Ultimo appuntamento del ciclo di seminari del dottorato di ricerca in Scienze politiche. A tenerlo il prof. Mauro Van Aken, docente all’Università di Milano “Bicocca”
Down to air, weathered cultures, carbon cosmologies and desires of relatedness è il titolo del seminario organizzato nell’ambito del ciclo di seminari Vivere altrimenti: l’ambiente oltre le tecnologie climatiche organizzato dal corso di dottorato di ricerca in Scienze politiche nell’ambito del Marie Curie Doctoral Network C-Urge sull’Antropologia dell’urgenza climatica globale.
Nell’ultimo appuntamento, nei giorni scorsi, nella sala riunioni del Palazzo Pedagaggi del Dipartimento d Scienze politiche e sociali, protagonista dell’incontro è stato il prof. Mauro Van Aken, docente all’Università degli studi di Milano “Bicocca”, nonché ricercatore di lunga data in temi ambientali nell’area mediorientale.
Ad aprire i lavori la prof.ssa Mara Benadusi, ordinaria di Antropologia del Mediterraneo al Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania, coordinatrice del ciclo di seminari e responsabile scientifico del Network dottorale "The Anthropology of Global Climate Urgency".
Il prof. Mauro Van Aken, nella sua presentazione dal titolo Down to air, weathered cultures, carbon cosmologies and desires of relatedness, ha affrontato temi salienti come il rapporto tra gli elementi naturali e l’umanità.
Un momento dell'intervento del prof. Mauro Van Aken
«L’essere umano è relazionato e sarebbe utopico considerare il campo della natura separato da quello dell’uomo - ha spiegato -. La tendenza dell’uomo è quella di stabilire un’indipendenza e non un’interdipendenza con l’ambiente circostante».
«La natura ritorna come un elemento che l’uomo non sa gestire, non sa leggere, con la quale ha un rapporto perturbante – ha aggiunto -. Le conseguenze del cambiamento climatico sono ancora più visibili nei luoghi dove sono presenti tutte le forme di disuguaglianza».
«Oggi i segni evidenti di una crisi climatica arrivano “dal cielo”, provocando uno spaesamento rispetto al senso d’ordine del mondo - ha sottolineato -. Il cielo appare desocializzato, per noi non è uno spazio sociale, ma appartiene al non sense, ai sogni».
Durante il periodo di ricerca nella Cisgiordania occupata ha raccolto le memorie dei rifugiati palestinesi più anziani sul calendario atmosferico Murba’nia.
In un contesto come quello israeliano dove l’agro-business è in crescita, gli “esperti dell’incertezza” custodiscono ancora i saperi dell’aria, delle stagioni.
Un campo coltivato e sullo sfondo un parco eolico
«Il murba’nia nasce a Battir, vicino a Betlemme e serviva a leggere l’imprevedibile – ha spiegato -. Si tratta di un calendario agito, che orienta le pratiche. Si distinguono due stagioni: shitta, che corrisponde all’inverno e dura solamente tre mesi e sef invece equivale all’estate».
Per le coltivazioni vengono utilizzate delle semenze locali "Bahal" - esposte al Dio della pioggia - che permettono di ottenere ortaggi con poca acqua, requisito fondamentale in una zona così arida.
I fellahin, comunità palestinese in Cisgiordania, provvedono all’aratura in base alle fasi e alla coltivazione in particolare della tipologia di melanzanaBattirii. Raccolgono l’acqua in terra, immagazzinandola attraverso dei canali nei campi lavorati.
«La politica sionista ha sostenuto politiche di naturalizzazione, di radicamento forestale, per nascondere i villaggi palestinesi. Le politiche green hanno previsto l’inserimento di pineti di origine nord europea», ha sottolineato.
In questo quadro l’ulivo diventa il simbolo di resistenza palestinese, coltivato la notte nei terreni destinati all’esproprio.
Un momento dell'intervento del prof. Mauro Van Aken
«Bisogna distinguere tra clima, materia scientifica, una costruzione e tempo atmosferico, quello percepito che incontriamo nel cielo, nelle abitudini, nei vestiti, nelle colture», ha spiegato il prof. Van Aken.
«Si avverte la necessità di socializzare il tempo atmosferico, oltre a servizi di scienze esatte come la meteorologia - ha proseguito -. È necessario leggere socialmente il clima, anche attraverso le pratiche colturali per costruire un immaginario ed uscire da una situazione di frenetica paralisi».
Le organizzazioni ai vertici del mondo tendono a scaricare sull’individuo il peso delle politiche green, con la pretesa di insegnare ai più poveri il rispetto del pianeta.
Secondo uno studio dell’Oxfarm, le persone appartenenti a una fascia bassa economica contribuiscono alle emissioni di CO2 solo per il 10% rispetto alle persone di alta fascia che hanno la responsabilità del 49%.
In base alla ricerca del prof. Van Aken, infatti, «nelle regioni dell’Europa e dell’Est-Asia il 50% della popolazione emette rispettivamente cinque e tre tonnellate di emissioni a persona, mentre in Nord-America si tratta del 73% della popolazione».
Questa classifica inserisce l’Europa all’ultimo posto con 29 tonnellate, l’Est-Asia con il 39% ed infine il Nord-America con il 73%.