Integrazione del verde nell’ambiente costruito

Al Polo tecnologico del Dipartimento di Ingegneria civile e architettura si è tenuto un focus sulla sostenibilità urbana

Margherita Mantione e Oscar Perspicace

Integrazione del verde nell’ambiente costruito è il titolo del focus sulla sostenibilità urbana che si è tenuto nei giorni scorsi al Polo tecnologico del Dipartimento di Ingegneria civile e architettura.

Ad aprire i lavori – moderati dalla prof.ssa Angela Moschella – i docenti Gaetano Sciuto e Stefano Cascone, in rappresentanza dell’Ordine degli Ingegneri di Catania.

Il prof. Giuseppe Inturri, delegato al Coordinamento della Sostenibilità di Unict, ha sottolineato «l’importanza del tema ambientale accennando alla sua recente introduzione all’interno dell’articolo nove della Costituzione italiana».

Ha, inoltre, ricordato l’impegno dell’ateneo in merito annunciando «l’allargamento dell’offerta formativa con un nuovo corso di laurea triennale per la transizione ecologica».

Il tavolo dei relatori

          Un momento dei lavori

A seguire la prof.ssa Angela Moschella del Dicar ha illustrato i diciassette obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile promossa dall’Onu.

«L’obiettivo tredici Lotta contro il cambiamento climatico prevede due tipi di strumenti: di mitigazione e di adattamento – ha spiegato -. Quest’ultimo comprende tra le strategie di attività antropica la costruzione di infrastrutture verdi».

«Storicamente gli studiosi di urbanistica si sono occupati dell’integrazione natura-architettura, come il citato Le Corbusier con il suo tetto giardino – ha aggiunto -. Al giorno d’oggi il verde è diventato un elemento di progetto, quasi un materiale da costruzione, come previsto anche dall’obiettivo undici Città e comunità sostenibili».

Successivamente il prof. Francesco Nocera del Dicar si è soffermato sul legame tra incremento del tasso di urbanizzazione e cambiamento climatico.

«L’Onu stima che nel 2050 il 66% della popolazione mondiale vivrà in città, contribuendo all’incremento dell’uso di energia e quindi alla maggiore produzione di anidride carbonica – ha detto -. Prendendo in considerazione anche l’invecchiamento della popolazione, ci si rende conto che la gran parte sarà maggiormente esposta e vulnerabile agli effetti dei cambiamenti climatici».

Ha poi spiegato l’origine e il significato del concetto di isola di calore, coniato nel 1958 da Gordon Manley.

«Il termine Isola di calore urbano si riferisce ad aree edificate le quali sono caratterizzate da temperature superiori rispetto alle zone suburbane e alle limitrofe aree rurali», ha aggiunto.

Isola di calore

Isola di calore 

«Le conseguenze derivanti dall’isola di calore urbana sono: maggiori fabbisogni energetici e relativi costi di climatizzazione, inquinamento delle acque e dell’atmosfera, discomfort termico e peggioramento delle condizioni di salute», ha spiegato.

«Un edificio genera modificazioni climatiche di tipo: radiativo, termico, idrologico e aerodinamico – ha detto -. Per controbilanciare l'impatto delle temperature urbane più elevate, sono state sviluppate e implementate varie tecnologie di mitigazione in numerose città. Materiali riflettenti e aree verdi sono i sistemi più accettati e implementati come cool materials, green roofs, green facades, street trees, greening».

A seguire è intervenuto l’ingegnere Stefano Cascone del Dicar che si è focalizzato sulla soluzione dei tetti verdi.

Stefano Cascone

Il prof. Stefano Cascone

«I tetti verdi sembrano essere già presenti nella città di Babilonia, ma anche nelle ville romane per arrivare ai giorni nostri – ha spiegato -. Tra i benefici delle coperture verdi vi sono la riduzione delle onde sonore, l’aumento della biodiversità e la riduzione delle temperature».

«Le coperture posso essere di tipo estensivo, semi intensivo, intensivo. Le prime sono un sottile substrato di terreno alto dai sei ai venti centimetri e dai costi bassi. Il semi-intensivo è alto dai dodici ai venticinque centimetri e ha un costo medio. L’intensivo è un substrato di terreno spesso dai quindici centimetri a un metro che presenta costi elevati», ha detto in chiusura di intervento.

La prof.ssa Angela Moschella ha ripreso la parola per soffermarsi sulle facciate verdi. «Esistono due tipi di verde verticale: le facciate verdi e living wall – ha spiegato -. A loro volta le facciate verdi si dividono in dirette (ancorate al terreno contenuto in vasi) e indirette (più articolate, supportate con griglie o reti). L’efficienza di un sistema di verde verticale (VGS) può essere raggiunta solo con un elevato indice di superficie fogliare».

«La maggior parte degli studi ha analizzato le prestazioni delle facciate verdi utilizzando principalmente due rampicanti perenni, non considerando specie vegetali adatte alle pareti verdi in condizioni di clima estivo», ha aggiunto.

In seguito, sono intervenuti i docenti Alessandro Lo Faro e Gaetano Sciuto del Dicar rispettivamente sul verde verticale in clima mediterraneo e sui criteri di applicazione del verde verticale in edifici esistenti.

A chiudere gli interventi è stata la prof.ssa Luisa Sturiale, docente di Estimo al Dipartimento di Ingegneria civile e architettura a Unict, che ha trattato il tema della sostenibilità delle infrastrutture verdi in ambito urbano, concentrandosi sulla percezione dei cittadini e le loro possibilità di partecipazione nelle fasi di governance.

La prof.ssa Luisa Sturiale

La prof.ssa Luisa Sturiale

«Le infrastrutture verdi sono reti di aree naturali e seminaturali pianificate a livello strategico con altri elementi ambientali, progettate e gestite in modo da fornire un ampio spettro di servizi ecosistemici. Includono elementi verdi (o blu, nel caso degli ecosistemi acquatici) e altri elementi fisici in aree terrestri (comprese le aree costiere) e marine. Sulla terraferma, le infrastrutture verdi sono presenti in un contesto rurale e urbano», ha spiegato.

«Tra le più comuni forme di GIs possiamo trovare i tetti verdi, pareti verdi, foreste urbane, spazi verdi urbani, giardini pluviali, agricoltura urbana come orti urbani, community gardening, community greening, agricoltura periurbana e parchi agricoli», ha aggiunto.

«L’Organizzazione Mondiale della Sanità, sostiene che per creare spazi vitali sostenibili e salubri si dovrebbero garantire 15 mq/ab di spazi verdi per ogni abitante e che ciascuno non dovrebbe vivere più lontano di 300 metri da un’area verde. Catania fra le grandi città italiane è quella con meno disponibilità di verde fruibile», ha detto.

verde fruibile

Fonte: ISTAT, Verde Urbano, 2023. La prima tabella riporta i dati relativi alla disponibilità di verde urbano complessivo (mq/abitante). La seconda riporta i dati relativi alla disponibilità di verde urbano fruibile (mq/abitante)

In chiusura la docente ha poi esposto i risultati di una ricerca condotta a Catania, insieme ai professori Alessandro Scuderi e Giuseppe Timpanaro dal titolo Ruolo del verde pubblico nella città di Catania e cambiamenti climatici: cosa ne pensano i cittadini?

L’obiettivo è stato quello di rilevare la percezione e la conoscenza dei cittadini di Catania sui benefici delle infrastrutture verdi urbane e sul tema dei cambiamenti climatici, e del ruolo del verde urbano come misura di adattamento.

Attraverso un questionario con scala Likert hanno condotto dei sondaggi sui benefici degli spazi verdi. «È stata rilevata la loro disponibilità a pagare per contribuire alla manutenzione del verde urbano – ha precisato la docente -. L’86% del campione ha risposto di voler partecipare alla gestione delle aree verdi attraverso il crowdfunding tra gli abitanti del quartiere, consentendo di ridurre l'importo pagato in tasse comunali».

i risultati della ricerca