Al seminario interdiocesano Regina Apostolorum, nei giorni scorsi, si è tenuto il convegno in cui si sono intrecciati diversi ambiti disciplinari, da quello storico-archeologico a quello letterario
Il Martirio di Sant’Agata non solo rappresenta un tassello fondamentale per la storia della città di Catania, ma ne racchiude l’essenza più intima. Ogni anno, nei giorni 3, 4 e 5 febbraio, il capoluogo etneo vede le strade gremite di catanesi per rispondere coram populo e all’unisono all’accorato appello «Cittadini / cittadini / semu / tutti / devoti tutti?».
Ma cosa sappiamo del culto agatino dei primi secoli? E come si rapporta alle precedenti tradizioni pagane radicate nel territorio etneo e consacrate a Cerere, a Kore o a Iside?
Al seminario interdiocesano Regina Apostolorum, nei giorni scorsi, si è tenuto il convegno di studi organizzato da SiciliAntica Sede di Catania, dal titolo Il sacro femminile a Catania. Demetra, Iside, Agata, ha cercato di dare una risposta a questi e ad altri interrogativi, intrecciando diversi ambiti disciplinari, da quello storico-archeologico a quello letterario.
Il comitato organizzatore dell’evento ha visto in prima linea la prof.ssa Maria Antonietta Raciti (direttore organizzativo), il dott. Elio Garozzo (coordinatore dei lavori e dirigente di SiciliAntica oltre che segretario della Società di Storia patria per la Sicilia orientale) e il comitato scientifico nelle persone della dott.ssa Maria Teresa Magro, della prof.ssa Dora Marchese e della prof.ssa Cristina Soraci.
Il culto di Sant’Agata nel primo millennio. È questo il titolo dell’intrigante dissertazione –un’analisi minuziosa che ha spaziato delle fonti epigrafiche a quelle numismatiche – esposta dalla prof.ssa Cristina Soraci, docente di Storia della Sicilia antica all’Università di Catania.
Un momento della festa di Santì'Agata, il rientro in Cattedrale il 6 mattina
Partendo dalle considerazioni dello storico Emanuele Ciaceri, secondo il quale «non possiamo conoscere con certezza le modalità di svolgimento della festa agatina nelle sue origini e nei primi secoli», la docente Cristina Soraci ha sottolineato come «lo storico abbia ripreso il testo di Theodor Trede, pastore luterano a Napoli, alla fine dell’Ottocento». «Tale volume è volto a dimostrare che tutti i culti cristiani e in particolare le processioni – dice Soraci, riprendendo le osservazioni di Trede – sono derivazioni di quelle pagane. E per dimostrare ciò propone l’idea che Sant’Agata sia l'erede di Penelope, la moglie di Ulisse, di Venus Hyblaia, cioè la Venere di Ibla, di Demetra e di Kore; asserisce poi che il culto di queste ultime viene trasferito ad Agata».
Nel riportare poi la testimonianza del gesuita Ottavio Gaetani, uno tra i maggiori storici siciliani del XVI secolo, «Ciaceri forza un po’ la mano – ha ammesso la professoressa Soraci –nel momento in cui afferma che “in Catania Sant’Agata aveva preso il posto dell’antica Cerere”», cosa ben diversa da quanto dice de facto l’opera del gesuita. Se si pone attenzione, infatti, a cosa ha scritto Gaetani in Isagoge ad historiam sacram Siculam, traducendo dal latino si leggerà che «le città di Catania e Siracusa, un tempo famose per i santuari di Diana e Cerere, adesso sono rese illustri dai sepolcri delle martiri Agata e Lucia».
«A detta di Ciaceri dunque – ha continuato Cristina Soraci – il cristianesimo avrebbe combattuto il paganesimo utilizzando le stesse forme culturali di quest’ultimo, ossia quelle che intendeva estirpare».
In foto Gabriele Cristiano Crisci ed Elio Garozzo
Le fonti storiche del culto (e non della festa) di Agata nel primo millennio vedono come testimonianza concreta l’epigrafe di Iulia Florentina - attualmente conservata nei magazzini del Louvre di Parigi -, che rappresenta un fondamentale documento riguardante le prime comunità cristiane catanesi in rapporto al culto dei martiri. L'epigrafe parla di una «infante dolcissima e innocentissima, diventata fedele, il cui corpo fu inumato davanti alle porte che sono dei martiri di Cristo». Tra i martiri di Cristo di cui si parla vi sarà stata Agata.
Disponiamo anche di diverse fonti iconografiche, basti citare l’Agata alla destra dell’Agnello presente nel mosaico absidale della Basilica Eufrasiana di Parenzo, o quella vestita di bianco – con un possibile riferimento all’Apocalisse di Giovanni – nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.
Per quanto concerne, invece, i dati archeologici finora appurati, «sappiamo che la sepoltura di Agata è compresa in una vasta area cimiteriale in cui venivano seppelliti pagani e cristiani», ha spiegato la professoressa Soraci. Si sono avute fino ad ora sul tavolo due ipotesi, sulle quali vi è stato e vi è ancora un acceso dibattito fra gli studiosi: la prima, avanzata dagli allievi del prof. Giovanni Rizza, che vorrebbe Agata seppellita all'interno della trichora di Via Dottor Consoli; e una seconda che colloca la sepoltura della Santa nei pressi del cosiddetto Sepolcro di Stesicoro.
In foto da sinistra Gabriele Cristiano Crisci, Cristina Soraci e Elio Garozzo
A queste, recentemente, se ne è aggiunta una terza, avanzata dalla professoressa Soraci sulla base degli scavi archeologici condotti dalla professoressa Lucia Arcifa, docente di Archeologia cristiana e medievale presso l’Ateneo catanese.
Secondo tale teoria, «originariamente, Agata sarebbe stata sepolta in un punto imprecisato del cimitero pagano-cristiano – illustrato da Cristina Soraci attraverso la proiezione di topografie esplicative –, non sappiamo se in via Dottor Consoli, nel “Sepolcro di Stesicoro” o nell’area di Piazza S. Domenico. Successivamente (tra la fine del IV secolo e gli inizi del V) il suo corpo sarebbe stato trasferito nella chiesa conosciuta poi col nome di Sant’Agata la Vetere, dove è presente il famoso carcere della tradizione agatina».
Difatti, la chiesa di Sant’Agata la Vetere presenta al suo interno una cella di età romana di piccole dimensioni che viene identificata, secondo la tradizione, col carcere di Sant’Agata, in cui la giovane martire sarebbe stata rinchiusa, ricevette l’epifania taumaturgica di San Pietro e, infine, morì dopo il supplizio della fornace.
È interessante notare, in conclusione, come la chiesa si trovi vicino alla cinta muraria realizzata dall’imperatore Carlo V di Spagna, secondo un processo di cristianizzazione e di “sacralizzazione della difesa urbana” non ignoto ad altre città della Sicilia. Il processo di interpretatio christiana messo in atto nei primi secoli ha rimodellato quindi l’assetto culturale – e, abbiamo visto, anche urbano – della città di Catania, facendo sorgere nuovi misteri e arricchendone l’inestinguibile fascino.