Assegnato a Parisa Nazari il Premio Human Rights Defenders di Amnesty International Sicilia con una cerimonia al Dipartimento di Scienze politiche e sociali
Perdonatela, perdonatela se, alle volte, dimentica il suo straziante legame con torbide acque e vacue cavità e scioccamente s’illude di avere il diritto d’esistere
Scriveva così Forugh Farrokhzad, poeta e regista iraniana dai tratti femministi, nella sua poesia Perdonatela.
In Iran, ogni giorno milioni di donne lottano per il diritto d’esistere, ma c’è anche chi da fuori non manca di far sentire la propria voce a sostegno di chi non può urlare abbastanza forte a causa di un regime oppressivo. Ecco perché quest’anno Amnesty International Sicilia, in collaborazione con il Forum Human Rights Defenders, ha premiato Parisa Nazari, attivista iraniana e difenditrice dei dritti umani.
L’evento, ospitato nell’aula XXI marzo di Palazzo Pedagaggi per il secondo anno consecutivo, è stato aperto dalla direttrice del Dipartimento di Scienze politiche e sociali, Pinella Di Gregorio, che ha sottolineato come «il movimento nato dall’uccisione di Mahsa Amini è cresciuto nonostante la repressione e vede in prima linea donne, ma anche uomini, quindi è un movimento che porta ad una discussione fondamentale dei principi di libertà e autodeterminazione».
«Sono grata ad Amnesty International per sottolineare come i diritti delle donne siano diritti umani e come difendere i diritti delle donne sia un modo per far fare alla nostra società un salto di civiltà di cui il nostro tempo ha bisogno», ha aggiunto.
Protagonista dell’evento, ovviamente, la vincitrice del premio Human Rights Defenders, Parisa Nazari, che nel suo lungo intervento ha toccato diverse tematiche e in particolar modo sul “cosa” significa vivere in Iran in quanto donna.
«Il 16 settembre 2022 ha segnato la nascita di un nuovo approccio alla lotta degli iraniani per la libertà e la democrazia; nel momento in cui è stata annunciata la morte di Mahsa Amini, una donna di etnia curda, di una minoranza etnica, è scattato qualcosa di importante – ha spiegato in apertura -. Ai suoi funerali le donne iraniane per la prima volta hanno tolto il velo gridando: “Donna, vita, libertà”. Da lì, a pochissime ore, in moltissime città iraniane donne e uomini sono scesi nelle piazze in maniera spontanea gridando il nome di Mahsa Amini. E soprattutto “No alla dittatura” e “Donna, vita, libertà” che non è uno slogan, è una visione del mondo, un modo di pensare e un agire quotidiano, è mettere la figura della donna al centro di una lotta che è per la vita e per la libertà».
«Come siamo arrivati a questo? All’inizio del Novecento in Iran, come oggi in Afganistan, le donne non avevano diritto all’istruzione – ha detto la Nazari rispondendo al quesito posto da sé stessa –. Le prime femministe iraniane, che appartenevano all’aristocrazia dell’epoca, hanno cercato di fondare delle scuole per bambine. Sono state, ovviamente, fortemente ostacolate, ma alla fine nel 1906 la prima scuola per bambine è stata fondata, creando le basi per un percorso per le donne iraniane interrotto, tuttavia, nel 1979. In quell’anno ci fu la rivoluzione in Iran che non è nata come una rivoluzione islamica poi lo è diventata e subito dopo l’insediamento del nuovo governo rivoluzionario la prima legge che è stata abolita è stata una legge che dava certi diritti alle donne; inoltre si cominciò a parlare di obbligatorietà del velo negli uffici pubblici».

Un momento dell'intervento di Parisa Nazari
«L’8 marzo 1979 molte donne sono scese in piazza gridando uno slogan semplice: “Noi abbiamo fatto la rivoluzione per avere i diritti non per perderli”. Ciononostante, le donne essendo poche e non avendo nessun sostegno non sono riuscite a cambiare nulla, le leggi misogine sono andate in vigore e il velo è diventato obbligatorio. È vero che in realtà il velo è solo un pezzo di stoffa, ma in realtà è uno strumento di potere dello stato sul corpo di una donna», ha evidenziato l’attivista iraniana.
«Non è un semplice pezzo di stoffa – ha aggiunto -. È un modo per dire alla donna di essere modesta, di essere quasi invisibile, quasi un oggetto proprietà dell’uomo. Ci sono donne che portano il velo con convinzione, che amano portare il velo, ma nel momento in cui è obbligatorio c’è un prezzo altissimo da pagare per chi non vuole portarlo, quindi diventa uno strumento di potere, un modo per far sì che il corpo della donna non possa appartenere alla donna ed è per questo che in Iran nel momento in cui una donna sceglie di vestirsi e uscire di casa in realtà sceglie se compiere o no un’azione di disobbedienza civile».
«E quando sceglie di vestirsi in una maniera non consona al codice di abbigliamento islamico sa di rischiare di essere arrestata dalla polizia morale, di essere portata nei centri di rieducazione ed essere giudicata come una criminale davanti un giudice, ma fa questa scelta perché in questo modo sta gridando che tu Stato non puoi esercitare il tuo potere sul mio corpo, sulla mia vita, perché il corpo è mio e io scelgo se coprirlo o no», ha tenuto a precisare.
«Se l’attenzione calasse veramente, se i riflettori venissero spenti sulla questione iraniana sappiamo di cosa è capace il regime iraniano, lo abbiamo visto nel novembre 2019, il novembre di sangue. In quella data c’è stata una grande protesta dove milioni di iraniani sono scesi in piazza per protestare contro il caro benzina e il regime iraniano ha bloccato completamente internet – ha continuato Parisa Nazari -. C’è stato un oscurantismo totale per una settimana ed il regime ha sparato ai manifestanti e ha ucciso un numero imprecisato di persone che si aggira intorno ai 1500, ma le famiglie vengono minacciate a non identificare i propri cari uccisi».
«Tutto questo è riuscito a succedere perché se non c’è collegamento internet, non arrivano immagini, il mondo non sa e guarda altrove – ha precisato -. Oggi gli iraniani hanno trovato dei meccanismi per far sì che possano essere collegati al mondo a qualunque costo; ci sono moltissime persone incriminate solo perché hanno condiviso sui social media, ma lo fanno perché senza quelle immagini potrebbe esserci un’altra carneficina. Ecco perché è fondamentale che quelle immagini che con tanto sacrificio cercano di mandare sui social vengano viste, per far capire al mondo intero che quel regime continua a torturare, a stuprare, ad uccidere i giovani che a mani alzate in maniera non violenta gridano uno slogan semplice come “donna, vita, libertà” chiedendo di vivere in un paese libero», ha concluso l’attivista iraniana».

Il momento del conferimento del premio a Parisa Nazari
Ad introdurre Parisa Nazari alla folta platea erano intervenuti Vincenza Venezia, Stefania Panebianco e Giusi Squillaci.
Proprio la coordinatrice del Forum HRD per Amnesty Sicilia, Vincenza Venezia, nel suo intervento, aveva motivato la decisione di premiare la Nazari.
«Abbiamo scelto Parisa Nazari perché da anni in Italia non ha mai smesso di lottare per le sue sorelle iraniane di cui è diventata voce autorevole e molto forte ed è importante avere una voce che rappresenta chi lotta in altri paesi perché bisogna tenere desta l’attenzione e la lotta delle donne è una lotta che bisogna portare avanti con tutte le nostre forze non solo in Iran, ma anche nei paesi occidentali – ha spiegato -. Anche in Occidente stiamo assistendo a forma di regressione dei diritti conquistati che ritenevamo intoccabili, quindi sta a noi continuare a far sentire la voce affinché questi diritti rimangano se ci sono o si acquisiscano se non ci sono».
Stefania Panebianco, moderatrice dell’evento e docente di Scienze politiche, ha ribadito la continuità nell’assegnare il premio ad una donna, a Parisa Nazari.
«Il Premio Nobel quest’anno è stato assegnato a Narges Mohammadi che però è in carcere quindi è stato dato in absentia e questo è ancora più forte e più violento come messaggio perché c’è qualcuno che ancora rimane in carcere per aver difeso i diritti di una collettività, quella delle donne – ha spiegato -. Un altro importante riconoscimento assegnato è stato il Premio Sakharov, doppiamente in absentia poiché Mahsa Amini è morta drammaticamente nel settembre 2022. L’opinione pubblica spesso pensa che è cominciato tutto in questa data, quando in realtà ci sono state anche altre proteste, però è stato un messaggio importante, quindi è importante interrogarsi sul ruolo delle proteste nei paesi occidentali dove si protesta quasi regolarmente per mandare un messaggio, ma anche nei paesi orientali dove protesta vuol dire coraggio, vuol dire mettere a repentaglio la propria vita».
A concludere prima della Nazari, Giusi Squillaci, coordinatrice del Comitato consultivo internazionale di Amnesty Italia, ha ricordato la campagna centrale di Amnesty International.
«Sia l’anno scorso con la storia di Mohamed Dihani che quest’anno con quella di Parisa Nazari ci troviamo, a livello globale, all’interno di una più ampia campagna che è quella di “proteggo la protesta”, la campagna di punta di Amnesty International da qui al 2030: parliamo del diritto che hanno tutte le persone di protestare in maniera pacifica e il dovere degli Stati o di chi ne ha l’autorità di permettere che questo possa avvenire. In Iran non esiste la possibilità di dire qualcosa di diverso rispetto a cosa dice il regime governativo; questo, infatti, non si fa garante dei diritti umani, soprattutto dei diritti delle donne».