Al Coro di Notte "Magnano San Lio" del Monastero dei Benedettini è intervenuto Emanuele Colombo del Boston College Institute for Advanced Jesuit Studies
Il Digital Indipetae Database è stato il tema che ha dato vita al terzo incontro del ciclo seminariale “Ricerca, digitalizzazione, narrazione”. Il progetto – un’iniziativa innovativa di scienze umane digitali che coinvolge un team internazionale di studiosi e centinaia di studenti delle scuole superiori e delle università di tutto il mondo - è coordinato dal prof. Emanuele Colombo dell’Institute for Advaced Jesuit Studies del Boston College.
Il prof. Colombo, docente anche alla Lynch School of Education, ha spiegato che il “Did si occupa della trascrizione, all’interno di un’apposita piattaforma digitale, delle lettere con cui i gesuiti chiedevano al loro Superiore di essere inviati nelle missioni d’oltremare”.
“Un corpus documentario che consente di ricostruire la storia della vocazione missionaria della Compagnia, dei suoi protagonisti, delle relazioni e delle appartenenze famigliari, ma anche la visione di mondi, ancora poco noti, che in maniera sempre più imponente si aprivano alle conoscenze europee”, ha aggiunto.
Entrando nello specifico, Emanuele Colombo - direttore esecutivo del Journal of Jesuit Studies (Brill) - ha evidenziato che “l’idea del database è nata per offrire a tutti la possibilità di studiare delle fonti che diffondono la conoscenza del mondo antico”. “Attraverso il database – ha aggiunto - è possibile delineare i tratti del carattere, lo stato di salute, e il desiderio di missione dei gesuiti che scrivevano al Superiore”.
Colombo, successivamente, ha definito la scrittura delle indipetae come uno dei primi movimenti globali dell’umanità: “Noi siamo abituati a considerare la globalizzazione come un fenomeno recente legato all’industrializzazione – ha detto -. In realtà, gli storici dell’età moderna si sono resi conto che il momento in cui vengono spedite le prime indipetae, rappresenta il primo passo verso la globalizzazione”.
“I gesuiti avevano il desiderio di esplorare culture e tradizioni diverse da quelle locali - ha aggiunto - e utilizzavano le lettere indipitae come mezzo per raggiungerle”.

Un momento dell'attività pratica
Il relatore ha poi proseguito sottolineando l’importanza delle lettere scritte dai gesuiti, all’interno della storia sociale: “Le lettere indipetae non sono una semplice testimonianza religiosa, bensì ci permettono di approfondire la storia sociale – ha spiegato -. In particolar modo: cosa succedeva nelle famiglie dei giorni gesuiti, quali erano le logiche di potere, ma anche le dinamiche politiche ed economiche. Per esempio, se un giovane proveniente da una famiglia ricca si occupava degli affari di famiglia, quest’ultima non permetteva assolutamente che il figlio partisse in missione”.
Nella fase successiva, il focus del seminario si è spostato dal lato teorico a quello pratico. Gli studenti - con l’aiuto del relatore e di Francesco Failla della Biblioteca e Archivio Storico della Diocesi di Caltagirone - hanno avuto la possibilità di cimentarsi nella decifrazione di alcune lettere indipiteae, scritte da Metello Saccano.
Si tratta di un gesuita nativo di Messina, che tra il 1640 e il 1648 inviò ben quarantotto lettere indipetae, con la richiesta di essere inviato verso il Giappone. Le frequenti lettere di Saccano permettono di seguire l’evolversi del suo desiderio di missione, l’alternarsi di speranza e delusione, ma anche di individuare motivazioni più dettagliatamente descritte nonché forme sempre nuove per presentarle.
Se ne trae l’impressione di una personalità non solo tenace, ma anche creativa e brillante. L’esercizio ha permesso agli studenti di migliorare le loro capacità di comprensione della scrittura seicentesca, ma anche di cogliere la devozione e l’umanità dei gesuiti desiderosi di partire in missione.
Emanuele Colombo, a tal proposito, ha concluso la lezione sottolineando che “spesso si ha la tendenza di considerare i lavori di ricerca storica come dei lavori antichi, svolti da gente legata al passato, all’interno di archivi polverosi”. “E, invece, non è così - ha aggiunto -. Attraverso la ricerca delle fonti storiche è possibile cogliere molti aspetti dell’umanità”.

Un momento dell'attività pratica
Bonzi, diavoli e miracoli
Al Coro di notte "Magnano San Lio" del Monastero dei Benedettini, si è svolto anche l'incontro Missionari gesuiti tra Oriente e Occidente, con riflessioni a partire dal volume Bonzi, diavoli e miracoli (Edizioni di Storia e Letteratura, 2024) di Francesco Failla della Biblioteca e Archivio storico Diocesi di Caltagirone.
Oltre all'autore sono intervenuti Lina Scalisi e Michele Campopiano dell'Università di Catania e Emanuele Colombo del Boston College - Institut for Advanced Jesuit Studies (vai all'articolo di approfondimento sulla presentazione del volume).
Al centro del volume gli indipeti, ovvero i giovani gesuiti che a partire dalla seconda metà del Cinquecento chiedevano di essere inviati nelle Indie Orientali sulle orme di Francesco Saverio e Matteo Ricci.
In un tempo in cui l’Europa era dominata da guerre e conflitti politici e religiosi, i missionari gesuiti arrivavano in Cina per conquistare spiritualmente quella sconfinata terra di gentili.
Convertire alla fede cattolica era l’obiettivo più ambito, e più difficilmente raggiungibile, in una società fortemente dominata dal confucianesimo, che non contemplava preti, miracoli e un aldilà nel quale vivere la vita eterna.
Eppure, dalle campagne alle città, i gesuiti riescono a conquistare migliaia di conversi con azioni stupefacenti agli occhi dei cinesi: combattono il diavolo, guariscono i moribondi, costruiscono cannoni, compiono miracoli in nome di Dio.
Tra le carte custodite all’Archivum Romanum Societatis Iesu emergono le storie di uomini che attraversano gli oceani, sfidano la morte, sono pronti ad andare incontro al martirio. Ma soprattutto, sono storie di uomini pronti ad interrogarsi e confrontarsi attraverso un dialogo che permetterà di vedere l’altro non più come un diverso da istruire, sottomettere e conquistare e di dare all’Europa una misura più esatta della propria identità.

Un momento della presentazione del libro