Marina Benedetti, studiosa di eresie, inquisizione e Ordini Mendicanti all’Università degli studi di Milano, è intervenuta al workshop del Disum e alla Scuola Superiore di Catania
Streghe e stregoni sono da sempre stati parte integrante dell’immaginario collettivo, plasmando in epoca antica, miti e leggende, mentre in quella contemporanea, saghe fantasy di indiscusso successo. Prendono forma di stravaganti creature che, in genere, usano la magia per fini malvagi.
Tutti noi sappiamo quale sia il prototipo di strega: una donna anziana, con naso aquilino e vesti logore, a cavallo di una scopa volante. Ma da dove proviene quest’immagine, così nitida nelle nostre menti? Quale sarebbe la storia etimologica ed iconografica della “strega”?
A queste domande ha risposto Marina Benedetti, professore ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università degli Studi di Milano. Grazie all’attenzione che pone nello studio delle carte dei processi inquisitoriali e di documenti affini, la professoressa Benedetti ha ben delineato l’identikit di una delle figure più controverse della storia, in bilico tra finzione e realtà.
Tale dissertazione si inserisce nel progetto seminariale realizzato recentemente da alcuni docenti del Dipartimento di Scienze umanistiche.
Ha avuto luogo, infatti, nei giorni scorsi, al Monastero dei Benedettini, il workshop L’alterità tra storia e narrazione: streghe, stregoni, eretici e altri ‘cattivi soggetti’, all’interno della più ampia cornice del progetto intra-dipartimentale Piaceri/Atlas. Il workshop, pensato dalle docenti Francesca Vigo, Rossana Barcellona e Renata Gambino con il supporto della prof.ssa Arianna Rotondo quale membro del comitato scientifico-organizzativo, è nato con l’intenzione di creare dei momenti di incontro tra diverse prospettive culturali e disciplinari.
Grazie al coinvolgimento di storici del Cristianesimo e delle religioni, letterati, giuristi e linguisti, si è potuto delineare, in un tessuto eterogeneo, un percorso comune in grado di cogliere a pieno i profili di “streghe” e di “altri cattivi soggetti” tramite esemplari casi studio. Agli incontri seminariali hanno anche preso parte studenti, dottori di ricerca, dottorandi e allievi della Scuola Superiore di Catania. Ciò ha permesso un proficuo dialogo – anche generazionale – che ha offerto interessanti spunti di riflessione su diversi fronti.
La prof.ssa Marina Benedetti
La docente Marina Benedetti ha dato il via al suo intervento – tenuto alla Scuola Superiore dell'Università di Catania ed intitolato L’invenzione della strega e della stregoneria – con la disamina ex abrupto delle prime immagini attestate su delle streghe. Si tratta dei marginalia del codice contenente il poema cortese de Le Champion des Dames, scritto nel 1440 dal prevosto di Losanna, Martin Le Franc e donato ai Savoia. Le immagini presenti sono inequivocabili: delle donne su una scopa (simbolo domestico) e su un bastone (simbolo fallico). Ma non è finita qui: sul margine laterale le immagini sono definite come «des vaudoises», cioè donne valdesi.
Ecco che inizia ad affiorare – come nota Marina Benedetti – una prima «strana continuità fra eretiche e streghe, presente, non nei processi, bensì nei trattati»: intorno alla metà del XV secolo comincia ad entrare in uso il termine «Vauderie» per indicare – seppur ancora in una forma non totalmente matura – un’esperienza ascetico-religiosa riferibile a Valdo di Lione.
Difatti – continua la professoressa Benedetti – «se nel Medioevo delle eretiche non si parla, essendo esse “condannate al silenzio” perché figure marginali in quanto donne, dal Quattrocento in poi quando i frati dell'Osservanza minoritica francescana, tra i quali Bernardino da Siena, incominciano a predicare contro le streghe, le donne diventeranno protagoniste di una psicosi collettiva».
In questa reductio ad diabolum messa in atto in quegli anni, essere un «povero di Lione» – altro nome con cui si denotavano i valdesi – significava essere adepto della, cosiddetta, «setta del barilotto» o identificati come «quelli del barilotto». Come ben spiega la docente, «in una cronaca quattrocentesca vi è la prima attestazione della parola “barilotto”, cioè uno dei passaggi chiave per giustificare il volo».
In particolare, in quella fonte si specifica che i bambini nati dopo la cosiddetta «sinagoga» (in riferimento alla «sinagoga di Satana» nell’Apocalisse di Giovanni), cioè un rito orgiastico di carattere incestuoso, sarebbero stati cotti e ciò che rimaneva del loro grasso sarebbe stato messo in un «barleto»: in questo modo si preparava l’unguento per permettere ad una scopa (o ad un bastone) di volare. «Tale scivolamento interpretativo avviene – conclude Marina Benedetti – nell’Osservanza francescana in una nota predica del 1427 di Bernardino da Siena».
Analizzando le figure controverse di coloro che sono state spesso definite «donnicciole» («mulierculae»), come Guglielma di Milano, Matteuccia da Todi e Margherita la Bella, siamo approdati alla consapevolezza di una indubbia tendenza a far seguire ad una condanna giudiziaria una di tipo morale creata ad hoc per amplificare gli esiti della prima.
Per questo, continua Marina Bendetti, «possiamo dire che le streghe sono inserite al centro di un campo magnetico che costruisce l’imaginaire du sabbat che lentamente viene a consolidarsi. […] Se il volo è metareale, il rogo è invece reale». I «passaggi di verosimiglianza» che vengono posti tra questi due concetti sono intimamente perversi: essi sono tali per cui si può sovvertire, il veggente in indemoniato, l’eretica in strega o il santo in diabolico.
L’humus su cui far crescere il cambio di paradigma che fa coincidere la figura dell’eretica con quella della strega è quello adottato agli albori del XV secolo: la distinzione all'apparenza indubbia tra "sacrale" ed "ereticale" ha in sé sfumature indistricabili che possono rendere flessibile il "muro" che divide questi due concetti. Esemplare, in questo senso, risulta il caso di Guglielma di Milano, prima “santa”, poi “eretica”, tema trattato dalla professoressa Marina Benedetti durante l’intervista che ci ha concesso.