Elogio della metamorfosi, omaggio a Rosalba Galvagno

Al Monastero dei Benedettini un’iniziativa in onore della docente di Teoria della letteratura di Unict con la presentazione del volume a lei dedicato

Gabriele Cristiano Crisci

Molti dei racconti mitici tramandati al mondo occidentale devono la loro più illustre rappresentazione ai Metamorphosĕon libri – conosciuti come le Metamorfosi – del poeta elegiaco latino Ovidio: difatti, nel corso dei secoli, l’opera ovidiana costituirà la matrice di innumerevoli variazioni mitiche che investiranno non solo la letteratura, ma anche il cinema, il teatro e l’arte.

In tal senso, illuminanti e di grande spessore accademico sono state le ricerche condotte da Rosalba Galvagno, già docente di Teoria della letteratura all’Università di Catania, che ha studiato a fondo le connessioni tra discorso letterario e discorso psicoanalitico anche in relazione ai miti metamorfici di ovidiana memoria, tra risemantizzazioni e riscritture intersemiotiche.

Alla docente è stata anche dedicato il volume Metamorfosi in dialogo. Studi in onore di Rosalba Galvagno (Duetredue, 2024), scritto in occasione del suo pensionamento e presentato lo scorso 21 febbraio nei locali del Dipartimento di Scienze umanistiche dai curatori e allievi della docente Novella Primo, ricercatrice di Letteratura italiana contemporanea all’Università di Messina, Nadia Rosso, professoressa di materie letterarie al Liceo Scientifico “Galilei” di Catania, e Dario Stazzone, dottore di ricerca in Italianistica e presidente del comitato catanese della Società Dante Alighieri, che ha contribuito alla realizzazione dell’evento.

Dopo i saluti della direttrice del Dipartimento di Scienze umanistiche, Marina Paino – entusiasta nell’evidenziare come «si resti sempre parte di una comunità» anche al di fuori delle mura universitarie – ha introdotto e moderato la presentazione Maria Rizzarelli, professoressa di Teoria della letteratura al Disum, che ha sottolineato la scelta di «festeggiare attraverso un libro che ruota attorno non solo al tema centrale degli studi di Rosalba Galvagno – ovvero le metamorfosi – ma soprattutto attorno all’idea che l’avventura accademica sia prima di tutto una storia di relazioni».

Tante sono state le suggestioni derivanti dalle parole di Novella Primo, la quale, nella memoria dei primi anni universitari, ha evidenziato come «Galvagno fosse solita incoraggiare gli studenti tenere dei seminari sul tema metamorfico», come quello, in bilico tra psicoanalisi freudiana (il ricordo del “dito tagliato” nell’Uomo dei lupi) e riscrittura tassiana (nell’episodio di Tancredi e Clorinda della Gerusalemme Liberata), incentrato sul topos dell’albero insanguinato.

Un momento dell'intervento della prof.ssa Rosalba Galvagno

Un momento dell'intervento della prof.ssa Rosalba Galvagno, al suo fianco la prof.ssa Maria Rizzarelli

La professoressa Primo ha menzionato, inoltre, le ricerche svolte da Galvagno durante gli anni di dottorato trascorsi a Parigi sotto la guida della linguista e psicoanalista Julia Kristeva, convogliate poi nella monografia Le sacrifice du corps. Frayages du fantasme dans les “Métamorphoses” d’Ovide, edita in lingua francese nel 1995. 

«In questo studio vengono individuati quali miti portanti del poema latino – continua Primo – quelli di Orfeo e di Narciso che ha il suo corollario nel mito di Pigmalione»: su questi ultimi sono focalizzati molti contributi del volume Metamorfosi in dialogo, dall’analisi del paesaggio circostante nel mito di Narciso alla visione scopica dei personaggi in chiave visuale, dalla biopoetica tra letteratura e darwinismo fino all’enigmatica figura di Tiresia e ai richiami ovidiani nella pellicola Portrait de la jeune fille en feu (Céline Sciamma, Francia 2019).

«La lezione di Rosalba Galvagno è andata oltre i meri contenuti. La lezione migliore è stata quella di trasmettere la passione e l’entusiasmo per quello che si studia». Con queste parole Nadia Rosso ha iniziato il suo intervento, ricordando il «colpo di fulmine tenuto in tasca» che la portò a incentrare la  tesi di laurea su Italo Calvino, analizzato «sotto la lente metamorfica ovidiana», oggetto anche del contributo a sua firma presente nel volume.

Per la professoressa Nadia Rosso, al fine di comprendere gli assetti teorici su cui poggia il testo ovidiano come le successive risemantizzazioni, bisogna partire dalle parole della stessa Galvagno: «il mito metamorfico rappresenta la figura paradigmatica di un soggetto che si situa sul limite o che tenta di oltrepassarlo per ottenere il possesso di un oggetto di fatto inaccessibile».

Proprio alle Metamorfosi ovidiane Calvino fa riferimento nella quinta delle Lezioni americane, designando il poeta latino come fautore della «molteplicità». A quest’ultima è legata la figura del signor Palomar, dell’omonimo romanzo calviniano, e del suo alter ego Mohole: il primo, che deve il nome all’osservatorio californiano, tende verso l’alto e verso la “molteplicità” dell’universo; il secondo, che ricorda il progetto di trivellazione della crosta terrestre dei primi anni Sessanta, tende verso il basso e verso il buio interiore.

Nadia Rosso, in rapporto al topos metamorfico e alla sua multiformità, sottolinea come «Palomar, nella sua afasia, abbia una capacità discrezionale: ovvero, la capacità di parcellizzare la realtà, spingendosi in maniera nevrotica verso un “oltre”», anticamera della pietrificazione del soggetto stesso.

In foto da sinistra Marina Paino, Rosalba Galvagno, Novella Primo, Nadia Rosso, Maria Rizzarelli e Dario Stazzone

In foto da sinistra Marina Paino, Rosalba Galvagno, Novella Primo, Nadia Rosso, Maria Rizzarelli e Dario Stazzone

Mutatas dicere formas: riprendendo il proemio ovidiano delle Metamorfosi, Dario Stazzone ricorda le prime lezioni della professoressa Galvagno, grazie alle quali le giovani matricole universitarie hanno potuto «confrontarsi con un linguaggio “altro” rispetto a quello liceale ed approfondire – continua Stazzone – le grandi correnti teoriche del Novecento, dallo strutturalismo francese al New Criticism, ed opere di autori del calibro di Bachtin, prodromiche all’odierna narratologia, alla semiotica della narratività».

Il contributo del professore Stazzone, nel volume dedicato alla sua «măgistra», si focalizza sulla Canzone XXIII “Nel dolce tempo della prima etade” del Canzoniere petrarchesco, altresì conosciuta come canzone delle metamorfosi. In particolare, il docente ha analizzato gli echi ovidiani, concentrando la propria attenzione «sull’assimilazione del precedente classico, dal mito di Dafne alle letture moralizzanti di Petrarca incentrate sulla questione del decorum nella ricezione medievale e protoumanistica».

Il nodo delle metamorfosi risulta, dunque, essere al centro di una contorta matassa di significati con sfumature sempre diverse tra loro. Non rappresenta solo un topos, ma una vera e propria struttura del soggetto. Nel riprendere il mito di Dafne di ovidiana memoria, Rosalba Galvagno rileva come sia «il nome degli eroi a determinare il loro stesso destino»: infatti, come vuole il mito, la ninfa oceanina si trasformò in alloro, proprio in virtù di come si chiamava (il sostantivo greco δάϕνη significa, appunto, “lauro”, “alloro”).

Gli studi della professoressa Galvagno, inoltre, come lei ha dichiarato in conclusione dell’incontro, ribaltano l’idea, predominante nei decenni passati, secondo cui la metamorfosi sia un processo di “movimento”. Quest’ultimo è presente solo in un primo momento, ovvero nell’atto di “mutazione” del soggetto; la vera metamorfosi avviene nell’atto finale, allorché «la pietrificazione si identifica come la trasformazione in un altro corpo che è l’essenza del soggetto trasformato, l’essere più profondo che lo costituisce».

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