In occasione del secondo appuntamento del ciclo di seminari “Optimus Status Civitatis” è intervenuta Patrizia Giunti, ordinaria di Diritto romano dell’Università di Firenze
A differenza di ciò che si possa pensare le donne del mondo romano avevano diritti oltre che dei doveri. È quanto emerso nel corso del secondo appuntamento – dal titolo I riti del matrimonio romano - Religiosità e diritto nella Roma arcaica - della quarta edizione del ciclo Optimus Status Civitatis su religione, diritto e società nell’Occidente romano organizzato dal Dipartimento di Scienze della Formazione.
Protagonista dell’incontro – in via telematica – la prof.ssa Patrizia Giunti, ordinaria di Diritto romano all’Università di Firenze, che ha presentato una relazione su matrimonio, religiosità e diritto nella Roma Arcaica.
La docente, in particolar modo, si è concentrata sui riti del matrimonio romano e sul rito della confarreatio che esprime una «autentica connotazione sacrale». «È più di una forma giuridica connotata da passaggi formali ad ispirazione religiosa», ha precisato la docente anche alla luce del fatto che nella Roma antica ius (norme giuridiche) e fas (norme religiose) non erano “concezioni” ancora del tutto distinte.
Nel corso dell’incontro, non a caso, è stata evidenziata, da parte del prof. Gianluca Gregori, la recente scoperta di una tavoletta di rame databile intorno all’età Claudia, ritrovata in fondo ad una vasca sacra e con al di sopra due rappresentazioni di dextrarum iunctio, ovvero la congiunzione della mano destra (azione che avveniva durante il rito matrimoniale) e anche una trascrizione di un giuramento matrimoniale dove il marito, senatore romano, promette «per la Fortuna e per il Genio dell’imperatore che non ripudierà mai sua moglie».
Subito sotto si può leggere il giuramento della moglie che compie la stessa promessa. Per la prof.ssa Giunti si tratta, molto probabilmente, di una «formalizzazione di un impegno».
I riti del matrimonio romano
A seguire ci si è soffermati sul ruolo delle donne nel mondo romano. Per la prof.ssa Patrizia Giunti «le donne romane rispetto alle donne greche avevano un trattamento migliore».
«Non c’è dubbio che la società romana sia stata una società che ha conosciuto la discriminazione di genere», ma comunque «a Roma le donne possedevano dei diritti», ha tenuto a precisare la docente.
Le donne così come gli uomini sottostavano alla patria potestas (autorità paterna) e una volta morto il pater familias ricevevano una parte eguale dell’eredità patrimoniale.
Questa eredità consentiva loro una certa libertà. «E la capacità delle donne di ereditare è scritta nelle XII tavole, corpo di leggi», ha precisato la docente.
«Le donne potevano esercitare un ruolo economico solo all’interno del rispetto dei ruoli – ha detto -. Nel mondo romano una donna che si esponeva in relazione con altre persone, che non fossero quelle della sua familia, non era ben vista».
Il Ratto delle Sabine
E arrivando ad un parallelismo con i giorni nostri, in particolar modo sui casi di femminicidio, la prof.ssa Patrizia Giunti he evidenziato come anche «nel mondo romano si sono verificati e non a caso una legge emanata da Augusto aveva come obiettivo quello di reprimere lo spargimento di sangue».
Il pater familias avendo la suprema potestas sui figli poteva uccidere tranquillamente una «donna-figlia» così come un «uomo-figlio», ma la legge di Augusto consentiva al padre, che aveva scoperto la figlia in atto di adulterio, di uccidere l’amante solo se prima uccideva la figlia. Questo espediente evitava gli spargimenti di sangue in quanto il legislatore sapeva bene che il padre sarebbe stato restio ad uccidere la sua stessa figlia.
La docente, inoltre, ha sottolineato che il governo di Augusto creò un tribunale ad hoc per i casi di adulterio. Tra le prime a patire la pena fu Giulia, figlia dello stesso Augusto.
Il marito non poteva in nessun caso uccidere la moglie in quanto condizionato dal calor (ardore) e dal furor (furore), due sensazioni che non avrebbero permesso all’uomo di ponderare la sua scelta.
In chiusura la docente ha sottolineato che «la valutazione della rabbia, non come circostanza attenuante (come ai nostri giorni), ma al contrario come circostanza che è talmente pesante da legittimare una scelta normativa in questa prospettiva, è un dato culturale che possiamo tenere in considerazione».
Ad organizzare l’incontro la prof.ssa Cristina Soraci di Storia romana all’Università di Catania con il supporto della docente Francesca Cenerini nel ruolo di discussant e della storica e giurista italiana Eva Cantarella come moderatrice.
L’equipe organizzativa del ciclo di incontri è formata da docenti provenienti dalle università di Madrid, Cordova, L’Aquila, Milano e Catania.