Intervista a Antonino Belfiore, ordinario di Endocrinologia al Medclin dell’Università di Catania
Gli ormoni sono messaggeri che trasmettono informazioni nel nostro organismo, contribuendo a mantenerci in salute. Ma cosa succede quando gli ormoni non funzionano correttamente?
A rispondere alle domande è Antonino Belfiore, ordinario di Endocrinologia al MedClin dell’Università di Catania e Direttore dell’Unità Clinicizzata di Endocrinologia dell’ospedale “Garibaldi-Nesima”. Da anni il docente, past direttore della Scuola di Specializzazione in Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Università di Catania, si occupa di studiare e curare le disfunzioni del sistema endocrino quali malattie tiroidee, diabete e obesità.
Di cosa si occupa l’Endocrinologia?
«L’Endocrinologia concerne lo studio del sistema endocrino che, in stretta cooperazione col sistema nervoso e il sistema immunitario, regola l’omeostasi dell’organismo come pure tutte le funzioni vitali, quali ad esempio, la riproduzione, la crescita, il metabolismo energetico - spiega -. Il sistema endocrino agisce per mezzo degli ormoni, mediatori chimici prodotti dalle ghiandole endocrine che tramite il torrente ematico raggiungono gli organi bersaglio dove esercitano i loro effetti biologici legandosi a specifici recettori. L’endocrinologo si occupa di diagnosticare e trattare le malattie del sistema endocrino».
L’Endocrinologia si occupa anche dell’obesità e delle malattie ad essa correlate. In base alle stime le malattie correlate all’obesità rappresenteranno una vera e propria emergenza sanitaria nei prossimi 30 anni.
«Purtroppo l’obesità è un problema globale e la sua prevenzione richiederà mutamenti culturali e sociali che ancora non sembrano maturi - sottolinea il docente -. Tuttavia la ricerca scientifica ha un suo ruolo, sia per quanto riguarda una migliore comprensione degli effetti dell’alimentazione e dello stile di vita, sia per quanto riguarda la recente scoperta di nuovi farmaci che finalmente hanno una certa efficacia nella terapia dell’obesità. Nel prossimo futuro ci attendiamo terapie individualizzate sulla base dei fattori di rischio individuali acquisiti tramite indagini genetiche e metaboliche. Sia per la prevenzione che per la terapia, sarà anche importante capire meglio il ruolo del microbiota e dell’esposizione ad agenti inquinanti con azione di "interferenti endocrini" nello sviluppo dell’obesità».
La ricerca è fondamentale per la messa a punto di nuove terapie. Quali sono le motivazioni che spingono un clinico ad abbracciare il mondo della ricerca?
«La ricerca è uno dei compiti istituzionale degli universitari - continua il prof. Belfiore -. Fattori personali e ambientali sono poi importanti per definire lo spazio e l’importanza che la ricerca ha nelle priorità di ciascuno. Nel mio caso, penso che i fattori che hanno giocato un ruolo decisivo nella priorità che ho assegnato alla ricerca siano stati la curiosità, l’incontro con scienziati di alta levatura e con collaboratori di qualità, e una buona continuità di finanziamenti attribuiti ai nostri progetti da Mur, Ministero della Salute e soprattutto Airc».
A che punto è la ricerca nei campi della prevenzione e del trattamento delle malattie correlate all’obesità?
«Negli ultimi anni, grazie alla ricerca scientifica, la terapia di diverse malattie correlate all’obesità ha subito una vera e propria rivoluzione, basti pensare ai nuovi farmaci per la terapia del diabete, delle dislipidemie, dell’ipertensione, delle malattie cardiovascolari e delle malattie tumorali» aggiunge il docente.
Quindi anche i tumori possono essere influenzati dal peso corporeo?
«Solo abbastanza recentemente si è compreso che l’eccessivo peso corporeo soprattutto a livello viscerale, oltre ad essere associato alle ben note complicanze metaboliche, cardiovascolari, respiratorie e osteoarticolari, si associa ad un maggior rischio per molti tumori maligni e ad un maggiore rischio di evoluzione clinica avversa - sottolinea il prof. Belfiore -. L’infiammazione cronica di basso grado e l’insulino-resistenza con iperinsulinemia sono le due componenti legate all’obesità principalmente associate alla progressione tumorale. Si ritiene adesso che molti tumori, almeno in alcune fasi della loro evoluzione, siano sensibili agli effetti dell’iperinsulinemia e dei fattori insulino-simili».
«Il microambiente tumorale è fortemente influenzato dall’obesità e a sua volta influenza la progressione tumorale. Inoltre, la contaminazione ambientale e l’esposizione a sostanze con azione simil-ormonale, “interferenti endocrini”, possono favorire l’obesità, l’insulino-resistenza e la progressione tumorale con azioni multiple - aggiunge -. Tuttavia, sebbene le terapie oncologiche a bersaglio molecolare siano sempre più affermate, non esistono ancora terapie specifiche per i pazienti oncologici affetti da obesità».
Come si concretizza il suo impegno di ricercatore nel campo delle malattie correlate all’obesità?
«Il nostro gruppo è stato tra i primi ad intuire lo stretto rapporto tra iperinsulinemia e progressione tumorale - racconta il docente -. Da più di trenta anni studiamo il ruolo del recettore dell’insulina e dei recettori insulino-simili nella progressione tumorale. Uno dei risultati più importanti di questi studio è stata la caratterizzazione delle due isoforme del recettore insulinico».
«Abbiamo scoperto che una di queste due isoforme (isoforma A o IR-A) ha un’effetto prevalentemente mitogenico, mentre l’isoforma B ha prevalentemente un effetto metabolico - e aggiunge - l’isoforma A lega ad alta affinità non solo l’insulina ma anche l’IGF2 ed ha un ruolo nella crescita prenatale. Molti tumori esprimono alti livelli di IR-A e diventano quindi più sensibili all’azione dell’insulina. IR-A sembra quindi essere un ottimo candidato per terapie antitumorali, soprattutto nei pazienti oncologici con concomitante obesità e/o diabete e quindi con iperinsulinemia e insulinoresistenza».
Quali sono i risultati attesi da questo progetto?
«Sebbene in teoria possa essere un ottimo bersaglio tumorale, IR-A differisce da IR-B solo per 12 aminoacidi e quindi è difficile da bloccare senza bloccare anche IR-B - spiega il prof. Belfiore -. Il nostro progetto principale oggi è quindi di identificare dei partner molecolari e/o delle vie di trasduzione del segnale che siano associati in maniera abbastanza specifica ad IR-A ma non ad IR-B, in modo da permettere un effetto antitumorale senza effetti negativi sul metabolismo glicidico del paziente. Abbiamo già diversi risultati che confermano questa ipotesi sperimentale e ci aspettiamo che questo approccio manifesti un valore aggiunto nella terapia dei tumori chi insorgono in pazienti con obesità e/o diabete».
Quale consiglio si sente di dare ai ricercatori in erba e/o aspiranti?
«Occorre avere le idee chiare su cosa significa essere un ricercatore: essere curioso, voler fare un lavoro creativo e saper lavorare in gruppo; cercare un mentore che possa insegnare e aiutare nel percorso formativo; scegliere un campo di ricerca biologicamente importante e individuare i punti più significativi e controversi da studiare - ci tiene a sottolineare -. E, inoltre, scegliere l’istituzione adatta al proprio campo di interesse; considerare che nel lavoro del ricercatore è particolarmente valida la massima “The harder I work, the luckier I get” di Samuel Goldwyn (Più lavoro sodo, più sono fortunato); considerare che l’aggiornamento tecnologico è essenziale, ma che altri fattori importanti sono lo studio continuo, l’interazione e le collaborazioni con gli altri ricercatori, l’attenzione agli aspetti etici».
Il prof. Antonino Belfiore