Al Disfor una serie di eventi per coniugare informazione e sensibilizzazione nella settimana contro la violenza sulle donne tra storie, azioni e prospettive
Un lungo applauso, e tanta commozione tra tutti i presenti, ha caratterizzato la fine dell’incontro dal titolo Femminicidio ieri, oggi, domani. Le storie, le azioni, le prospettive a conclusione di una serie di eventi organizzati dal Dipartimento di Scienze della formazione in occasione della settimana contro la violenza sulle donne.
Un incontro, coordinato dalla docente Concetta Pirrone, che ha registrato, mercoledì 22 novembre, la presenza di Vera Squatrito, la mamma di Giordana Di Stefano, la ventenne uccisa il 6 ottobre di otto anni fa con 48 coltellate dall’ex fidanzato Luca Priolo da cui, a 15 anni, aveva avuto una figlia, la piccola Asia, oggi dodicenne. Un intervento, quello di Vera Squatrito, nell’aula 1 del plesso “Le Verginelle”, che ha fortemente colpito la folla studenti presenti per gli argomenti toccati così come dimostrato dal dibattito creatosi nel corso dell’ultima ora dell’evento.
L’incontro, come ha spiegato in apertura dei lavori la direttrice del Disfor, Loredana Cardullo «è mirato non solo alla sensibilizzazione sulla violenza sulle donne, ma anche alla profonda comprensione di un fenomeno che ha radici profonde e di cui, anche per questa ragione non si può negare l’esistenza».
La conferenza - abilmente strutturata dalla docente Cinzia Recca (delegata alle Pari opportunità del Disfor) come un excursus che parte da un tempo molto lontano e si apre alle prospettive future - ha dedicato il primo spazio a Gaetano Arena, docente di Storia moderna al Disfor che ha delineato i tratti del fenomeno in epoca romana raccontando la triste vicenda di Annia Regillia e del suo marito-carnefice, Erode Attico.
In foto i relatori dell'incontro
«Si tende a considerare il femminicidio in epoca antica come un fenomeno legato solo ai bassi ranghi sociali, tuttavia – ha rimarcato il docente – basta fare una passeggiata all’interno del parco dell’Appia Antica per ritrovarsi di fronte ai resti di un tragico passato. Il cenotafio di Regillia sarebbe, infatti, uno dei vari monumenti eretti grazie all’enorme patrimonio di Erode Attico al fine di coprire il proprio misfatto. Fu bravo a delineare il profilo del vedovo inconsolabile. Fece scrivere un sentito elogio funebre per la moglie su lastre di marmo da uno dei più rinomati poeti del suo tempo».
Arena, inoltre, ha evidenziato, la costanza di determinati processi legati al femminicidio in ogni epoca, quali l’allontanamento dalla rete di sicurezza: «Egillia verrà uccisa lontana dalla sua patria, lontana dal fratello che proverà invano a renderle giustizia, in quanto l’assenza del corpo della donna farà passare alla storia Erode come un innocente», ha detto.
Anche ieri, come oggi, la posizione di potere economico e sociale salva l’uomo da qualsiasi conseguenza.
E su questo tema dei rapporti di potere è intervenuta Concetta Pirrone, docente di Psicologia generale al Disfor. Nella sua attenta trattazione sul confine tra conflitto e violenza ha spiegato che «la chiarezza concettuale è fondamentale per la prevenzione, ma anche per la risoluzione di dinamiche di violenza».
La docente ha proseguito rimarcando la differenza tra conflitto e violenza: «Conflitto e violenza possono somigliarsi ma hanno conseguenze ben diverse, il conflitto può evolversi in mediazione, poiché la relazione è bilanciata. La violenza invece è basata su ruoli di potere fissi e a quel punto non vi è spazio per la mediazione, bisogna solo riconoscere il problema e scappare».
I relatori dell'incontro
Proprio in questo frangente l’informazione diventa fondamentale.
A seguire Raffaella Strongoli, docente di Didattica e Pedagogia speciale al Disfor, con una sentita trattazione sul tema del consenso, particolarmente legata ai recenti eventi di cronaca nera, ha evidenziato come «tutte per istinto o per esperienza abbiamo imparato l’arte di minimizzare, in risposta a un commento sessista all’università, in risposta a una molestia sul lavoro, in risposta a quella che agli occhi del nostro amico era solo una battuta».
Tutte le donne, non solo quelle presenti nell’aula, possono empatizzare con le parole della docente; per questo motivo appare chiara l’insensatezza del movimento nato sul web chiamato Not all men in risposta alle accuse del movimento femminista nei confronti della società patriarcale.
«Il genere maschile ha una responsabilità innegabile; è per questo che oggi possiamo dire Not all men, ma allo stesso tempo è necessario dire Yes, all women», ha aggiunto la docente.
E guardando a una prospettiva futura la prof.ssa Strongoli ha sottolineato che «bisogna costruire una narrazione diversa, dove la donna non è più oggetto del desiderio indecifrabile: se una donna dice no è no, la sfera della desiderabilità non può essere l’unica in cui la donna viene percepita. Occorre una educazione al consenso come libera manifestazione di una volontà ben ragionata».
Non si può trascurare il ruolo delle istituzioni in questo cambiamento, rimarcato dall’utilizzo del termine pedagogia militante. In chiusura di intervento la docente ha invitato le donne presenti ad essere libere tra gli applausi delle studentesse e degli studenti.
La panchina rossa realizzata dalle studentesse del Disfor
«Il femminicidio tocca più di una vittima; non possiamo dimenticare gli orfani di violenza, bambini invisibili, che dopo aver assistito per anni ad episodi di violenza finiscono per perdere sia la madre che il padre in condizioni traumatiche». Così la dottoressa Carmen Bosco, psicoterapeuta e membro attivo dell’associazione Thamaia, ha introdotto il tema centrale del suo intervento, in cui ha sottolineato l’esigenza di una rete di sostegno non solo per le donne vittime, ma anche dei minori coinvolti in ambienti familiari violenti. Una rete non solo composta da istituzioni, psicologi e operatori sanitari, ma anche della comunità.
«Esistono diverse tipologie di supporto percepite dagli orfani; la comunità educante può essere un grande aiuto per rompere il tabù della morte e andare avanti nell’elaborazione del lutto», ha detto la psicoterapeuta.
Passando da grafici e statistiche a esperienze di vita reali, la dott.ssa Bosco ha trovato spazio anche per guardare al futuro di queste nuove generazioni che lei stessa reputa diverse da quelle passate: «Ad oggi il movimento sta cambiando, il femminismo intersezionale è fatto di donne e uomini non solo più consapevoli ma anche più sensibili alla tematica».
E tale sensibilità è stata dimostrata dai giovani presenti in aula durante la finale testimonianza di Vera Squatrito, madre di Giordana Di Stefano. Una delle tanti giovani vittime di femminicidio, uccisa brutalmente dal compagno nel 2015, lasciando orfana una bimba di soli 4 anni, Asia.
«È per lei che io ancora oggi ho la forza di combattere, di far conoscere la storia di mia figlia, per costruire un mondo migliore in cui lei possa crescere», ha detto la mamma di Giordana.
Una testimonianza vera, cruda, ma allo stesso tempo estremamente piena di tenerezza ha suscitato la commozione di tutti i presenti. Passando dal dramma dello stalking e della violenza psicologica fino ad arrivare al dolore di un processo vissuto dalla Squatrito come «un secondo omicidio di mia figlia», docenti, studenti, personale e partecipanti si sono uniti nel dolore di una vita spezzata e nella rabbia contro i molteplici colpevoli in questa triste vicenda.
In chiusura di intervento, tra gli applausi dei presenti, il toccante video di Giordana libera di esprimersi nel suo elemento naturale, la danza, è stato quasi un riflesso spontaneo. «Voglio ricordare così mia figlia, libera come l’ho cresciuta io», ha aggiunto.
Uno delle opere fotografiche di Giovanni Ruggeri esposte nei locali del Disfor
Ed è all’insegna di questa volontà che si è aperto il dibattito finale incentrato su come guardare al futuro dove nessuno abbia il diritto di decidere per la vita dell’altro.
Ma oltre l’incontro, il programma di eventi organizzati dal Disfor ha registrato anche altri due momenti molto significativi: l’installazione delle opere fotografiche dedicate al tema Donne e corpi, tra uguaglianza di genere e sessualità del fotografo Giovanni Ruggeri nelle tre sedi del dipartimento (via Ofelia, Palazzo Ingrassia e plesso “Le Verginelle) e la panchina tinteggiata di rosso, nei giorni scorsi, proprio dalle studentesse e dagli studenti del dipartimento.
Sulla panchina, nel cortile del plesso “Le Verginelle”, è stata posta una targa con la scritta Rosso come la fiamma che tiene accesa la memoria. Siediti e non rimanere indifferente!
«La panchina rossa è nata dalla voglia di lasciare un segno da parte delle giovani e dei giovani di questo dipartimento per non dimenticare le vittime di femminicidio. Purtroppo quest’anno si è verificato un incremento di casi e proprio il Disfor su queste tematiche deve dare risposte e soprattutto informare e sensibilizzare tutti», ha spiegato la docente Cinzia Recca, delegata alle Pari opportunità per il dipartimento.
«Non a caso nel corso dell’intervento le tematiche affrontate, molto forti, hanno toccato tutti i presenti, in particolar modo i più giovani – ha aggiunto -. Abbiamo cercato di chiarire alcuni aspetti importanti come il consenso della donna e quella linea di demarcazione tra un conflitto e la violenza all’interno di una coppia anche ripercorrendo la storia del femminicidio in epoca romana oltre alla struggente testimonianza di Vera Squatrito che ha permesso a tutti noi di comprendere meglio cosa è il femminicidio».
La mostra di Giovanni Ruggeri, dedicata al tema Donne e corpi, tra uguaglianza di genere e sessualità, è visitabile fino alla pausa natalizia.