Immaginarsi al Sud: riti curativi e mistiche grazie

Terzo incontro della rassegna con proiezioni e incontri del Dipartimento di Scienze umanistiche organizzati nell'ambito del progetto di ricerca “Archivi del Sud” su cinema e storie del Meridione d’Italia 

Carlo Lacagnina

Le storie, i riti e le credenze sono i temi affrontati nel quarto appuntamento di visioni di Immaginarsi al Sud che ha avuto luogo nei giorni scorsi al Centro Universitario Teatrale con quattro documentari di Luigi Di Gianni.

Il programma proposto ha offerto un viaggio a ritroso fra gli usi e costumi meno canonici delle zone del meridione italiano. Il primo dei quattro documentari è Magia Lucana (1958), un insieme di testimonianze della vita rurale in Basilicata degli anni Cinquanta, con un focus particolare sui riti dei contadini nei campi e i riti funebri di alcune comunità rurali.

Il secondo documentario. Il male di San Donato (1965) analizza le particolari usanze collegate a una festività dedicata al santo in Lucania, protettore degli infermi e degli epilettici. La peculiarità, quasi paradossale, derivava dalla credenza popolare per cui il santo, oltre a essere colui che curava il ‘morbo’ ne era anche la causa di tale morbo. Se i fedeli disertavano l’annuale ricorrenza, si pensava che al fedele, già guarito, tornasse la malattia dando così vita a un culto di assoluta fedeltà verso il santo stesso.

In foto da sinistra Stefania Rimini e Alessandro Di Costa

In foto da sinistra Stefania Rimini e Alessandro Di Costa

Il terzo docu-film proiettato, Il culto delle pietre (1967), si concentra sul rito e le tradizioni verso San Venanzio nelle zone del Raiano in Abruzzo. Qui vi è la credenza che nelle grotte sottostanti una chiesa si sia ritirato un giovane poi diventato santo, diventate luogo di culto e di pellegrinaggio per molti fedeli ancora oggi. Nei giorni della festa patronale fino a pochi decenni fa venivano compiuti a contatto con le pietre riti di purificazione e di auspicio per il futuro come testimoniato dal film. I fedeli, si vede in molte scene del documentario, si strofinano, si buttano a terra vestiti e si strusciano contro pezzi di roccia delle grotte considerate taumaturgiche e sacre.

L’ultimo contributo audiovisivo Nascita di un Culto (1968) è il documentario più singolare e interessante fra le quattro opere. Lo spettatore ha l’opportunità di osservare il culto creatosi intorno alla storia di un giovane di 21 anni, Alberto, morto in un incidente stradale. Nella stessa ora in cui sarebbe deceduto sua zia Giuseppina veniva posseduta dal suo spirito che decantava le bellezze della vita ultraterrena. Le manifestazioni di devozione che ne sono derivate appaiono al limite del fanatismo con la costruzione di un luogo di preghiera e riunione per i fedelissimi.

Al termine delle proiezioni sono intervenuti i moderatori dell’evento la Professoressa Stefania Rimini e il dottorando Alessandro Di Costa, i quali hanno introdotto gli interventi di Giuseppe Sanfratello, etnomusicologo e assegnista Unict, e Carlo Felice, studioso di cultura visuale e assegnista Unict, collegato da remoto. 

«Abbiamo voluto sottolineare alcuni elementi che sono intrinsechi alla questione meridionale e alle pratiche percepite quasi come religiose – ha sottolineato Rimini –. Toccherà a voi dare un senso a ciò che avete appena visto».

In foto da sinistra Stefania Rimini e Alessandro Di Costa, Giuseppe Sanfratello

In foto da sinistra Stefania Rimini, Giuseppe Sanfratello e Alessandro Di Costa insieme con Carlo Felice (in collegamento)

L’intervento di Sanfratello si è concentrato sull’analisi della musica all’interno dei documentari, in particolare, sul rapporto tra suoni e morte, ed il rapporto tra musica e lo stato di trance, affiancati da un’analisi sul rapporto tra documentario cinematografico ed etnografia, all’interno delle opere di Luigi Di Gianni, stretto collaboratore come altri dell’etnologo Ernesto De Martino.

Il rapporto con il senso della fine emerge secondo lo studioso soprattutto in Magia Lucana, grazie alle sequenze dei cori di morte delle vecchie e in La nascita di un culto. In queste opere è possibile vedere sia la possessione, che ci fa notare come il mito della porta non chiusa della vita sia sempre più confermato. Negli altri filmati, invece, l’uso del sassofono e del pianoforte crea un cortocircuito per lo spettatore, perché la musica cozza con ciò che lo spettatore sta vedendo sullo schermo.

Carlo Felice ha invece messo in luce la figura di Annabella Rossi, antropologa che ha collaborato come consulente o autrice dei testi per la realizzazione di questi documentari. Ne è emerso un rapporto complesso ma sfaccettato fra cinema etnografia, rapporto conflittuale, in quanto il cinema cerca storie ed immagini, mentre l’etnografia va alla ricerca della verità volta alla conservazione delle pratiche e delle memorie

La serie di proiezioni e incontri di Immaginarsi al sud fanno nascere curiosità e interesse verso ciò che spesso è nascosto nel meridione.

Le riflessioni sulla spiritualità, le tradizioni e i culti quasi al limite dell’estremismo religioso o del tutto stravaganti – che hanno però ancora oggi delle forme di sopravvivenza come notato dal pubblico durante il dialogo finale –, hanno destato un interesse verso la visione di racconti simili del passato e anche contemporanei.