concorrono all’ulteriore 45% delle emissioni di CO2 e questo si dovrà fare puntando su un economia circolare sostenibile attraverso azioni diversificate che coinvolgano l’ecodesign dei prodotti, il loro alleggerimento, la maggiore riciclabilità e durata, la riparabilità fino ai servizi di co-sharing».
Passando poi all’esame della gestione dei rifiuti urbani in regione il prof. Mancini ha evidenziato come anche «nelle ipotesi più ottimistiche di elevati valori di raccolta differenziata resterà comunque una quantità troppo elevata (35-40%) di rifiuto residuale (indifferenziato più gli scarti della raffinazione della RD) che non può essere smaltita in discarica (< 10% per l’Europa), creando seri rischi per una gestione sostenibile e resiliente dei rifiuti in Sicilia».
Con riferimento all’impatto sul clima il prof. Mancini ha poi dimostrato come «l’utilizzo attuale di discariche ha prodotto un impatto ben più rilevante di quello dei termovalorizzatori (purtroppo molto sottodimensionati quelli previsti nell’attuale piano rifiuti) che già nel 2019 producevano in Europa una quantità di energia primaria equivalente a 13,8 miliardi di m³ di gas naturale (circa il 9 % delle importazioni di gas naturale nell'UE dalla Russia nel 2021)».
«Questi sistemi hanno quindi già oggi un bilancio negativo di produzione di CO2 e con le nuove tecnologie di cattura e utilizzo della CO2 potranno sottrarne ulteriormente all’atmosfera contribuendo positivamente al difficile percorso di lotta al cambiamento climatico», ha aggiunto.
Il prof. Carlo Colloca ha concluso i lavori sottolineando l'importanza di una riflessione sui temi del convegno all'insegna dell’ecologia politica: un campo interdisciplinare che attinge a più metodi d’indagine e indirizzi di pensiero, tra i quali assumono rilevanza le prospettive ecomarxiane, decoloniali ed ecofemministe, accanto a elementi della tradizione critica e pragmatista. Negli interventi è stata comune l’idea che tra società, mondo biofisico e salute sussista un rapporto di influenza reciproca sui temi oggi alla ribalta: cambiamento climatico, sostenibilità, urbanizzazione, migrazioni, fonti energetiche e smaltimento dei rifiuti.
La prof.ssa Margherita Ferrante ha, infine, ricordato che il convegno è rientrato nell'ambito delle iniziative dalla Rete delle Università per lo Sviluppo sostenibile (RUS) nell'ambito della sesta edizione del Climbing for Climate. Ha sottolineato l'importanza di un approccio interdisciplinare allo studio dell'Urban Health e ha ringraziato la prof.ssa Antonella Agodi, direttrice del Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e tecnologie Avanzate "Ingrassia", per aver sostenuto la realizzazione di un evento di alto profilo scientifico e culturale, molto partecipato dagli studenti dell'ateneo.