Il prof. Alessandro Lanzafame del Dipartimento di Fisica e Astronomia di Unict tra i coautori dell’articolo pubblicato sulla rivista Astronomy and Astrophysics Letters
Alle straordinarie scoperte fatte grazie alla missione Gaia dell’ESA si è aggiunta, in questi giorni, quella del buco nero di origine stellare più massiccio conosciuto fino ad oggi, denominato GaiaBH3.
L’eccezionale scoperta è stata riportata sulla rivista internazionale Astronomy and Astrophysics Letters con la pubblicazione dell’articolo Discovery of a dormant 33 solar-mass black hole in pre-release Gaia astrometry.
L’esistenza di GaiaBH3 e la stima della sua massa sono state dedotte dalla sua appartenenza ad un sistema binario in cui la stella compagna è ben visibile e orbita attorno al comune centro di massa.
La distanza tra il buco nero e la sua stella compagna è sufficientemente grande da far si che GaiaBH3 sia isolato quanto basta da non produrre fenomeni ad alta energia, come l’emissione X osservata in altri buchi neri causata dall’accrescimento della massa catturata dall’ambiente circostante.
Questo dà a GaiaBH3 la caratteristica di buco nero “dormiente” o “quiescente”, la cui esistenza può essere dedotta grazie proprio agli effetti gravitazionali su una stella vicina.
La sua relativa vicinanza alla terra, circa duemila anni luce, e il suo periodo orbitale, circa 11,6 anni, permettono di studiare le caratteristiche dell’orbita e la natura della stella compagna con grande precisione e confidenza.
Gaia black holes (fonte European Space Agency)
La scoperta di GaiaBH3 fornisce diverse informazioni importanti sulla formazione dei buchi neri stellari, che rappresentano la fase finale dell’evoluzione di stelle di grande massa.
La sua massa, stimata in 33 masse solari, pone questioni importanti sulle nostre conoscenze dell’evoluzione stellare, visto che ci si aspetta che anche le stelle più massicce perdano gran parte della loro massa nel corso della loro evoluzione e nessuna dovrebbe mantenere una massa così grande alla fine del processo evolutivo.
D’altra parte, assumendo una origine comune, lo scarso contenuto di metalli della stella compagna confermerebbe l’ipotesi che buchi neri così massicci possano derivare da stelle massicce povere di metalli.
Questo darebbe anche una spiegazione all’elevata massa dei buchi neri coinvolti nel processo di fusione osservato mediante onde gravitazionali da LIGO.
Tuttavia, anche l’assunzione di un’origine comune non è facilmente spiegabile con le nostre conoscenze sulla formazione dei sistemi binari e il sistema binario potrebbe essere il risultato di una cattura a seguito di un passaggio ravvicinato tra i due oggetti.
La scoperta è stata fatta nel processo di verifica dei dati acquisiti dal satellite Gaia ed elaborati dal consorzio DPAC (Data Processing and Analysis Consortium) in preparazione alla quarta data release.
Rappresentazione artistica del sistema con il buco nero stellare più massiccio della nostra galassia (fonte: European Southern Observatory)
Tra i membri del DPAC coautori dell’articolo che riporta la scoperta su Astronomy and Astrophysics Letter compaiono ricercatori dell’INAF - Osservatorio Astrofisico di Catania coordinati dal prof. Alessandro Lanzafame del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Ettore Majorana” dell’Università di Catania.
Per saperne di più:
Il prof. Alessandro Lanzafame