Nicol Oddo, dottoranda in Scienze per il Patrimonio e la Produzione Culturale al Dipartimento di Scienze umanistiche di Unict, ha visto per noi il film dedicato all’icona di David Bowie e al suo successo intergenerazionale
Moonage daydream, il documentario scritto, diretto e montato da Brett Morgen si inserisce nel solco dei prodotti firmati dal regista su persone-personaggi e gruppi di un certo calibro quali Kurt Cobain, i Rolling Stones, Robert Evans e la primatologa Jane Goodall, ma anche nella lunga scia del genere dedicata allo starman David Bowie (David Robert Jones). David Bowie Special (1973, BBC), Cracked Actor (1975, Alan Yentob), Ricochet (1985, Gerry Troyna), David Bowie: Black Tie White Noise (1993, David Mallet) per citarne alcuni.
Per questo può sembrare complesso, per qualsiasi regista, scegliere un punto di vista diverso per raccontare, ancora una volta, la carriera e la vita di un’icona come David Bowie. Verrebbe da chiedersi “Cosa c’è di nuovo?”.
Una cosa è certa: la poliedricità e la sperimentazione artistica di Bowie travalica le generazioni. È stato rockstar, cantautore, performer, attore, scrittore, scultore e ha pubblicato 27 album, 72 video musicali e 128 singoli.
Non solo, Bowie è anche un’icona gender fluid. La sua identità nonché sessualità, che coincideva con un processo tutto personale di performatività, si ri-creava costantemente in varie ‘persone’ che traevano ispirazione dai gesti di, per esempio, Marlene Dietrich e Greta Garbo. Negli anni sono nati quindi, tra i vari alter ego, Ziggy Stardust, Aladdin Sane, Halloween Jack, The Thin White Duke e Arnold Corns.
La storyline scelta da Morgen per raccontare la carriera, non tanto la vita, del cantante di Space Oddity non è molto originale, sebbene non sia una narrazione meramente cronologica dagli anni Sessanta ai Novanta.
Il regista parte dal racconto degli ostacoli incontrati da Bowie fino alla sua consacrazione nell’Olimpo della musica. Questa prospettiva è narrata evitando l’uso di una voice-over grazie a interviste al musicista inglese, in cui riflette sull’universo e sul tempo e, soprattutto, con materiali d’archivio dei suoi concerti live.
Il montaggio combina bene questi due elementi creando una commistione tra le scene delle live e la stasi delle interviste.
L’obiettivo di Morgen è portare il pubblico "dentro" l’artista Bowie per sentirne tutta la sua intensa personalità psichedelica. Apertamente bisessuale, artista a briglia sciolta, con un make-up provocatorio e un colore di capelli brillante e cangiante, dalle movenze gender fluid.
Non è difficile immaginare perché il mito Bowie possa allettare ancora le nuove generazioni alla ricerca di miti liberi da preconcetti e tabù. L’eredità camaleontica del ‘Thin White Duke’ è ancora viva fintanto che si continuerà a parlare di lui e ad ascoltare le sue eterne canzoni. «Look up here, I’m in heaven/ I’ve got scars that can’t be seen/ I’ve got drama, can’t be stolen/ Everybody knows me now».