Dalla fondazione nel 1434 alla prolusione positivista del Rapisardi

Sul palco del teatro greco-romano le ‘incursioni’ artistiche sulla storia dello Studium Generale

Mariano Campo

La notizia della concessione regale giunse in città nel febbraio del 1434. Il 19 ottobre, il decreto era già siglato: Placet quod Studium generale fiat in civitate Cathanie. Lo Studio generale nell’Isola sia a Catania, stabiliva Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo, “el rey” di Spagna e di Sicilia. Dieci anni dopo, Papa Eugenio IV, superati vecchi e immancabili contrasti politici e militari con il cattolicissimo regno iberico, acconsentì alla decisione del sovrano e il 18 aprile 1434 emise la bolla con cui accordava alla città etnea il “generale Studium ad instar Studii Bononiensis”, sul modello dell’Università di Bologna, oggi detta “Alma Mater”.

La Sicilia non fu più allora “terra di Ciclopi, tracotanti e privi di leggi”, come la descriveva Omero nell’Odissea, una landa senza giurisdizione né porti, popolata da barbari senza stelle in cielo. Questa eventualità ebbe a diradarsi qualche decennio prima della scoperta dell’America, quando il re accordò il suo placet per la fondazione dell’ateneo catanese, unico insieme a Napoli per lungo tempo in tutto il meridione d’Italia.

Doveva essere uno Studium che offrisse ai notabili siciliani honor et maximum comodum, e fu così che per diversi secoli la città etnea si fregiò del privilegio di avere la prima e l’unica università dell’Isola, giungendo inoltre a chiedere al monarca l’esplicito diritto per cui “nullu sichilianu pocza andari ad studiari exceptu in Cathania”.

Queste pagine di storia sono state richiamate nella suggestiva incursione performativa che ha accompagnato la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Catania, contornata dalle mappe del cartografo arabo al-Idrisi, approdato in Sicilia nel 1138 per volere del re Ruggero II, che scelse di collocare l’Isola nella parte superiore del Planisfero, adottando un orientamento invertito, ma ben al centro del Mare Nostrum. La storia dell’Ateneo più antico di Sicilia sarà raccontata in maniera suggestiva e originale attraverso una narrazione attraverso testi, suoni, musica e danza.

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Sul palco, il prof. Emanuele Coco, curatore dei testi e di alcune musiche e protagonista della narrazione ‘live’, il musicista Puccio Castrogiovanni e le danzatrici Collettivo SicilyMade Simona Miraglia, Silvia Oteri e Amalia Borsellino, che hanno accompagnato la performance con improvvisazioni strumentali e sonore, il Coro studentesco diretto dai maestri Paolo Cipolla, Franco Lazzaro e Giuseppe Sanfratello (due i brani eseguiti: il canto popolare serbo Gusta mi magla padnala, e la celebre “Fortuna”, dai Carmina Burana di Carl Orff).

La seconda finestra sul passato di Unict ha riguardato le vicende intorno a una lectio magistralis di Mario Rapisardi, risalente al 1879: all’epoca poeta di rilievo e docente di letteratura italiana presso l’università catanese, ricevette infatti l’incarico di inaugurare l’anno accademico con una sua dissertazione su “Il nuovo concetto scientifico” e aveva toni che ancor oggi si fanno ricordare: «Dal giorno in cui – diceva Rapisardi al pubblico intervenuto – Abelardo alzò la voce della ribellione contro le vandaliche irruzioni della fede, le tenebre e le paure medioevali incominciarono a diradarsi dal torbido cielo della coscienza, per dar luogo alle ben auspicate aurore della ragione».

«Contro ogni indifferenza ipocrita, un infervorato Rapisardi auspicava a una nuova scienza, forse persino a una nuova università – ha commentato il prof. Coco -, che fossero in grado di fugare le paure e le ingiustizie, di smascherare le menzogne imbonitrici del potere, di fornire strumenti con cui far luce sulla verità, con cui costruire un mondo di valori e di condivisione, democratico ed egalitario».

Il prof. Emanuele Coco

Il prof. Emanuele Coco