L’impatto sulle imprese tra globalizzazione e nuove sfide sono stati i temi dell’intervento di Alessandro Baroncelli al Dipartimento di Economia e Impresa
Nel contesto di un’economia globale in continua evoluzione, comprendere le dinamiche del commercio internazionale è fondamentale per aziende di ogni dimensione. La crescente interdipendenza tra mercati, l’intensificarsi delle tensioni commerciali e l’introduzione di nuove regolamentazioni rendono sempre più complessa la gestione delle supply chain e delle strategie aziendali.
Questi temi sono stati al centro del seminario Dazi, Tariffe e Supply Chain: Quali Impatti per le PMI e le Multinazionali, che si è tenuto nei giorni scorsi al Palazzo delle Scienze, sede del Dipartimento di Economia e Impresa dell’Università di Catania.
Protagonista dell’incontro Alessandro Baroncelli, direttore dell’ICRIM (International Center of Research in International Management) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con la moderazione di Marco Romano, docente dell’Università di Catania.
Il seminario ha preso spunto dall’opera International Business, scritta da Shenkar Oded, Luo Yadong e Chi Tailan, con l’edizione italiana curata da Alessandro Baroncelli, Gabriele Deana e Luigi Serio (Guerini Next, 2024). Questo volume si inserisce nel dibattito sulle trasformazioni in atto nel panorama competitivo globale, analizzando le sfide che le imprese devono affrontare in un contesto sempre più fluido e incerto.
In un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti e da equilibri geopolitici instabili, le imprese si trovano a dover bilanciare la propria strategia tra vincoli normativi, pressioni economiche e nuove opportunità di crescita.
La gestione delle tariffe doganali, le barriere commerciali e le strategie di internazionalizzazione non riguardano solo le multinazionali, ma anche le PMI, sempre più coinvolte nei mercati globali. Il seminario ha offerto, con grande professionalità, un’occasione di approfondimento sulle sfide e le opportunità che le imprese si trovano ad affrontare, fornendo spunti di riflessione su come adattarsi a questo scenario in costante mutamento.

Un momento dell'intervento del prof. Alessandro Baroncelli
Il protezionismo e l'Impatto sull'Economia globale
Baroncelli ha aperto il seminario introducendo come il «commercio internazionale abbia subito trasformazioni epocali nel corso della storia, e di come l’ascesa delle grandi imprese multinazionali ha messo in discussione il ruolo stesso degli stati nel controllo dell’economia». Un esempio storico emblematico, citato dal relatore, è la Compagnia delle Indie, che raggiunse un'influenza, a partire dal 1600, tale da superare molti governi locali e persino l’autorità britannica dell’epoca, costringendo il governo stesso a inglobarla per mantenerne il controllo.
«Oggi, il dibattito sul protezionismo e sulla liberalizzazione dei mercati è più acceso che mai, soprattutto a causa delle recenti politiche commerciali dell'amministrazione Trump, insediatasi nel gennaio 2025, che hanno riportato al centro del dibattito economico globale il tema del protezionismo», ha spiegato l’ospite.
«Fin dai primi mesi del suo secondo mandato, il presidente Trump ha annunciato l'introduzione di dazi significativi su una vasta gamma di prodotti importati da diversi paesi, tra cui Canada, Messico, Cina e Unione Europea – ha aggiunto -. Ad esempio il 1° febbraio 2025 sono stati annunciati dazi addizionali del 25% su tutti i prodotti provenienti da Canada e Messico e del 10% su quelli dalla Cina, con la motivazione di affrontare emergenze di sicurezza nazionale legate all'immigrazione illegale e al traffico di droga».
Il protezionismo e le sue conseguenze
«Le misure protezionistiche, come l’imposizione di dazi, hanno lo scopo di proteggere i produttori nazionali, ma possono avere effetti collaterali negativi, come l’aumento dei costi per i produttori nazionali che si trovano a dover affrontare materie prime più costose, l’effetto a catena sui settori manifatturieri, specialmente in settori dipendenti dall’importazione di componenti e materiali – ha detto il relatore -. E ancora il rischio di guerre commerciali, con misure di ritorsione da parte dei paesi colpiti dai dazi, la limitata creazione di posti di lavoro, spesso a fronte di costi elevati per il sistema economico nel suo complesso».
«Un esempio concreto è l’imposizione di dazi su acciaio e alluminio da parte degli Stati Uniti, che ha avuto ripercussioni sulle industrie europee, specialmente nei settori dell’automotive, dell’elettronica e dell’agricoltura», ha aggiunto.

Un momento dell'incontro
La posizione dell’Unione Europea
«L’Europa ha un interscambio commerciale significativo con gli Stati Uniti – ha spiegato il prof. Baroncelli -. L’export europeo verso gli Usa è cresciuto del 44% negli ultimi dieci anni, mentre le esportazioni americane verso l’Europa sono aumentate del 34%. Tuttavia, sebbene esista un disavanzo commerciale in termini di beni a favore dell’Europa, questo viene in parte bilanciato dall’export di servizi ad alto valore aggiunto dagli Usa».
«Germania, Italia e Irlanda sono tra i principali esportatori verso gli Stati Uniti, con la Germania in testa seguita dall’Italia e dall’Irlanda – ha aggiunto -. Tuttavia, politiche protezionistiche come l’aumento dei dazi potrebbero compromettere questa dinamica e portare a una riorganizzazione delle catene di approvvigionamento globali».
In merito all’introduzione dei dazi di Trump, in riferimento alla situazione italiana, Baroncelli individua due possibili scenari: aumento del 10% sui dazi già esistenti, senza coinvolgere nuove categorie di prodotti.
«In questo caso, le regioni più penalizzate sarebbero Liguria e Molise, con i settori più colpiti tra cantieristica navale, petrolchimico, chimica e automotive – ha spiegato -. Emilia-Romagna, Campania e Umbria subirebbero un impatto minore grazie a una maggiore diversificazione dell’export. E ancora aumento generalizzato dei dazi, simile a quanto avvenuto con l’alluminio, con effetti più pesanti su Abruzzo e Toscana, ma con un impatto assoluto maggiore sulla Lombardia, data la sua elevata esportazione nei settori moda e meccanica (fino a 1,8 miliardi di euro)».
Si è poi analizzata la situazione della Sicilia, che «nel 2023 ha esportato per 14 miliardi di euro, ma prevalentemente verso mercati considerati domestici (Europa)», ha detto il relatore. «Il 55% delle esportazioni è destinato a paesi extraeuropei come Stati Uniti e Marocco», ha aggiunto.
«Per le Pmi italiane, l’aumento dei dazi potrebbe accentuare le fragilità rispetto a grandi gruppi globali come Siemens o Bmw – ha precisato Baroncelli -. L’Ue ha già previsto contromisure per ridurre le importazioni dagli Usa per 18 miliardi di euro, coinvolgendo vari settori».
Inoltre, è stata menzionata la recente crisi delle uova negli Usa, dovuta all’influenza aviaria, che ha portato gli Stati Uniti a chiedere forniture a paesi europei come Danimarca, Spagna e Italia, sottolineando la fragilità delle supply chain globali.
«A livello macroeconomico, l’incertezza sulle misure daziarie sta rallentando l’economia – ha spiegato il prof. Baroncelli -. Si stanno ridefinendo le sfere d’influenza commerciale: il blocco Nord America-Europa si contrappone a Sud-Est asiatico-Cina, ma con nuovi attori economici emergenti come Iran, India, Brasile e Australia».

Un momento dell'intervento del prof. Alessandro Baroncelli
Strategie di adattamento per le imprese
A conclusione del seminario, l’attenzione si è focalizzata su strategie pratiche per affrontare l’impatto dei dazi e delle politiche commerciali protezionistiche.
«Tra le strategie analizzate, il tariff engineering rappresenta una pratica diffusa, che consiste nella modifica di materiali e componenti dei prodotti per aggirare le tariffe doganali – ha spiegato il relatore -. Ad esempio, l’impiego di plastica e vetro al posto di legno e metallo può consentire alle aziende di rientrare in fasce tariffarie più vantaggiose».
«Un’altra soluzione chiave è il supply chain redesign, ovvero la riorganizzazione delle catene di approvvigionamento attraverso la delocalizzazione della produzione o l’apertura di filiali in mercati emergenti, così da ridurre i costi doganali e rafforzare la presenza commerciale», ha aggiunto.
Un aspetto critico emerso dal dibattito è il posizionamento dell’Italia rispetto ad altri paesi europei. «Se realtà come Olanda e Belgio hanno consolidato la loro presenza in mercati strategici come India e Vietnam, l’Italia appare meno radicata, rischiando di perdere opportunità fondamentali in aree ad alto potenziale di crescita», ha detto Baroncelli.
Si è discusso, infine, dell’importanza di inserirsi nelle nuove filiere produttive, soprattutto in settori strategici come l’intelligenza artificiale e la microelettronica, dove la Cina ha ormai assunto un ruolo predominante.
«Un esempio concreto è l’industria delle biciclette da corsa, il cui mercato dipende quasi interamente dai telai in carbonio prodotti tra Taiwan e Cina – ha detto il relatore -. Questi scenari dimostrano quanto sia essenziale per le aziende italiane e internazionali adottare un approccio dinamico e lungimirante per non rimanere escluse dalle grandi trasformazioni del commercio globale».