Le considerazioni della giovane studentessa Ludovica Rinciani, iscritta al corso di laurea magistrale in Comunicazione della cultura e dello spettacolo dell’Università di Catania
Con l’avvicinarsi della bella stagione, le homepage dei siti dei principali quotidiani nazionali inizieranno a raccogliere virgolettati di imprenditori che lamentano della mancanza di lavoratori, come da anni ormai racconta la giornalista Charlotte Matteini.
Si punterà il dito contro il sussidio statale di turno e soprattutto la presunta pigrizia dei giovani. Ma quanto c’è di vero in queste affermazioni che ogni anno dipingono un quadro impietoso sulle nuove generazioni?
Cosa dicono i dati
Stando agli ultimi report dell’Istat, la disoccupazione giovanile si attesta al 20,1%, un dato da anni in costante diminuzione. Tuttavia l’Italia detiene la quinta posizione, insieme alla Cina, nella classifica sul tasso di disoccupazione giovanile dei paesi Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico); nel contesto dei paesi membri dell’Unione Europea, soltanto Grecia e Svezia (rispettivamente 23,6% e 24,9%) e la Spagna (quasi il 30%) riversano in una situazione peggiore di quella italiana.
In generale, i paesi dell’Europa meridionale presentano un tasso di disoccupazione giovanile più alto rispetto a quelli centrali e settentrionali, dove i governi investono maggiormente nelle politiche attive del lavoro.
Le ragioni
Le cause che contribuiscono al fenomeno della disoccupazione giovanile possono essere rintracciate in alcuni problemi atavici – si pensi alla dispersione scolastica e al conseguente basso livello di scolarizzazione – e ad altri più recenti come il cosiddetto skill mismatch (il divario tra le richieste delle aziende e le effettive competenze del lavoratore) e le varie crisi economiche che si sono succedute nei decenni, non dimenticando l’impatto della pandemia del 2020 e le conseguenze del conflitto russo-ucraino.
In virtù di tali fattori, l’ingresso nel mondo del lavoro si rivela ormai complicato per tanti e nemmeno l’ottenimento di un titolo di studio superiore a volte riesce a garantire un lavoro stabile e ben retribuito.
La parola ai giovani
Nonostante ciò, molti ragazzi e ragazze, spinti soprattutto dal desiderio di emancipazione dal nucleo familiare, non si perdono d’animo e persistono nella ricerca di un impiego. Al giorno d’oggi non è raro trovare studenti universitari che dividono il loro tempo tra lezioni, preparazione degli esami e lavoro per gravare meno sulle spalle dei propri genitori.
Ancora oggi il passaparola resta il metodo più efficace per trovare un’occupazione, ma allo stesso tempo le piattaforme di annunci online stanno prendendo sempre più piede nella ricerca di lavori con ritmi flessibili che permettano di mantenere un equilibrio tra la vita universitaria e sociale e quella lavorativa.
Tra le mansioni più svolte si trovano il cameriere, l’insegnate privato, il dog sitter e il rider. Lucilla, studentessa di ventiquattro anni, ha iniziato a lavorare in una pizzeria come cameriera, subito dopo aver iniziato la laurea magistrale. «Prima di rispondere all’annuncio online, non avevo mai lavorato. Sono stata spinta dalla voglia di mettermi in gioco, vivere un’esperienza diversa», racconta. «Fare la cameriera mi ha permesso di uscire dalla mia zona comfort, di affinare le mie capacità relazionali e di problem solving», aggiunge. Coprendo perlopiù i turni durante il fine settimana, conciliare università e lavoro non è stato particolarmente difficile per lei.
Lo stesso può dire Gabriella, studentessa di ventisei anni, che gestisce in totale autonomia le ore dedicate alle ripetizioni che impartisce ai bambini di scuola primaria, in modo da non intralciare gli studi e la scrittura della tesi magistrale. Quello che per la maggior parte della gente è un lavoretto temporaneo, le ha permesso di scoprire un’indole per l’insegnamento che non sapeva di possedere e probabilmente le aprirà nuove strade.
Altri hanno optato per uno dei vari progetti di volontariato retribuito che il Servizio Civile Universale mette a disposizione ogni anno. Noemi, studentessa di venticinque anni, è stata scelta per lavorare al Museo Vincenzo Bellini, dove accoglie turisti e scolaresche ai quali racconta la vita e le opere del celebre musicista catanese. «Mi reputo davvero fortunata: lavoro ogni giorno, ma ho dei turni che mi permettono di non trascurare lo studio e di coltivare i miei interessi», dichiara.
Nel caso di Giovan Battista, studente di ventisei anni prossimo alla laurea magistrale, lavorare nel team della comunicazione di Officine Culturali, a fianco di ex studenti e studentesse, si è rivelato fondamentale. «È chiaro che il tempo da impiegare nello studio sia maggiore per gli studenti e le studentesse che non lavorano», dice. «Ma da quando sono stato assunto non ho riscontrato particolari difficoltà - aggiunge -. Fin da subito colleghi e colleghe si sono rivelati comprensivi e rispettosi nei confronti del mio percorso universitario, tanto che i miei turni venivano modellati in base agli orari delle lezioni e degli esami».
Pigro a chi?
Queste poche testimonianze non possono rappresentare un’intera nazione, ma di certo mostrano la piccola parte di un quadro più ampio, lontano dagli stereotipi di cui sono vittime le giovani generazioni. Se inseriti in un ambiente sereno e dinamico e valorizzati nel modo giusto, ragazze e ragazzi si rivelano risorse preziose da non sottovalutare.