Seconda missione per Thomas Pagano, informatico Unict, con la spedizione Pnra. Quest’anno in partenza anche Simona Grimaldi dell’Aseg
Tra qualche giorno saranno due le bandierine Unict ben confitte nella banchisa antartica. Valigie e zaini già pronti in direzione Polo Sud per Thomas Pagano, funzionario informatico nell’Area dei Servizi Informativi, e per Simona Grimaldi dell’Area dei Servizi Generali.
Per Pagano si tratta della seconda volta, avendo già partecipato alla spedizione italiana di ricerca dalla metà di ottobre del 2021 fino al mese di novembre 2022: tredici mesi trascorsi nella base italo-francese Concordia, che si trova quasi al centro dell’Antartide, ad un’altezza di oltre 3200 metri sul livello del mare e ad oltre mille km dalla costa. La missione è attuata sin dal 1985 da Cnr, Enea e dall’Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale, nell’ambito del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide.
«E’ un’esperienza iniziata quasi per caso – racconta Thomas -. In una chat tra colleghi qualcuno aveva condiviso l’annuncio della ‘call’ periodica. Oltre a figure come astrofisici, medici e fisici dell’atmosfera, ricercavano esperti di ICT. Quando in ufficio ho comunicato la mia decisione, in tantissimi mi hanno manifestato apprezzamento per questa avventura. Un grazie particolare lo devo dedicare ai responsabili della mia area e ai miei colleghi che mi hanno sostenuto, assolutamente convinti dell’eccezionalità di un'esperienza di questo tipo, facendosi carico anche di parte del mio lavoro durante la mia assenza».
Un anno trascorso a temperature che variano da meno 80 a meno 30 gradi, comunicazioni con la famiglia ridotte e difficoltose, lavoro frenetico e rischio di continui malesseri, incombente senso di isolamento e depressione. Ma cosa ti spinge a tornare lì dopo neanche due anni? - gli chiediamo ad inizio intervista, così per ‘rompere il ghiaccio’. «E’ un’esperienza che nel suo complesso genera forti emozioni e nello stesso tempo permette una crescita personale significativa, nonostante sia difficile da definire compiutamente – risponde con sicurezza -. Dopo un po' si soffre di mal d’Antartide! Per questo desidero ritornarci».
Il ritorno del Sole in Antartide
Come hai potuto conciliare questo periodo di missione con le esigenze della tua famiglia?
«La decisione di partire per l’Antartide è stata condivisa con i miei familiari. Ovviamente con diversi gradi di “intensità”: la mia posizione era più semplice, avevo grande entusiasmo e voglia di partecipare ad un’esperienza così totalizzante. Ma penso con gratitudine a mia moglie Rosalba che ha dovuto sobbarcarsi gran parte degli oneri familiari, e ai miei due figli Vincenzo e Flavia, all’epoca di 20 e 16 anni, che sono stati chiamati a contribuire maggiormente per aiutare la madre nella gestione quotidiana. Fortunatamente la tecnologia ha permesso di accorciare le distanze, anche se i mezzi di comunicazione non sono potentissimi. Questo aspetto è stato però fondamentale: trovarsi a circa 15 mila km di distanza da casa, in un deserto di ghiaccio totalmente isolato da tutto il resto, e riuscire di tanto in tanto a parlare con i propri cari, permette di superare in modo più agevole i momenti difficili che inevitabilmente si vivono in quel contesto».
Quali erano i tuoi compiti nell’ambito di quella spedizione?
«Mi sono occupato di tutta la parte di comunicazione e delle tecnologie informatiche, in particolare dell’infrastruttura di rete e dei servizi come, ad esempio, il server di posta elettronica, il VOIP e lo sviluppo di piccole applicazioni software. L’infrastruttura informatica serve fondamentalmente a trasmettere i dati che vengono rilevati dalle attrezzature scientifiche poste nei vari siti per la rilevazione di diverse tipologie di parametri come elettromagnetismo e altri dati geomagnetici, astronomici, dell’atmosfera e del clima.
Le mansioni dell’ICT riguardano anche la parte radio, fondamentale per garantire la sicurezza di tutti coloro che escono dalla base per raggiungere i rispettivi luoghi di lavoro. Infatti, a causa delle condizioni estreme in cui si lavora, specialmente nel periodo invernale, è fondamentale monitorare tutte le persone che si recano all'esterno dove le temperature, mediamente intorno ai meno 65 gradi, possono abbassarsi ulteriormente causando rischiose ipotermie. L’unico modo di spostarsi è infatti a piedi, i motori non sono utilizzabili almeno fino a novembre, quando le temperature “risalgono” intorno ai meno 30°/40°. Nella nuova missione, che ha preso il via proprio in questi giorni con l’arrivo del primo gruppo di tecnici presso la stazione Mario Zucchelli sul promontorio di Baia Terra Nova, svolgerò un ruolo diverso: non sarò più l’ICT, ma opererò come fisico dell’atmosfera. La mia collega Simona Grimaldi avrà invece il ruolo di glaciologa e sarà la Station Leader per la campagna invernale».
Thomas Pagano
Quali sono stati i momenti più simpatici o significativi della tua prima esperienza in Antartide?
«Gli aneddoti sono molti, ovviamente, in un periodo così lungo di permanenza. Ti colpisce certamente il periodo della campagna estiva, con il sole che non tramonta mai: la base è affollata da tante persone e il lavoro è frenetico. Ci trasformiamo anche in una piccola torre di controllo, supportando nel decollo e nell’atterraggio tutti i voli per i rifornimenti. Una volta però, in inverno, la connessione con il satellite si è interrotta per 24 ore. A quel punto ci siamo resi conto di essere totalmente soli: i nostri vicini più prossimi erano nella base russa di Vostok, a 600 km di distanza, ma non erano raggiungibili perché i mezzi sono inutilizzabili. Eravamo totalmente disconnessi dal mondo».
Ci sono stati anche momenti di sconforto?
«Da maggio ad agosto ci si ritrova in una condizione di buio pressoché totale. Questo periodo è quello che incide maggiormente sull’umore dei singoli e ovviamente del gruppo in generale. Si scivola, inconsapevolmente, in una sorta di down di cui però si ha coscienza soltanto quando torna a rivedere la luce del sole. Un momento pericoloso invece l’ho vissuto a causa del vento, trovandomi all’esterno per un intervento sulle strumentazioni. A Dome C, nell’area dove sorge la base, c’è il 30% in meno di ossigeno, si cammina a piedi con il peso dell’abbigliamento tecnico e dell'attrezzatura su percorsi irregolari e non spianati. La temperatura quella volta era di circa -70° e c’era vento a circa 10 nodi. Avevo scoperto leggermente il viso per poter respirare meglio, poi ho rialzato lo scaldacollo sopra il naso incastrandolo sotto la maschera che mi proteggeva gli occhi. Un pezzetto dello zigomo sinistro era però rimasto scoperto: giunto a destinazione sentii qualcosa di duro sulla faccia: la mia pelle si era ghiacciata! Si è trattato di un’ustione da freddo, dovuta alla combinazione del vento che proveniva dalla parte sinistra e della temperatura bassissima».
Thomas Pagano impegnato in un'attività nella base Concordia
Il fisico è comunque costantemente messo alla prova…
«Non è solo il freddo a creare problemi! L’Antartide è il luogo più arido del mondo. L'acqua esiste solo in forma di ghiaccio, quindi la percentuale di umidità è ridottissima, il che tra l’altro favorisce anche l’insorgere di incendi. La prima difficoltà l’ho avuta sin da subito nei primi tre giorni dall’arrivo alla base “Concordia”. Si passa dal livello del mare, ossia dalla base “Zucchelli” alla base “Concordia” a oltre 3.200 metri di altitudine. Dopo circa sei ore dall’arrivo, a causa della carenza di ossigeno e della bassa pressione, si soffre per quello che viene genericamente chiamato “mal di montagna”. Questa condizione porta nausea, vomito, astenia, inappetenza e soprattutto un fortissimo mal di testa. Quella volta mi sono sentito veramente male tanto da dover ricorrere all'ossigeno per un giorno intero. Dopo questa piccola terapia mi sono decisamente ripreso. Il corpo si adatta completamente alla nuova condizione in poco più di un mese, ma resta comunque il “fiatone”».
Come sarà organizzata la nuova missione?
«La spedizione è articolata in due periodi diversi: la campagna estiva dura circa tre mesi, da inizio novembre a inizio febbraio, e la campagna invernale circa 10 mesi, da febbraio a novembre, quando arrivano le nuove unità di personale a dare il cambio. Durante la campagna estiva saremo un’ottantina, per seguire tutti i progetti di ricerca e i lavori di miglioramento infrastrutturale della base. Durante la campagna invernale, invece, rimarremo in 13, per svolgere compiti prevalentemente di mantenimento: sei italiani, sei francesi ed il medico dell’Esa».
Alcuni componenti del team della prima missione di Thomas Pagano
Cosa ti è rimasto di questa esperienza, tanto da spingerti a ritornare al Polo Sud?
«Ricordo tutto: il primo giorno in cui ho iniziato a fantasticare su questa avventura, guardando la locandina della call per la missione in Antartide, ma anche lo stage a Colonia nell’Agenzia Spaziale Europea, dopo essere rientrati dalla base, per svolgere diverse sperimentazioni propedeutiche alle prossime spedizioni spaziali e incontrare Samantha Cristoforetti. In tutti quei mesi ho conosciuto tantissime persone di nazionalità, professionalità e competenze diverse, nella base Concordia si viene, infatti, a creare un mix di conoscenze unico. Ho avuto modo di vivere e convivere con dei perfetti sconosciuti che dopo un anno sono diventati una vera e propria seconda famiglia. Ma negli occhi ho sempre il momento in cui siamo riusciti a fare atterrare il primo aereo della nuova campagna estiva. Vedere scendere dalla scaletta i “nuovi” a darti il cambio dopo un anno, è stato veramente emozionante e commovente allo stesso tempo».