Il docente universitario di Palermo, Sergio Bonanzinga, ha incontrato gli studenti del Dipartimento di Scienze umanistiche di Unict
Una lezione dedicata al folk-rock angloceltico degli anni Settanta. A tenerla, nei giorni scorsi, è stato Sergio Bonanzinga, ordinario di Etnomusicologia all’Università di Palermo, ospite del corso di Culture e Linguaggi della Popular Music tenuto da Giuseppe Sanfratello, etnomusicologo e docente a contratto del Dipartimento di Scienze umanistiche dell’ateneo catanese.
Bonanzinga, allievo di Diego Carpitella e Antonio Buttitta, è una figura di rilievo nel panorama etnomusicologico italiano. I suoi studi si concentrano sui valori simbolici e funzionali delle pratiche espressive orali — musica, danza, narrazione, teatro — in contesti storici (come Inghilterra e Sicilia) e contemporanei (Sicilia, Tunisia, Grecia).
Autore di numerosi saggi e curatore di antologie discografiche e documentari, ha fondato la collana “Suoni&Culture” (Edizioni Museo Pasqualino) ed è segretario del Centro Studi Alan Lomax di Palermo. È inoltre direttore della rivista Etnografie Sonore/Sound Ethnographies.
Il Folk-Rock: radici e rinascite
Nel suo intervento, Bonanzinga ha introdotto il concetto di folk-rock, definendolo come un recupero della tradizione orale, in particolare dei repertori anglo-celtici, basati su canti e musiche tramandati nel tempo.
I celti abitavano non solo le isole britanniche, ma anche parti dell’attuale Francia e Spagna. Il repertorio, prevalentemente orale, includeva canti narrativi noti come ballate, termine che, come ha spiegato il professore, ha radici nella danza ed è legato alla filogenesi di una particolare forma di canto epico.
Questi canti epici, eseguiti in cerchio, vedevano un narratore intonare la storia mentre i partecipanti danzavano e intonavano il ritornello. L’accompagnamento era affidato a strumenti emblematici come la cornamusa, l’arpa e, successivamente, il violino.

I docenti Giuseppe Sanfratello e Sergio Bonanzinga
Forme del canto narrativo
Bonanzinga ha sottolineato come forme simili di canto narrativo esistessero anche in Sicilia e in Calabria, sebbene con caratteristiche diverse. Qui, i cantastorie eseguivano quelle che venivano chiamate semplicemente “storie”, vere e proprie narrazioni cantate, più che ballate nel senso anglosassone del termine.
Con l’avvento della stampa alla fine del Quattrocento — la cosiddetta tipografia moderna — molte di queste canzoni cominciarono a essere trascritte, spesso con finalità politiche e religiose. Si trattava di veri e propri fogli volanti che venivano venduti al mercato e che contribuivano alla diffusione delle ballate popolari.
Le Child Ballads: memoria della tradizione
Un punto centrale della lezione è stato il lavoro dello studioso americano Francis James Child, che nel XIX secolo si dedicò alla raccolta delle più antiche ballate anglo-scozzesi. Ne censì 305, oggi note come Child Ballads.
Stampate in formato orizzontale per contenere più versi, queste ballate rappresentano una testimonianza preziosa della tradizione orale pre-tipografica. Secondo Bonanzinga, è significativo che a raccogliere questo patrimonio sia stato proprio un americano: spesso è nei luoghi di migrazione più lontani dalla madrepatria che si conservano le forme più arcaiche di espressione.
A tal proposito, il professore ha ricordato come gli italoamericani, discendenti degli emigrati siciliani di fine Ottocento, mantengano ancora oggi forme linguistiche e musicali più antiche rispetto a quelle in uso nella Sicilia contemporanea.

Illustrazione della Festa dei Folli o Festa degli Sciocchi tratta dal romanzo "Notre-Dame de Paris" di Victor Hugo e poi pubblicata come Copertina Disco Vinile 33 giri Minstrel In The Gallery di Jethro Tull
Cruel Sister: una ballata senza redenzione
Bonanzinga ha poi illustrato alcune ballate emblematiche, tra cui Cruel Sister, una delle più celebri. Ambientata in un contesto aristocratico, narra la vicenda di due sorelle, una bella come il sole, l’altra scura come il carbone. Un giorno un cavaliere le corteggia entrambe, ma sceglie la più giovane.
Accecata dalla gelosia, la sorella maggiore uccide la minore e ne getta il corpo nel fiume. Col passare del tempo, delle persone trovano le ossa della defunta e ne costruiscono un’arpa che, miracolosamente, canta da sola raccontando la verità sull’omicidio. La ballata non si conclude con una punizione, ma con un’ammissione di colpa, lasciando il destino della sorella crudele sospeso.
Cresceva splendente come il sole,
l’altra era scura come il carbone.
Arriva il cavaliere alla porta della ragazza,
corteggia una delle due con un anello,
ma ama l’altra come nessun’altra.
Con chiarezza e passione, Bonanzinga ha offerto agli studenti una preziosa panoramica su un genere che, pur affondando le radici nel passato, continua a ispirare e a emozionare. La sua lezione si è rivelata un ponte ideale tra la tradizione e le trasformazioni della musica popolare contemporanea.
Il docente di Unipa inoltre afferma che questa è una volontà di riflettere verso una realtà che è spesso dolorosa. Motivo per cui le fiabe dei fratelli Grimm e di Hans Christian Andersen non hanno un lieto fine.