Al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali è intervenuto Mariano Giustino, corrispondente estero in Turchia di Radio Radicale
Vogliono un paese libero, un Iran in cui possa “regnare” la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e delle minoranze e, soprattutto, la libertà.
E urlando il motto curdo Donna, Vita, Libertà, la Generazione Z – i ventenni e trentenni che costituiscono oltre il 70% della popolazione – ha lanciato la propria Rivoluzione che ha radici molto lontane nel tempo, ben prima della rivoluzione del 1979.
Una rivoluzione che – figlia di quel secolo di movimenti per i diritti delle donne - stavolta abbraccia tutti e tutte, in ogni angolo dell’Iran, dal centro del Paese fino alle periferie. Proprio perché stavolta quella iraniana è una rivoluzione che coinvolge gli oppressi, gli ultimi, le minoranze e che vede soprattutto le donne in prima linea.
Temi che Mariano Giustino, corrispondente estero in Turchia di Radio Radicale, per la quale scrive e conduce la rubrica “Rassegna Stampa Turca”, ha ripercorso durante l’incontro nell’Aula XXI marzo del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, nella ricorrenza della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
E prendendo spunto dal volume, edito da Rubbettino, Iran a mani nude. Storie di donne coraggiose contro ayatollah e pasdaran, il giornalista – in occasione dell’incontro organizzato dal Laboratorio di ricerca e azione di genere – ha ripercorso le tappe delle donne iraniane che da anni elaborano strategie per sfidare la discriminazione di genere, sia in politica che nella società.
In foto da sinistra Mariano Giustino, Pinella Di Gregorio, Stefania Mazzone e Deborah De Felice
«La barbara uccisione di Masha Amini il 16 settembre del 2022 è stata la scintilla che ha fatto divampare il fuoco della ribellione in tutto il Paese, dal centro alla periferia, quindi dalla capitale dell’Iran, Teheran, alla periferia, ovvero fino al Kurdistan iraniano e al Sistan-Balochistan, quelle aree delle minoranze. E proprio perché sono le aree più povere, più emarginate e più represse del paese, non solo da parte del regime ayatollah e anche in precedenza, la “rivoluzione” è ancora più sentita rispetto a Teheran, cuore culturale e politico del paese», ha detto in apertura Mariano Giustino.
«Come ha spiegato il rapper Toomaj Salehi, dissidente, condannato a morte e poi scagionato, ma ancora in carcere, che parla di questa rivoluzione in Iran, denominata Donna, Vita, Libertà, come frutto di quella rabbia di mille voci di oltre 17 minoranze che abitano in questo paese – ha aggiunto il giornalista -. Si dice che l’Iran sia l’insieme di mille fiumi che però vuole stare insieme e aspira a vivere in un sistema democratico, basato sullo stato di diritto, sui diritti individuali e delle minoranze».
«E le donne sono al centro di questa rivoluzione culturale, ma sappiamo bene che le donne si sono mosse da tempo, non solo dall’uccisione della giovane curda iraniana Masha Amini ad opera della “polizia morale”. La giovane ventiduenne è stata uccisa nel furgone bianco dopo essere stata arrestata perché non indossava correttamente il velo come prescrive la legge islamica», ha aggiunto.
«Questa uccisione ha rappresentato la scintilla di quel fuoco di sofferenza che già da tempo opprime le donne iraniane. La ribellione delle donne, il rifiuto dell'hijab, della legge della sharia, dell’imposizione mirata alla segregazione, alla riduzione al nulla, ad ombre, risale, infatti, all’Ottocento e non al 1979 come si possa pensare», ha proseguito Mariano Giustino.
L'aula XXI Marzo di Palazzo Reburdone, sede del Dipartimento di Scienze politiche e sociali
«Basti pensare a Fàtimih Zarrìn Tàj Baraghàni, considerata la prima femminista del Medioriente – ha tenuto a precisare -. Poi ci sono state varie riforme come quella dello scià, la rivoluzione bianca con l’abolizione della poligamia, col diritto delle donne al lavoro, e con la legge sulla famiglia che disciplina i rapporti coniugali. Ma a seguire si è sprofondati nell’oscurantismo con la rivoluzione khomeinista del 1979 che ha voluto imporre l’obbligo del velo per le donne e ha continuato a reprimere le minoranze etniche e religiose».
«Adesso è scoppiata questa rivoluzione Donna, Vita, Libertà che è un qualcosa di straordinario che esprime alcuni aspetti che non erano mai esplosi prima dal cuore di questo paese straordinario fatto di una popolazione che si è sempre battuta dal 1979 contro i regimi degli ayatollah e dei pasdaran», ha detto.
«È straordinario che per la prima volta il centro del paese, quello più agiato, più borghese dell’Iran, ha usato le stesse parole d’ordine che si usano e si sono usate anche in passato, fino adesso, nel Kurdistan iraniano – ha proseguito il giornalista -. Il 16 settembre 2022, per la prima volta, le donne di tutto l’Iran, quindi anche della borghesia di Teheran, hanno gridato Donna, Vita, Libertà, un motto che è molto curdo. Il tutto ha preso vita dall’uccisione di una ragazza curda, appunto curda e non persiana o sciita».
«È un fatto rivoluzionario perché le minoranze, spesso in Iran, soprattutto dall’epoca della repubblica islamica sono state costrette a celare la loro identità, non persiana e non sciita, come ad esempio i beluci che vivono nel sud-est del paese che addirittura non possono nemmeno registrare i propri figli alla nascita e quindi non hanno documenti di identità, non hanno diritto ad esistere, solo perché sono una minoranza sunnita», ha aggiunto.
Il giornalista Mariano Giustino
Pochi giorni fa il caso di Ahoo Daryaei, la studentessa iraniana arrestata per aver protestato contro il regime spogliandosi nel cortile dell’Università di Teheran dopo aver subito insulti e molestie dalle agenti della “polizia morale” a causa del velo indossato male.
«Le donne continuano a resistere e il suo esempio è emblematico, una brillante studentessa di letteratura francese, prossima alla laurea, ha affrontato la “polizia morale”, che gira per i campus universitari per controllare se le ragazze indossano o meno il velo e si è avvicinata a questa ragazza per imporle il velo molestandola», ha spiegato Mariano Giustino.
«Lei si è ribellata e la sua ribellione ha portato a denudarsi rimanendo vestita solo con indumenti intimi, proprio come segno di sfida a questo regime – ha aggiunto -. Le donne che escono di casa senza indossare l’hijab, possono essere arrestate, torturate, stuprate, uccise, accecate dai pallini delle forze militari che sparano ad altezza d’uomo».
«Le donne sanno che l’unico modo per cercare di cambiare e mandare via questa repubblica islamica è mostrare tutto il loro coraggio a mani nude – ha spiegato -. Le rivoluzioni in quelle aree sono state sempre disarmate contro le forze della repressione e questo è quel che ha rappresentato Ahoo Daryaei, una icona ed emblema del movimento Donna, Vita, Libertà, contro l’apartheid di genere».
«Ricordiamo che questa rivoluzione non è finalizzata all’eliminazione dell’obbligo del velo – ha detto in chiusura di intervento l’ospite del Dsps -. L’obiettivo dei giovani della Generazione Z che rifiutano di vivere sotto il regime oppressivo come quello islamico-iraniano è di rovesciare la repubblica islamica. Il loro motto è “via gli ayatollah e i pasdaran da questo paese per vivere come vivono i giovani in Occidente”. Vogliono liberare l’Iran dalla repubblica islamica perché la vita può essere vissuta in modo diverso. Questi sono messaggi dirompenti contro ogni forma di oppressione e autoritarismo».
Un momento dell'incontro
In apertura sono intervenute le docenti Pinella Di Gregorio, Deborah De Felice, Daniela Fisichella e Stefania Mazzone organizzatrice dell’evento e coordinatrice del Laboratorio di Ricerca e Azione di Genere del Dipartimento di Scienze politiche e sociali.
La direttrice, prof.ssa Pinella Di Gregorio, nel suo intervento, nella qualità di storica contemporaneista e di donna con ruolo dirigenziale, ha ricordato la valenza politica e civile del concetto di “diritto universale” per il quale la lotta di liberazione della donna e l’emancipazione della società, passa per l’assunzione della necessità di liberazione per tutte e tutti ad agni latitudine, a partire dal mutuo riconoscimento dei generi.
La prof.ssa Daniela Fisichella, docente di Diritto Internazionale, ha proposto un quadro d’analisi del ruolo del Diritto nelle pratiche emancipatorie, che non può prescindere dalla trasformazione sociale delle culture.
A seguire la prof.ssa Deborah De Felice, in qualità di docente di Sociologia del diritto e della devianza ha sottolineato l’importanza del libro di Giustino per comprendere la dimensione storica della lettura sociologica delle posizioni nei conflitti in atto.
Ha chiuso la giornata, animata dal dibattito dei numerosi interventi in sala, la prof.ssa Stefania Mazzone che ha rilevato la frattura drammatica tra i movimenti in atto nella società iraniana e l’incapacità di coglierne la portata storicamente femminista e di avanguardia delle trasformazioni sociali da parte di una opinione pubblica occidentale autocentrata nei propri canoni ideologici, spesso riferiti a stereotipi novecenteschi, incapace, dunque, di recepire, fino in fondo, la portata rivoluzionaria e autonoma del movimento Donna, Vita, Libertà per gli equilibri mondiali, anche occidentali.
Un momento dell'intervento della prof.ssa Stefania Mazzone