Felicia Impastato: dalla tragedia alla lotta per la giustizia

Al Dipartimento di Scienze umanistiche è stato proiettato il film di Gianfranco Albano sulla “donna del popolo” che si oppose alla mafia in memoria del figlio. Ad intervenire, tra gli altri, la nipote Luisa

Ottavia Pressato

Felicia Bartolotta Impastato, una donna che acquista coscienza politica e fa della memoria e della lotta un motivo di vita”. Con queste parole Pina Palella, presidente dell’Anpi di Catania, ha dato il via all’incontro intitolato Donne contro la mafia, il quarto del ciclo Dall’analisi del fenomeno mafioso alla cittadinanza attiva, edizione 2024/25 dei seminari di ateneo "Territorio, ambiente e mafie - In memoria di Giambattista Scidà".

Durante l’incontro è stato proiettato il film Felicia Impastato di Gianfranco Albano, che ripercorre la storia di una madre coraggiosa, determinata a ottenere giustizia per l’omicidio del figlio Peppino, militante antimafia assassinato da Cosa Nostra nel 1978. La pellicola di Gianfranco Albano restituisce con intensità il percorso di Felicia Bartolotta Impastato, una donna che, da moglie di un uomo legato agli ambienti mafiosi, si trasforma in un simbolo di resistenza e memoria attiva.

Dopo la proiezione del film, il cuore dell’incontro si è spostato su un dialogo intenso e ricco di spunti tra la professoressa Pina Palella e Luisa Impastato, nipote di Felicia e figlia di Giovanni, il fratello di Peppino. Un dialogo che non è stato solo un racconto familiare, ma un vero e proprio atto di memoria attiva, in cui la storia di Felicia è emersa non solo come quella di una madre in cerca di giustizia, ma come simbolo di resistenza civile contro la mafia. Attraverso le parole di Luisa, la figura di Felicia si è delineata con forza e autenticità, restituendo il ritratto di una donna che, con il suo coraggio, ha tracciato una strada per le generazioni future.

“Io ho avuto la grande fortuna di crescere accanto a mia nonna - comincia così Luisa -, sono riuscita a trarne tanto, soprattutto in termini di testimonianza. Mia nonna mi ha trasmesso un grande senso di orgoglio che ho sempre provato nei confronti di questa storia. Lei mi ha portato a scegliere di non interrompere questo percorso che lei ha inaugurato.”

“Mia nonna non era una militante – ha aggiunto -, era una donna del popolo, una donna che alla morte del figlio sceglie di trasformare questo lutto in azione politica. Una donna che, purtroppo a differenza di altre, è riuscita a non disperdere quella memoria e a trasformarla in continuità, cosa che ha portato giustizia a Peppino, 24 anni dopo”.

“E questo mia nonna lo ha fatto spontaneamente - continua Luisa in video collegamente – mettendo a disposizione quello che aveva, il suo corpo, la sua voce, il suo dolore, in una pratica del racconto tipica delle nonne e delle madri. Una pratica che diventa dirompente, una pratica antimafia che continua la rivoluzione non violenta del figlio. Per questo motivo, secondo me, la sua storia è imprescindibile da quella di Peppino. Uno dei tratti che la caratterizzava era l’ironia. Quest’ironia è quell’aspetto che Peppino ha preso dalla madre, declinandolo nella sua esperienza di denuncia contro la mafia attraverso Radio Aut”.

Un momento dell'incontro. In foto la prof. Pina Palella in aula e in video collegamento Luisa Impastato

Un momento dell'incontro. In foto la prof. Pina Palella in aula e in video collegamento Luisa Impastato

“È una storia di resistenza – ha detto Pina Palella - resistenza che inizia ancora prima della morte di Peppino. Si vede quando Felicia scopre il tradimento del marito e va via di casa. A quei tempi, e soprattutto in quel contesto legato ancora alle tradizioni siciliane, questo era un atto dirompente”.

“Mia nonna aveva dentro di sé il seme della ribellione – ha risposto Luisa Impastato – e lo ha dimostrato in più circostanze della sua vita. Figlia di quegli anni, di quella cultura mafiosa e patriarcale che voleva la donna subalterna, lei comunque operava delle piccole ribellioni. Prima di sposare mio nonno ha rotto un matrimonio combinato, cosa che all’epoca era più che scandalosa, era impensabile. E lei si ribellava a questa forzatura, perché non era innamorata”.

“Anche nel matrimonio con mio nonno, nel suo piccolo, è riuscita ad imporsi al marito – ha aggiunto – soprattutto quando Peppino si è schierata dal lato opposto rispetto al padre. Per esempio quando mio nonno cacciò via di casa Peppino per le sue attività politiche contro la mafia, mia nonna si iè imposta al marito vietandogli di fare entrare dentro casa i suoi amici mafiosi. In quel momento storico anche questa era un’azione rivoluzionaria”.

“Per non parlare dell’ennesimo scandalo di quando, poco dopo l’assassinio di Peppino, volle andare a votare, infrangendo la regola che prevedeva che le donne rimanessero serrate in casa per il lutto. Dopo la morte del figlio, poi, indossa il nero e non se lo toglie più, perché il suo lutto era una provocazione, un simbolo della sua lotta”.

La professoressa Palella ha poi sottolineato l'importanza di trasmettere la memoria non solo attraverso la denuncia, ma anche attraverso la parola, proprio come fece Felicia Impastato. Ha ricordato come Felicia avesse aperto la sua casa a tutti per raccontare la propria storia, rivolgendosi in particolare ai giovani. Ha poi evidenziato come questo impegno prosegua oggi attraverso il centro Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato.

“Quello che continuo a fare a casa mia è esattamente quello che faceva mia nonna – ha detto Luisa Impastato -. Questa iniziativa è nata spontaneamente sul solco che lei ci ha lasciato, anzi, come testamento morale di mia nonna. Il mio impegno è stato continuare a tenere aperte le porte di quella casa così come aveva scelto di fare lei, ribaltando anche la logica della vendetta mafiosa”.

“Quando morì Peppino, i parenti di mio nonno le hanno chiesto esplicitamente di non intervenire, di starsi tranquilla, di farsi da parte, perché ci avrebbero pensato loro a portare giustizia a Peppino – ha aggiunto -. Mia nonna, in quel momento, rompe la logica della vendetta, che avrebbe svalutato, tra l'altro, la morte del figlio. Lei rompe totalmente i legami con la famiglia mafiosa del marito e si affida allo stato, anche se lo stato in quel momento non è esattamente dalla sua parte. Ma soprattutto si dedica a questa voglia di raccontare del suo Peppino, la sua verità, e senza questa pratica, non sarebbe arrivata ad avere a tanti grandi risultati”.

Studenti e studentesse presenti all'incontro

Studenti e studentesse presenti all'incontro

“Io ho preso questo impegno da diversi anni - continua Luisa - ho incontrato nel corso del tempo associazioni, professionisti, giornalisti che hanno cambiato le proprie vite proprio perché ispirati da questa storia. Loro continuano a portarla avanti attraverso Casa Memoria, che oggi è composta da attivisti e attiviste che come me non hanno conosciuto Peppino ma che sentono propria questa storia, che sentono l'esigenza della continuità”.

“Sentono che sia non solo giusto, ma che sia forse oggi più che mai necessario non dispendere quello che è stato ottenuto in tutti questi anni, perché bisogna dare a queste storie continuità, assumersi la responsabilità di questa storia, come ha fatto Felicia, e come ha fatto Peppino, che ha lottato per le idee in cui credeva”.

E sulla richiesta su come si possa contagiare la peppinite, facendo riferimento a una vignetta contenuta nel libro Oltre i cento passi di Giovanni Impastato, illustrato da Baro, Luisa ha raccontato di essere rimasta particolarmente colpita da un dialogo in cui un paziente diceva di non sopportare più i prepotenti e i prevaricatori, chiedendo al dottore se fosse grave, e quest’ultimo rispondeva rassicurandolo che si trattava semplicemente di "peppinite". Lo studente ha espresso la sua preoccupazione riguardo al senso di resa diffuso tra i giovani di oggi, che spesso si sentono impotenti di fronte a forze troppo grandi per essere fermate.

“Io credo che uno degli aspetti più forti della storia di Peppino sia legato in qualche modo al suo conflitto personale – ha risposto Luisa – al fatto che lui in fondo era un ragazzo qualsiasi, non era un magistrato, non era un uomo di istituzione, non era un politico di professione, era un ragazzo come tanti. Però sceglie in quel contesto di lottare contro la mafia nonostante fosse figlio di un mafioso, quindi non solo di dissociarsi dalla sua famiglia, ma di lottare contro la sua famiglia. Quindi uno degli aspetti che potrebbe caratterizzare la “peppinite” potrebbe essere quello di credere nella forza delle scelte, di avere il coraggio di fare delle scelte, anche difficili, anche dolorose”.

“Mia nonna diceva ai ragazzi di tenere sempre la testa alta e la schiena dritta – ha concluso Luisa Impastato - penso che oggi per contrastare la mafia sia veramente necessario contrastare anche un modello culturale sbagliato, un modello che fa capo a volte anche alla normalizzazione di certi atteggiamenti, alla corruzione, all'ingiustizia, a certe forme di sopraffazione che siamo tanto abituati a sentire. Noi dovremmo continuare a indignarci, continuare a rivendicarle certe cose, credo che questo potrebbe essere un buon modo per contrarre la peppinite e fare la differenza”.

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