La terza festa religiosa più grande al mondo entra nel vivo e in questa occasione si compie il secondo viaggio alla scoperta delle usanze musicali agatine
Il mito e il rito sono i due temi su cui ci si è concentrati per la seconda edizione dell’incontro formativo Musiche per Sant’Agata, racchiuso anche quest’anno all’interno della cornice del Conservatorio Vincenzo Bellini di Catania.
Se, come ci ricorda la prof.ssa Maria Rosa De Luca (musicologa e docente di Storia della musica al Disum), in occasione dell’edizione 2024 «sono state chiarite le radici della festa che affondano nella storia della città, ma soprattutto nella devozione», attraverso l’analisi storica del rapporto che sin dal Settecento intercorre tra il cerimoniale festivo e la musica composta e cantata per Sant’Agata, questa volta l’accento è stato posto sul mito di Sant’Agata.
Il mito agatino è come «un’unica idea che lega tutti i catanesi a prescindere dal livello sociale»; un moto interiore che da sempre aiuta a «combattere [ricalcando le vicende agiografiche della martire catanese] le violenze e le prevaricazioni attivate dal potere, e che manifesta la voglia di confermare la propria volontà di reagire».
Con queste parole Attilio Cappellani, membro del Comitato per la festa di Sant’Agata, conferisce rilievo alla dimensione mitologica collegata alla festa, confermando l’obiettivo di dare sempre più importanza ai giovani per «migliorare aspetti prima trascurati della festa», come la musica che «unisce città e cittadini sotto l’egida di Sant’Agata».
Anche quest’anno, infatti, i giovani musicisti saranno al centro dei festeggiamenti durante a sira o’ tri attraverso la partecipazione dell’Orchestra sinfonica del Conservatorio di Catania, della voce del Coro Lirico siciliano e dell’inedito coro di voci bianche I fanciulli di Agata.
Aprendo i lavori della giornata il presidente dell’Istituto musicale Carmelo Galati si è dichiarato «felice del coinvolgimento da parte del Comitato», perché «i giovani sono il futuro della città», ricordando anche l’importanza del «rispetto della tradizione come valore fondamentale e identificativo» di Catania. Del resto, «fondamentali e identitari [si rivelano anche] i simboli», che ci ricordano quanto sia importante salvaguardare il culto anche con la musica, la quale possiede una «valenza straordinaria, perché trasferisce un messaggio senza necessitare di intermediazioni».
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Il presidente Galati e la prof.ssa De Luca
Il colloquio, introdotto dal prof. Giuseppe Montemagno (musicologo e docente di Storia della musica al Conservatorio di Catania) e coordinato dalla prof.ssa De Luca, ha toccato vari temi, a partire dagli aspetti formali e funzionali delle cantate di Sant’Agata, tematica dell’intervento curato dal dott. Giuseppe Sanfratello (etnomusicologo e assegnista di ricerca al Disum), il quale ha esaminato la pratica devozionale caratterizzata da «una struttura formale tripartita in introduzione, largo o preghiera e cabaletta o capoletta, …, [in cui] ognuno dei tre momenti assolve a una funzione specifica».
Inoltre, un aspetto centrale della disamina è il tentativo di ricostruire storicamente le melodie delle cantate, la cui trasmissione subisce una crisi nel secondo dopoguerra, portando a una progressiva dispersione della tradizione orale e alla difficoltà di conservare fonti che, ancora oggi, necessitano di un’indagine sistematica per essere reperite.
Di certo abbiamo delle testimonianze storiche sulle usanze nell’esecuzione delle cantate, a opera di Francesco Pastura e Giuseppe Pitrè, che ci restituiscono un’importante immagine sulla loro funzione. Come ricorda il dott. Sanfratello «Pastura ci parla di melodie basate sulle distillazioni musicali di opere, in cui ogni partito cittadino, corrispondente alle varie borgate, possedeva il proprio repertorio di cantate» e inoltre ogni partito «aveva un comitato o dei committenti che assegnavano il compito di comporre melodie per le nuove cantate».
Da Pitrè invece apprendiamo che «c’erano diversi gruppi che si riunivano nello stesso luogo, …, i canti erano cantati da persone del popolo in mezzo al popolo. [Così] i trionfi del partito erano i trionfi del rione, …, c’era una gara sui testi e sulle esecuzioni».
In continuità con l’intervento del dott. Sanfratello, il dott. Daniele Cannavò (dottorando in Scienze per il Patrimonio e la Produzione Culturale al Disum) ha esposto i risultati di un’indagine sulle «origini incerte del canto popolare Lo jonico mare, composizione che viene eseguita dagli anni Ottanta al 2023». Per questa composizione «non è facile distinguere dove finisce l’elemento popolare e dove inizia l’elemento colto», e varie risultano essere le «dicerie sull’origine di questa da parte dei devoti catanesi».
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Un momento degli interventi di Giuseppe Sanfratello e Daniele Cannavò
Tali ‘dicerie’ collocano la sua genesi alla fine del Settecento, con Michele Giarrusso, ma molti sembrano essere i dubbi del dott. Cannavò al riguardo: «non è una cantata del Settecento perché ricalca l’operetta», è così collocabile «tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento»; nell'ipotesi (assurda) che la Cantata risalisse al '700 allora «non potrebbe appartenere nemmeno al repertorio della sera del tre» in quanto tali «pratiche furono inglobate nell’ufficialità della festa negli ultimi decenni dell’Ottocento».
Il rinvenimento, da parte dello stesso Cannavò, di una rara stampa ottocentesca del testo poetico della composizione confuta tale corrente di pensiero, dimostrando che i versi poetici di questo canto sono stati scritti da mons. Salvatore Fazio nel 1893. Attraverso fonti e stampe superstiti il dott. Cannavò ha potuto constatare come nel tempo il testo sia stato parzialmente corrotto con l’omissione di alcune parole e la trasformazione di altre.
Quello dell’assenza di fonti musicali trascritte e di ricostruzioni basate su testimonianze orali è un continuum che attraversa ogni tentativo di ricostruzione storico-musicale della festa di Sant’Agata. Anche per questo negli ultimi anni è stato affidato un ruolo di rilievo durante le celebrazioni al Coro Lirico Siciliano, che si è contraddistinto per scelte musicali basate sullo studio e sull’attendibilità delle fonti consultate. Un lavoro certamente importante che il direttore del "Coro" Francesco Costa spera e confida che traspaia e arrivi ai cittadini, i quali devono essere al corrente di tutto quello che avviene per rendere la loro festa qualitativamente sempre più alta.
Del resto, come ci dice Alberto Munafò Siragusa presidente del Coro Lirico Siciliano, «il coro è elemento fondamentale delle festività religiose da sempre», e grazie al lavoro sinergico con il Comitato, «quest’anno è stato istituito un coro di voci bianche, composto da oltre cinquanta elementi, chiamato ‘I fanciulli di Agata’». Dopo un concorso di selezione rivolto a tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado a indirizzo musicale della città, questi bambini «si esibiranno la sera del tre febbraio, arrivando insieme sul palco a centosettanta elementi, …, ripristinando l’antica tradizione delle esibizioni delle voci puerili per questa serata».
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In foto da sinistra la prof.ssa De Luca, il direttore Costa, il presidente Munafò Siragusa e il maestro Romeo
«Sei i brani in programma per la serata», come ci informa il maestro Giuseppe Romeo (docente di Esercitazioni orchestrali al Conservatorio di Catania e direttore dell’Orchestra sinfonica giovanile dello stesso Conservatorio), a partire dalla Coroncina in onore di Sant’Agata di Maugeri, lo Stans Beata Agatha di Tarallo, Viva Sant’Agata di Branchina, l’inno ufficiale del giubileo 2025 Pellegrini di Speranza di Meneghello, la Cantata in onore della nostra concittadina Sant'Agata di Nicolosi Sciuto e infine l’Inno del centenario di Ricciardello.
Un incontro certamente ricco che ci lascia con la curiosità e la gioia di una festa in cui anche quest’anno la musica si rivela centrale e privilegiata.